martedì 22 novembre 2016

Inediti di Stanzione e Solimena in asta a Roma




fig.1- Massimo Stanzione



Presso la prestigiosa sede della Minerva Auctions di Roma a palazzo Odescalchi andranno fra qualche giorno in asta, partendo da prezzi appetibili, alcuni dipinti inediti napoletani, illustrati in una conferenza dal professor Riccardo Lattuada.
Partiamo dal Martirio di una santa (fig.1), forse S. Lucia, attribuito al periodo giovanile, attorno al 1620, di  Massimo Stanzione dall’illustre studioso, collocazione cronologica con cui concordiamo pienamente.
La tela si inserisce perfettamente nel panorama pittorico del primo Seicento napoletano. Palpabile è  il richiamo e il recupero della tradizione caravaggesca dalla quale derivano il tagliente chiaroscuro, il naturalismo dei corpi e l’essenzialità del racconto. A questo si aggiunge però una maggiore dolcezza delle forme e delle espressioni, derivata dal classicismo di Guido Reni, presente a Napoli nel 1622. Le figure, soprattutto quella femminile, ricordano alcune opere di Stanzione, quali la Giuditta con la testa di Oloferne del Metropolitan Museum of Art di New York e il Martirio di San Lorenzo del Museum of Art di Muncie (Indiana).


fig. 2 - Solimena

Passiamo ora  ad esaminare un vero capolavoro del Solimena: San Gennaro con altri santi che intercedono presso la Madonna in favore della città di Napoli (fig.2)
L’autografia del quadro risulta evidente dall’analisi stilistica dei personaggi e della composizione, nonché dal confronto con altre tele documentate del maestro.
I corpi saldamente costruiti con un’anatomia possente e con chiaroscuri netti, i panneggi vibranti e dinamici, l’impostazione della scena si ritrovano, come sottolinea Lattuada, nella Madonna con Bambino e i Santi Gennaro e Sebastiano a Milwaukee, Milwaukee Art Center e nella Madonna col bambino, l’angelo custode e San Francesco di Paola della Gemaeldegalerie Alte Meister di Dresda.
In basso a sinistra appare il golfo di Napoli visto da occidente, all’altezza di Posillipo, delimitato dal Monte Somma, con il Vesuvio sullo sfondo. Il particolare è attualmente di difficile lettura a luce naturale per l’ossidazione delle vernici, ma diventa più agevolmente visibile ai raggi infrarossi  (fig.3).


fig. 3  - Riflettografia

L’iconografia di San Gennaro che chiede l’intercessione della Vergine per la città di Napoli ha una forte valenza simbolica e mette in evidenza lo stretto legame, da sempre esistente, tra Napoli e il proprio santo protettore, fatto di rispetto, amore e devozione.
Nella pittura del Seicento napoletano rappresentazioni simili sono abbastanza ricorrenti (come ad esempio il San Gennaro che protegge la città di Napoli di Onofrio Palumbo e Didier Barra nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini o a quello di Luca Giordano con San Gennaro che intercede presso la Vergine, Cristo e il Padre Eterno per la peste al Museo Nazionale di Capodimonte).
Tuttavia scelte compositive simili non sono comuni nella produzione pittorica solimenesca.
Un utile confronto per l’impaginazione dell’opera in esame è rappresentato dal bellissimo rilievo di Domenico Antonio Vaccaro raffigurante La Vergine dà le chiavi di Napoli a San Gennaro  nella Certosa di San Martino a Napoli, databile intorno al 1720, periodo nel quale è possibile collocare anche il dipinto offerto in asta a giorni.
I due grandi maestri furono legati da profonde e reciproche influenze stilistiche, tanto che Bernardo De Dominici nelle sue Vite dei Pittori, Scultori, ed Architetti Napolitani definisce Solimena il Vaccaro della Pittura, e Lorenzo Vaccaro, padre e maestro di Domenico Antonio il Solimena della Scultura (Bernardo de' Dominici, Vite de' Pittori, Scultori e Architetti napoletani, Napoli, 1742-44, vol. III). Lo scrittore napoletano seppe sintetizzare con singolare efficacia quel metalinguaggio barocco di matrice classicista che Solimena e i Vaccaro declinarono con materiali diversi ma intenti estetici comuni (Lattuada).


fig. 2 - Solimena

Sempre del Solimena viene poi proposto un Ritratto di gentildonna a mezzo busto con fiori in mano (fig. 4), corredato da una perizia di Ferdinando Bologna, datata 7 marzo 1977, in cui lo studioso avanza l’attribuzione a Solimena e propone una datazione agli ultimi anni di attività dell’artista, probabilmente attorno al 1739 - 40. Agli stessi anni risalgono infatti il Ritratto di dama conservato a Londra, National
Gallery, e il Ritratto della Principessa Imperiale di Lasciano della collezione Pisani a Napoli (F. Bologna, Francesco Solimena, Napoli 1958, figg. 215 e 218).
Il dipinto si pone come uno dei vertici dell’attività ritrattistica di Solimena, per l’altissima qualità della resa pittorica, dalla pennellata fluida e veloce, e soprattutto per la grande capacità di penetrazione psicologica.
L’opera si differenzia dalla tipologia consueta dei ritratti d’apparato, rappresentando la modella in modo intimo e colloquiale, priva di gioielli e di complesse acconciature, con un piccolo mazzo di fiori come unico vezzo. Eseguito con pennellate rapide che denunciano la grande sicurezza dell’artista e la sua perizia tecnica, il ritratto cattura l’attenzione dello spettatore per l’espressione e lo sguardo vivo della misteriosa dama, conferendogli una grande modernità che preannuncia gli esiti del realismo napoletano nell’Ottocento.


Achille della Ragione

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