giovedì 11 maggio 2023

La Cappella di San Gennaro a Napoli e il suo Tesoro


La Cappella di San Gennaro.


La Cappella di San Gennaro è una delle meraviglie dell’arte barocca a Napoli, adorna di capolavori del Domenichino, Giovanni Lanfranco, Jusepe de Ribera, Cosimo Fanzago, Francesco Solimena, oltre che di opere di altissima oreficeria.
La storia della sua realizzazione racconta inoltra le vicissitudini umane fra rivalità, aspirazioni, gelosie, tramandate da numerose leggende: la Deputazione della Cappella (fondata nel 1601 a tale scopo e ancor oggi incaricata della custodia della Cappella e del Tesoro) decise di affidarne la decorazione ad artisti non napoletani, al fine di ricorrere ai migliori talenti europei ed evitare lotte locali. Ne seguì la rivolta dei pittori partenopei che sfociò in veri e propri atti di violenza.
affrescata da Giovanni Lanfranco con il Paradiso. Nei quattro pennacchi si dispiegano gli affreschi del Domenichino dedicati alle storie di San Gennaro e dei Santi Compatroni di Napoli.

Cupola


L’edificio fu costruito lungo il fianco destro del Duomo, quale ringraziamento a san Gennaro per la fine della peste che nel 1527 aveva flagellato la città, in quegli anni colpita anche dalla guerra fra Francia e Spagna. Nel 1630 la sua decorazione fu affidata al Domenichino, dopo che numerosi pittori fra i quali il Cavalier d’Arpino e Guido Reni avevano rinunciato all’incarico a causa delle minacce e delle persecuzioni messe in atto contro di loro. Lo stesso Domenichino portò a termine il lavoro fuggendo a più riprese, e a più riprese convinto dalla Deputazione a tornare a Napoli, fino alla morte improvvisa nel 1641: avvelenato, secondo una voce popolare.
Nel corso di dieci anni Domenichino realizzò un ciclo di affreschi e dipinti dedicati alla vita di San Gennaro e ai Santi compatroni di Napoli: si ammirano nei sottarchi, nei pennacchi, nei lunettoni e nei cinque dei sei dipinti su rame che sormontano gli altari laterali della Cappella. Il sesto dipinto è opera di Jusepe de Ribera, raffigurante “San Gennaro illeso nella fornace”.


Giandomenico Vinaccia, paliotto dell’altare maggiore


La morte improvvisa del Domenichino rese necessario il coinvolgimento di un altro artista al fine di completare la decorazione interna: fu dunque chiamato Giovanni Lanfranco, che a Napoli aveva già lavorato alla  Certosa di San Martino, al Gesù Nuovo e nella chiesa dei Santi Apostoli. Lanfranco affrescò la cupola della Cappella con una rappresentazione del Paradiso, magnifico esempio di illusionismo barocco.
Oltre alle opere d’arte, la Cappella di San Gennaro è uno scrigno di altissima oreficeria: vi si ammirano infatti il celeberrimo Busto – risalente al 1305, dono di re Carlo d’Angiò II – e il paliotto in argento opera del Vinaccia, preceduto da due sontuosi candelieri del 1671. La Cappella è inoltre popolata da cinquantaquattro statue e busti in argento dei Santi compatroni, opere fra gli altri di Giulio Finelli allievo di Gian Lorenzo Bernini. Fra le altre opere d’arte vanno annoverati l’altare in porfido, disegnato da Francesco Solimena, il pavimento e il grande cancello d’ingresso, entrambi di Cosimo Fanzago.

Altare laterale destro, sormontato dal dipinto di Jusepe de Ribera rappresentante “San Gennaro illeso nella fornace”


Nella Cappella sono custodite le reliquie e il sangue di San Gennaro: in una cassaforte d’argento dietro l’altare maggiore sono racchiuse le ampolle con il sangue del Santo, che vengono estratte tre volte l’anno in occasione delle ricorrenze liturgiche, mentre il Busto trecentesco contiene le ossa del cranio.
Il corpo del Santo si trova invece nel succorpo del Duomo, la cripta rinascimentale ricavata sotto il presbiterio della Cattedrale e a lui intitolata.
Per comprendere tale separazione delle reliquie è opportuno riferirsi alla storia del martire Gennaro, vescovo di Benevento  che nel IV secolo morì decapitato nei pressi della solfatara di Pozzuoli. Nel V secolo le reliquie furono trasportate da Pozzuoli alle catacombe di Napoli (che da lui presero il nome), per essere poi trafugate nell’831 dal principe longobardo Sicone e portate a Benevento (dal 571 Ducato Longobardo). A Napoli rimasero alcune ossa del cranio – custodite entro lo splendido busto donato da Carlo II d’Angiò – e le ampolle con il sangue. Tra il XII e il XIII secolo, in un’epoca funestata da guerre e saccheggi, le ossa furono riparate al santuario di Montevergine da dove, nel 1497, furono solennemente traslate del Duomo di Napoli e collocate sotto il presbiterio.

Collana di San Gennaro, Museo del Tesoro


Le opere d’oreficeria che non si trovano nella Cappella sono esposte presso l’adiacente Museo del Tesoro di San Gennaro, una collezione di capolavori unica al mondo che si è creata nel corso di settecento anni a testimoniare sia l’incredibile abilità artigiana e la creatività di maestri orafi, scultori, argentieri dal quattordicesimo al ventesimo secolo, sia la devozione di fedeli di varia estrazione, dai popolani ai nobili, re e regine.
Fra gli oggetti esposti – calici, pissidi, ostensori, candelabri, busti e statue, parati d’altare – due in particolare colpiscono per il loro aspetto, del tutto straordinario, e per le storie che raccontano: la collana di San Gennaro e la mitria.


Mitra di San Gennaro

La collana di San Gennaro fu realizzata a partire dal 1679 per ornare il Busto del Santo: l’incarico fu conferito dalla Deputazione della Real Cappella del Tesoro all’orafo napoletano Michele Dato con l’utilizzo di diamanti, smeraldi e rubini donati dalla Deputazione stessa e montati su tredici elementi collegati a maglia. Il risultato finale però fu ritenuto poco prezioso e nei decenni successivi la collana fu arricchita da gioielli donati da re e regine in visita: tra di essi la regina Maria Carolina d’Asburgo, Francesco I d’Austria, Giuseppe Napoleone Bonaparte, la regina Maria Cristina di Savoia, Vittorio Emanuele II di Savoia, Carlo III di Borbone.
Nella parte superiore della collana furono inseriti due orecchini con diamanti e perle donati da una semplice popolana, che si era recata nella Cappella per ringraziare San Gennaro di averla salvata dalla peste del 1844: gli orecchini erano il bene più prezioso della devota, tramandati di madre in figlia da generazioni. La Deputazione, ritenendo il gesto nobile, decise di applicare i due gioielli all’opera.
Al centro si osserva invece un anello con diamante, donato da Maria José del Belgio in occasione della sua visita: la consorte di Umberto II di Savoia si presentò in visita alla Cappella a mani vuote, mentre la tradizione prevedeva di offrire un dono al patrono. Dopo un iniziale imbarazzo, Maria José si sfilò dal dito l’anello e lo donò alla Deputazione, che decise di inserirlo al centro, fra gli orecchini della popolana. La composizione finale dell’opera è dunque il risultato di 250 anni di storia, nel magnifico assemblaggio di gioielli di manifatture ed epoche diverse e di committenze illustri.
La Mitra gemmata di San Gennaro è il capolavoro più celebre del Tesoro e uno degli oggetti più preziosi al mondo, composta da 3.694 pietre preziose, 198 smeraldi, 168 rubini, 3.328 diamanti, montate a comporre un disegno di fiori, foglie e racemi. Fu realizzata a partire dal 1712 da Matteo Treglia insieme a 50 collaboratori grazie a donazioni e sottoscrizioni che coinvolsero popolani, esponenti del clero, nobili, l’imperatore stesso. La Deputazione della Cappella del Tesoro ne commissionò la realizzazione per ornare il busto-reliquiario di San Gennaro.
Oltre all’argento della montatura, che costituisce il fondo della Mitra, si osservano dorature che esaltano la cromia dei diamanti, dei rubini e degli smeraldi. Ogni pietra inoltre rappresenta un valore morale e religioso, quale l’aspetto spirituale della fede (i diamanti), l’umanità simboleggiata dal sangue di San Gennaro (i rubini), la perfezione dell’unione con Dio che dona la conoscenza (gli smeraldi). Gli smeraldi sono stati inoltre nominati dai gemmologi con il nome dei deputati che commissionarono l’opera: tra di essi Don Carlo Caracciolo, Don Fabio Russo, Don Carlo Serra principe di Pado, Don Giuseppe Piccolomini d’Aragona, Don Ottavio Gesualdo.

cupola affrescata da Giovanni Lanfranco con il Paradiso


Oltre che per la sua preziosità la Mitra è anche un capolavoro d’ingegneria: dal peso di 18 kg, possiede un sistema interno di ammortizzatori per assorbire i colpi del trasporto durante le processioni religiose.
Meritano infine una menzione le sagrestie, che precedono la Cappella e che appartengono al percorso di visita: s’incontrano dopo aver ammirato il Museo e prima di accedere alla Cappella. Anch’esse affidate nel corso dei secoli alla Deputazione, sono ricche di affreschi, stucchi e marmi. In particolare, nella Sagrestia di Luca Giordano si ammira al centro del soffitto un affresco del 1668 eseguito dal pittore accompagnato dalla sua firma “Jordano F” [Fecit].

Altre immagini della Cappella di San Gennaro: 

 

Giacinto Gigante-Interno della Cappella del Tesoro di San Gennaro


Cupola della Cappella del Tesoro


Jusepe de Ribera, San Gennaro illeso nella fornace

Altare maggiore, con a sinistra il busto del 1305 dono di Carlo II d’Angiò

 

Gennaro Monte-San Gennaro (Cancello d'ingresso Cappella del tesoro)

Cosimo Fanzago-Cancello d'ingresso Cappella del Tesoro 

1 commento:

  1. calle
    Grazie Mille
    http://albertocallequotidianopolitico.blogspot.com/p/curriculum.html
    https://www.youtube.com/watch?v=wIAq3OVKtrM
    Alberto Calle

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