Pelè e Maradona |
Il calcio, almeno per i tifosi napoletani, perciò per gran parte della popolazione, non è soltanto un gioco, ma una vera e propria mania, a volte una malattia, in grado di esaltare la fantasia, ringalluzzire l’orgoglio, suscitare passioni sfrenate e creare miti e rivalità che sfidano il tempo diventando leggenda, come quella tra Maradona e Pelè.
Il sommo Diego vivrà a lungo nella memoria collettiva dei napoletani, che non finiranno mai di ringraziarlo per aver riscattato l’onore ferito di una città, umiliata per decenni dallo strapotere delle squadre del nord e per aver vinto due scudetti, impresa mai riuscita nemmeno ai tempi di Vinicio e del comandante Lauro o di Sivori ed Altafini.
“Meglio di Pelè, forse Gesù e qualche volta Dio”, lo definiva entusiasta Menotti, il commissario tecnico della nazionale argentina, una definizione che tutti i tifosi partenopei condividerebbero entusiasti.
Ma partiamo dal principio, sul finire del 1904, quando in un palazzo di Via Sanseverino, non lontani da quella che sarà la casa di Benedetto Croce, un gruppo di appassionati guidati dall’ingegnere Ernesto Bruschini, fondò il Naples Cricket and Football, utilizzando un anglismo in omaggio ai soci albionici: Potts e Bayon.
Nella prima formazione cinque britannici, due tedeschi, un danese, uno svizzero, un belga, tre italiani.
Fino al 1926 si chiamerà Internaples, per diventare Napoli per volontà del presidente, il mitico Giorgio Ascarelli e per ordine di un antianglofilo per eccellenza: il cavaliere Benito Mussolini.
Il primo campionato fu un disastro: un solo punto in classifica, sette gol realizzati a fronte di sessantuno incassati.. Il cavallo, emblema della città, diventa inevitabilmente “’O ciuccio”. Emerge, però, un grande campione, Attila Sallustro, che diventerà l’idolo dei tifosi, ma anche il sogno proibito di tante belle ragazze. Il presidente Ascarelli gli regalò una Balilla 521.
Le partite in trasferta vengono seguite nella Galleria Umberto dove due giornalisti sono collegati telefonicamente e forniscono informazioni in tempo reale, una sorta di radiocronaca ante litteram.
Il campionato da undici diventa a diciotto squadre e per rinforzare la squadra arriva un grande allenatore, Willy Garbut e forti giocatori destinati a divenire famosi come Vojak, mitica mezzala.
I tifosi crescevano di numero e fu necessario uno stadio adeguato, che venne costruito al Rione Luzzatti, con tribune in legno in grado di contenere diecimila spettatori.
Il presidente Ascarelli non lo potè godere a lungo, fulminato da una Peritonite perforante. Durante il “ventennio” lo stadio, per le origine ebree di Ascarelli, assunse il nome di “Partenopeo”.
L’abilità di Sallustro cresce come la sua fama di rubacuori: sposerà, infatti, Lucy D’Albert, splendida soubrette di diciotto anni, che aveva fatto innamorare anche il Principe Umberto. Nel 1934 il Napoli con il terzo posto in classifica acquisisce il diritto di partecipare alla Coppa Europa.
A rinforzare la squadra arriva un giovane portiere, Sentimenti, che diventerà una leggenda. Il suo stipendio era modesto ma un giorno, mentre era sotto la doccia, gli arrivò una busta con mille lire (una grossa cifra all’epoca), omaggio di un tifoso anonimo: Achille Lauro.
La storia del Napoli si intrecciò con quella del mitico Comandante ed il connubio durerà decenni. Il rapporto tra Lauro ed il Napoli nasce in epoca fascista, nel 1935, ed è avvolto nella leggenda.
La squadra aveva avuto un grande presidente: Ascarelli, alla cui memoria era intitolato lo stadio partenopeo. Uomo di grandi capacità, animato da una sana passione, aveva per quei tempi un grande difetto:era ebreo, di conseguenza aveva dovuto passare la mano.
Un giorno, siamo nel periodo in cui il fascismo ha raggiunto il massimo consenso tra gli Italiani, il Federale della città, incontrando Lauro, gli si avvicina tutto trafelato e gli confida:"Domani debbo partire per l'Africa a servire la patria, ma prima di andare voglio affidarti la mia creatura".
Lauro annuì e, recatosi a casa, disse ad Angelina di preparare una stanza con una culla, perché per un po' di tempo sarebbe dovuta venire a vivere con loro la creatura...del Federale. Angelina replicò meravigliata:"Ma se non è neanche sposato!"
"Che debbo dirti, amore mio, prepariamola lo stesso, sarà forse per un figlio segreto".
Grande fu perciò lo stupore dei due quando l'indomani, di buon'ora,si videro a casa il vice del Federale, con una borsa colma di documenti, esclamare:"Vi consegno la creatura del Federale: i titoli di proprietà della società calcio Napoli".
E don Achille, mentre ancora scartabellava stupito i fogli protocollo, pieni di timbri e di bolli,si sentì richiedere un modesto contributo di trecentomila lire!(all'epoca una cifra cospicua) per accettare il regalo. Fin qui la vicenda romanzata, raccontata con garbo dalla penna di Serena Romano. Seguiranno i fatti, perché Lauro colse subito la palla al balzo, intuendo la grande importanza che può avere il controllo di una squadra di calcio nel cuore di decine di migliaia di tifosi.
Salvo un intervallo legato agli eventi bellici ed alla confusione del dopo guerra, don Achille conserverà la carica di presidente effettivo o onorario fino alla morte, per quasi 50 anni, contribuendo nella buona e nella cattiva sorte alle fortune di una delle squadre più amate del mondo.
Fu più famoso del mitico Ascarelli, il primo presidente che guidò la società quando, nel 1926, si affacciò alla serie A.
Presidente dal 1936 al 1940 e dal 1952 al 1954, preferì in seguito regnare da dietro le quinte come presidente onorario,agendo dall'alto attraverso persone di sua fiducia.
Lauro fece la gavetta come vicepresidente in un anno di transizione per la squadra, che aveva cambiato allenatore, passando da Garbutt ad un nuovo straniero l'ungherese Csapkay, nel mentre cominciava tristemente a declinare la stella di Attila Sallustro, il più grande e il più osannato giocatore del Napoli di tutti i tempi. Quello del 1934-35 fu l'ultimo campionato che vide il mitico Attila condottiero dell'attacco: infatti, giocò ancora per altri due anni nel ruolo di ala destra ma era oramai un idolo al tramonto per una folla che si era esaltata per le sue straordinarie prestazioni. Deluse rimarranno anche frotte di signore e signorine che avevano seguito con il fiato sospeso le sue scorribande sentimentali, mentre il tempo inesorabile solcava di rughe il suo splendido volto negli anni del tramonto, trascorsi come funzionario e conclusi come direttore dello stadio San Paolo a Fuorigrotta, che in questi giorni si blatera di voler dedicare a Maradona, dimenticando questo grande giocatore del passato,partenopeo purosangue, il quale, a differenza del pibe de oro, è stato sempre un modello di correttezza in campo e soprattutto fuori di esso. La società durante l'estate fu pervasa da un sacro furore di crescita, con un'impegnativa campagna acquisti, favorita dall'ingresso come soci di facoltosi imprenditori. Il presidente, l'ingegner Savarese, incalzato dal prestigio di Lauro, viene indotto alle dimissioni e comincia, con la nomina al suo posto, il lungo regno di don Achille: è il 1936. Sono gli anni in cui era entrato da poco in funzione il nuovo stadio napoletano, tra i più moderni e funzionali d'Europa.Esso mise a riposo lo stadio vomerese, sorgendo,in muratura, lì dove esisteva il vecchio campo in legno di Giorgio Ascarelli, il presidentissimo, al quale non potette essere intitolato il nuovo impianto per le sue origini ebraiche. Erano infatti gli anni in cui i pregiudizi razziali, per compiacere Hitler, entrarono, pur se tiepidamente, anche nell'accondiscendente e generoso animo napoletano. Lo stadio fu chiamato “Partenopeo”, tra il disappunto dei tifosi, che interpretarono l'episodio come un vero affronto alla memoria del grande presidente del Napoli, da poco deceduto, la cui persecuzione proseguì purtroppo anche dopo la morte. La situazione economica della società non era brillante,ma Lauro, uomo d'azione, poco incline a compromessi e mezze misure, esordì come presidente con la frase, divenuta celebre,"O dentro o fuori, che significa stare a metà?".Parole paradigmatiche di un indirizzo economico che caratterizzerà a lungo l'amministrazione della società. Per il Napoli fu uno scossone, una salutare rivoluzione nel delicato rapporto tra giocatori e dirigenza. Mattia, il nuovo allenatore, accettò senza fiatare la lista di proscrizione impostagli da Lauro. Andarono via tutti i giocatori che avevano piantato grane, alcuni anche di valore. La classifica fu modesta e Lauro continuò nei tagli, cercando rinforzi su tutti i fronti. Anche il campionato successivo non fu particolarmente brillante ed il Comandante, infuriato, se la prese con l'allenatore che licenziò in tronco. La squadra era deludente ed entrò in crisi il rapporto con don Achille, il quale,amareggiato anche per le numerose critiche alla sua conduzione definita dittatoriale,lasciò la società nelle mani dell'ingegner Del Pozzo, mentre all'orizzonte incombevano minacciosi venti di guerra. Prima dell'infuriare dei combattimenti e della sospensione del campionato, il Napoli mestamente subirà l'onta della prima retrocessione nella serie cadetta. Durante i tristi anni del conflitto non ci sarà tempo e voglia di pensare allo sport. Sono anni di lutti, di dolore, di tessere annonarie, con la morte sempre in agguato. Cadranno in frantumi tanti sogni con la morte di tanti giovani,cadranno case e palazzi, andrà giù a terra anche il mitico stadio Ascarelli, i cui resti subiranno l'affronto di ulteriori mutilazioni quando i Napoletani, disperati, ne ruberanno anche il ferro. La guerra stravolgerà non solo le mura della città ma lascerà ferite profonde ed a lungo sanguinanti nelle carni martoriate dei Napoletani, eufemisticamente liberati... dalle orde di soldati marocchini e senegalesi,invasa dalle am-lire e costretta a sopravvivere, con contrabbandi e sotterfugi, in uno squallido scenario di sciuscià e puttane. Si troverà lo stesso il coraggio e la volontà di ripartire da zero, con gli stadi distrutti dai bombardamenti ed ogni spazio libero occupato con tracotanza dai liberatori...ai quali bisognava chiedere il permesso anche per un'innocente partita di pallone. Nel dopo guerra le sorti del Napoli sono altalenanti e sembrarono allo sbando con la morte improvvisa per infarto del suo presidente Musolino.
A gran voce si invocava il ritorno di Lauro, il quale non seppe resistere a lungo a quanti lo pregavano di tornare alla testa della navicella azzurra. Don Achille mise generosamente mano al portafoglio e acquistò numerosi giocatori, fornendo all'allenatore Monzeglio una rosa molto ricca e la possibilità di svariate soluzioni tecniche. Arrivarono in squadra Vitali e Pesaola, l'indimenticabile Petisso.
Con il nuovo presidente subentrò giustamente l'euforia dello squadrone,per l'impegno profuso da Lauro,uomo politico di primo piano e sportivo entusiasta, ma quel che più conta,ricchissimo e conscio dell'importanza strategica di identificarsi con una squadra amata da centinaia di migliaia di persone. I suoi lacchè coniarono a tal proposito uno slogan efficacissimo:"Per un grande Napoli, per una grande Napoli, vota Achille Lauro numero uno di Stella e Corona".
I risultati furono gratificanti, ma il Comandante, come sempre, preparava la zampata del leone:l'acquisto storico di mister 105 milioni, Hasse Jeppson.
Erano i tempi di Pesaola, il valoroso Petisso,che ha fatto di Napoli la sua seconda patria. L'incontro con Lauro, l'intesa a prima vista, grazie ad una reciproca simpatia ed un amore che dura ancora. Bruno giunse in città in viaggio di nozze con la bella moglie, miss Novara,percorrerà un' interminabile carriera, prima come calciatore, poi come allenatore, per finire come cittadino napoletano integerrimo.
Superò con la sua forza di volontà gravissimi incidenti di gioco,era un coagulo di passionalità e tecnica, carattere indomito e grande umanità.
Fu autore di un goal spettacolare, da antologia,i cui fantastici fotogrammi compariranno per anni nella sigla delle rubriche sportive della televisione.
I tifosi napoletani impazzirono alla notizia dell'acquisto di Jeppson, mentre la stampa nazionale gridò ipocritamente allo scandalo.
L'asso scandivano aveva sostituito Nordhal al comando dell'attacco della nazionale svedese, all'epoca una delle più forti al mondo. Dotato di grandi qualità tecniche, dal dribbling irresistibile ad una rara potenza di tiro anche di testa, si era messo in luce proprio contro i colori azzurri ai campionati del mondo brasiliani. Era giunto in Italia l'anno precedente acquistato dall'Atalanta,alla quale si dovettero sborsare i famigerati105 milioni, una cifra record, a lungo nel Guiness dei primati. Settantacinque milioni furono versati ufficialmente alla società orobica,mentre trenta furono pagati in Svizzera, che cominciava a trasformarsi in un paradiso dell'evasione fiscale. Tre anni splendidi ,non privi però di furibondi diverbi col Comandante, che alla fine lo regalò al suo amico, il conte Lotti. Divenne rapidamente un divo, casa di lusso al viale Elena,matrimonio da favola con Emma,giovane, bella e, soprattutto, ricchissima, assidua frequentazione dei circoli nautici più esclusivi e porte aperte nelle splendide ville posillipine dei potenti della città.
Lauro si conquistò nel cuore dei tifosi una storica ed imperitura benemerenza, mentre l'allenatore Monzeglio,avendo a disposizione uno dei più forti centravanti europei, riuscirà ad ottenere il quarto posto in classifica, la seconda miglior prestazione mai ottenuta fino ad allora dal"Ciuccio".Nel successivo campionato il portiere Bugatti e Posio conquistano la maglia della nazionale, anche se Lauro è costretto ad intervenire energicamente per ristabilire l'ordine nello spogliatoio dove erano scoppiate infantili rivalità. I goal dell'asso svedese sono spesso spettacolari, ma il Napoli non riesce mai a combattere per le prime posizioni, riserva di caccia dei club del ricco nord. Lentamente declina anche la stella di Amadei e si avverte la necessità di un nuovo fenomeno da affiancare a Jeppson .E questo nuovo astro arriverà dal Brasile, dalla gloriosa squadra del Botofago: si chiamerà Louis de Menezes Vinicius,ma per i tifosi sarà semplicemente Vinicio, anzi per meglio dire "O lione" per la irruenta foga con cui si divincolava dagli avversari in area di rigore. Nativo di Belo Horizonte, divenne rapidamente una leggenda ed ancora oggi, a distanza di decenni ha un posto stabile nel cuore dei napoletani. Il suo matrimonio fu da favola, ripreso da tutti i rotocalchi. Compare di nozze naturalmente Achille Lauro, splendida la cornice: la superba chiesa di San Francesco di Paola.Una folla simile a Napoli non si vedeva dalle nozze di Umberto di Savoia con MariaJosè.
I compagni si affrettavano a passargli la palla e la folla entusiasta lo accompagnava con il suo urlo fin sotto la rete avversaria. Molte partite sono rimaste memorabili per i suoi goal e le sue azioni irresistibili, che facevano esaltare i tifosi, che durante la settimana amavano rievocare le gesta del loro beniamino. Purtroppo la coesistenza con Jeppson, che avrebbe potuto regalare al Napoli il primo scudetto,si rivelò impossibile. Erano due giocatori straordinari ma di temperamento e di scuola agli antipodi:freddo e calcolatore lo svedese, esuberante e pieno di vitalità il brasiliano. Ai differenti caratteri si associava poi la diversità linguistica, che produceva spesso equivoci.
Erano gli anni delle frequenti invasioni di campo da parte di tifosi esasperati dalle decisioni arbitrali,che provocavano alla squadra pesanti squalifiche,rese ancora più severe perché Lauro,per invidia ed ostilità politica, non godeva di simpatia presso gli organi federali. Dopo un'ennesima pesante squalifica lo stadio del Vomero fu dotato di un'ampia recinzione, che lo faceva tristemente somigliare ad una gabbia di leoni o ad un moderno Colosseo,animato dalle gesta di moderni gladiatori in lotta per la conquista della palla.
A quel periodo appartengono storiche vittorie, come la doppia sconfitta inflitta alla Juventus stellare di Sivori e Charles, a lungo campione d'Italia,ma umiliata quell'anno tre a uno a Torino e quattro a tre al Vomero. Monzeglio era un allenatore abilissimo,ma per tutti viene il momento dell'addio. La familiarità che si era instaurata tra lui ed i giocatori gli aveva fatto perdere autorità e la disciplina ne soffriva, tanto da provocare una vera e propria congiura contro di lui. Egli non tollerava discussioni sulle sue scelte tecniche,neanche da parte del Comandante, e questa cocciutaggine provocherà il suo licenziamento.
Lauro era il primo dei tifosi e come questi volubile,in cuor suo avrebbe preferito Amadei come allenatore ed alla prima occasione propizia licenziò in tronco il vecchio gentiluomo piemontese, dando luogo all'originale figura dell'allenatore-giocatore. Amadei, a differenza del suo predecessore, penderà dalle labbra del suo padrone,consultato quotidianamente alle prime luci dell'alba nella villa di via Crispi; ascolterà, sottomesso, di gioco, uomini, tattica, avversari. Si affiderà ai guizzi ed alle irresistibili serpentine di Vinicio, ai suoi dribbling ed alla capacità, più volte dimostrata, di mettere K.O. da solo anche le squadre più forti. Il brasiliano segnerà carrette di goal, classificandosi secondo nella classifica dei cannonieri, che riuscirà a vincere,con altra casacca, alla veneranda età di trentasette anni.
Amadei otterrà anche un quarto posto,ma Lauro si aspettava di più e gli consegnò il benservito assumendo Frossi, il famigerato" dottor sottile", che portò a Napoli, oltre ad una disciplina ferrea, il suo ben noto catenaccio. Il nuovo allenatore poteva vantare un pedigree di tutto rispetto,ma la fortuna non gli fu alleata e don Achille diede, convinto, la colpa alle lenti nere che il mister portava giorno e notte. Nel frattempo il Napoli lasciò il glorioso stadio del Vomero per trasferirsi al San Paolo, un impianto modernissimo da 100.000 posti adeguato allo straripante entusiasmo della folla partenopea. Il primo scontro contro i campionissimi della Juventus: era il 6 dicembre 1959, vittoria beneaugurante degli azzurri.
Il nuovo stadio riuscì ad arginare il vergognoso fenomeno della caccia all'arbitro da parte della teppaglia più facinorosa. Leggendario il salvataggio da parte di Lauro in persona del direttore di gara De Marchi: catturato dalla folla inferocita fu liberato dall'oratoria del Comandante all'apice della fama:"Fitient e merda iatevenn e case vostre".Nonostante i cambi continui di allenatori ed un parco giocatori tutto sommato dignitoso, il Napoli conosce l'onta della retrocessione in serie B.
In squadra ci sono giocatori di rilievo nazionale, dal portiere Bugatti agli attaccanti Pivatelli e Gratton,ma le sconfitte sono continue.
Si è rotta l'armonia nella società e le quotazioni di Lauro presidentissimo azzurro calano vertiginosamente. Ogni partita è un corteo di fischi, frutto anche della mutata situazione politica della città.
Si chiama alla guida della squadra Attila Sallustro, un’ illustre bandiera, sperando che possa rappresentare uno stimolo per tutti, ma purtroppo si precipita verso il baratro giorno dopo giorno.
Si pagano gravi errori nella conduzione tecnica, tra cui la rinuncia ad un giocatore come Vinicio, frettolosamente giudicato finito, il quale, viceversa, giocherà ancora per molti anni ad altissimo livello, vincendo trentasettenne la classifica dei capo cannonieri.
E la partenza di Vinicio rappresentò per Lauro un dolore continuo, che si riacutizzava al racconto dell'eroiche gesta del suo figlioccio.Mal consigliato, ripeteva continuamente sconsolato:"Mi avevano detto che era finito, che strunz so' stato".
Il Comandante aveva speso in dieci anni oltre due miliardi, per trovarsi con la squadra in serie B e con un gruppo di giocatori del valore di nemmeno duecento milioni. Ma non si dà per vinto, mette la mano al portafoglio e prepara uno squadrone, che affida a Baldi, allenatore famoso per aver traghettato più di una squadra dall'inferno della serie cadetta al paradiso della serie A.
Nonostante i rinforzi, l'inizio del campionato è disastroso e la squadra si trova a combattere per non retrocedere in serie C (anche i nostri padri hanno sofferto!).
Baldi, inascoltato dai giocatori, chiede sconfortato di essere sostituito. Il Comandante, in una caotica riunione a casa sua con i più stretti collaboratori, decide di correre ai ripari. Convoca Pesaola , che stava imparando il mestiere di allenatore al timone di una compagine di serie D e gli affida fiducioso il comando del Napoli. Il Petisso dà la carica alla squadra, instaurando un clima di concordia tra i giocatori. Le vittorie cominciano a fioccare e nell'ultima partita, vincendo per uno a zero a Verona,nella tana dei leghisti ante litteram, il Napoli conquista la sospirata promozione.
Residuerà una coda di velenose polemiche, con l'accusa, mai dimostrata, di corruzione del portiere avversario da parte di alcuni tifosi partenopei.
Ma la permanenza in A sarà di breve durata. Il San Paolo diventerà terra di conquista anche da parte delle provinciali,ansiose di dimostrare a giocatori milionari come si gioca con impegno.
Lo stadio,ritenuto inespugnabile, grazie al medioevale fossato di protezione,sarà violato dai tifosi inviperiti, che,con furbizia, supereranno l'ostacolo con l'ausilio dei tabelloni pubblicitari abbattuti, che fungeranno da passerella verso l'arbitro. I danni saranno ingenti, con decine di feriti e centinaia di milioni distrutti in pochi minuti. Non ci sarà giorno più nero nella storia del Napoli ed anche per Lauro il calo d'immagine sarà devastante, con una perdita di voti di tipo emorragico. La sua lista, abituata a maggioranze assolute schiaccianti, raggiungerà un misero 11%.
La situazione societaria divenne estremamente caotica e Lauro, amareggiato, fece capire chiaramente che si era stancato di continuare a sopportare da solo il peso della squadra. In tutti questi anni il presidente del sodalizio era stato Alfonso Cuomo, un industriale conserviero,ma egli era semplicemente un prestanome, perché tutte le decisioni venivano prese dal Comandante.
Dalla barca che affonda scappa anche don Achille,la situazione della società è disperata. Il prefetto viene interessato dal governo a cercare una soluzione e si crea una diversa struttura proprietaria.
Nasce così la prima società per azioni nel mondo del calcio, largamente in anticipo sulle norme federali, con un capitale nominale di 120 milioni così suddiviso:40% a Lauro, 22% a Corcione, un costruttore e 34% a Roberto Fiore, che sarà per un breve periodo presidente del Napoli.
Nella nostra città giunsero due grandi giocatori: Sivori ed Altafini, grazie all'interessamento di Lauro,che convinse Agnelli a svendere l'asso argentino in cambio di un contratto per la fornitura dei motori di due transatlantici gemelli.
I due funamboli fecero impazzire la folla che rimpinguò le casse del Napoli, battendo ogni record nazionale di abbonamenti:oltre un miliardo. Un quarto posto e l'anno successivo addirittura secondi alle spalle del Milan. Mentre la squadra finalmente raccoglie lusinghieri successi sul campo, la società soffre di rivalità e lotte interne. Il presidente Fiore, messo in minoranza dal gruppo laurino, è costretto a rassegnare le dimissioni. Il 17 dicembre 1967 lascia il suo posto a Gioacchino,il figlio terribile di don Achille.Egli condurrà una gestione paternalistica, sotto l'ala protettrice del padre-padrone, con il portafoglio sempre pronto e, quando non bastava, con il libretto degli assegni.
"Premi e stipendi saranno sempre garantiti , nessuna preoccupazione economica" soleva ripetere fino alla noia. Arriveranno, grazie a lui, grandi giocatori come Claudio Sala e Barison ed in porta il plurinazionale Dino Zoff.
Gioacchino seppe instaurare un buon rapporto con i giocatori che appestava benevolmente negli spogliatoi dopo la partita con i suoi inseparabili sigari cubani, procurati per lui dal fornitore personale del" Lidermaximo", il barbutissimo Fidel.
Un male incurabile lo stroncò ancora giovane, con un solo rimpianto:non aver regalato lo scudetto al meraviglioso pubblico napoletano.
Dopo un breve interregno di Antonio Corcione, si prepara a comparire sulla scena la figura di un giovane ingegnere, costruttore, amante delle auto velocissime e stregato dal calcio:Corrado Ferlaino. Il suo impero durerà 33 anni e finalmente porterà lo scudetto, ben due volte, all'ombra del Vesuvio.
Seppe conquistarsi la presidenza con abilità, in un consiglio dove due fazioni, una favorevole a Lauro e l'altra contraria, si contendevano la presidenza. Il rappresentante del Comandante, l'avvocato Diamante, gli diede fiducia, perché a don Achille era piaciuto quel giovane così deciso.
Ferlaino riuscì a procurarsi il pacchetto azionario di Corcione e poi anche quello di Fiore.
Rocambolesco l'acquisto della quota in possesso della vedova Corcione, abitante ad un settimo piano. Mentre Fiore saliva comodamente in ascensore, l'ingegnere, memore del suo passato di atleta, percorrendo di corsa le scale, arrivò per primo e concluse l'affare.
Lauro non avrà più da quel momento una posizione di rilievo nella società, rimarrà presidente a vita, ma il destino del Napoli rimarrà saldamente nelle mani di Ferlaino, che, tra i tanti meriti, porterà nella nostra città Armando Maradona, i cui magici piedi faranno letteralmente impazzire i tifosi.
Lauro ha senza dubbio segnato un'epoca. Di lui non si può non ricordare la grande personalità. A lui si deve lo stimolo per la costruzione dello stadio San Paolo
Ebbe sempre grande personalità e seppe sempre porsi davanti ad uomini e fatti, nella buona e nella cattiva sorte, con grande determinazione.
Nella sconfitta conservava sempre una grande dignità.
Ha vissuto la vita del calcio Napoli per oltre 40 anni con risultati alterni, ma sempre con la stessa passione. Aveva una visione romantica del calcio, non solo come fatto tecnico, ma soprattutto come spettacolo per il pubblico che fa grandi sacrifici economici per andare allo stadio.
Acuta ricostruzione storica di un testimone d'eccezione, l'ingegnere Corrado Ferlaino, presidente del Napoli per oltre 30 anni, l'uomo degli scudetti e di Maradona.
Il 17 maggio 1942 è la data di un episodio unico negli annali del calcio. Il vecchio e glorioso stadio Ascarelli, ignaro del tremendo bombardamento dell'anno successivo che lo avrebbe ridotto ad un cumulo di macerie, assistette ad una memorabile sfida tra portieri, che erano fratelli e vestivano casacche diverse.
Le squadre, il Napoli ed il Modena, i due estremi difensori a confronto, Sentimenti II e Sentimenti IV.Viene assegnato un rigore decisivo, ma nessuno degli attaccanti se la sente di sfidare Sentimenti II,che si era conquistato una leggendaria fama di"ammazzarigorista", parando consecutivamente 12 penalty, tirati da specialisti famosi, tra i quali: Frossi, Meazza e Piola.
Dall'altra parte del campo si fa avanti allora l'altro portiere, il fratello Sentimenti IV,che dopo una breve rincorsa, novello Caino, trafigge il germano con un tiro all'incrocio dei pali, interrompendo una imbattibilità giustamente divenuta mitica.
Era lo stesso Lauro a raccontare spesso questo irripetibile scontro,rimembrando tempi eroici, quando gli allenamenti erano quasi quotidianamente interrotti dal lugubre suono delle sirene e la vita di tutti era legata ad un filo.
Sentimenti II,"Cherry", per i tifosi, è stato uno dei più grandi portieri italiani di tutti i tempi, ma aveva un carattere litigioso,tanto da venire varie volte espulso, evenienza rarissima per un portiere.
In uno di questi casi gli viene decurtato il premio di partita: mille lire, una cifra cospicua a quei tempi, quando si sognava e si cantava di poterle avere…una volta al mese.
Sallustro chiede ai dirigenti di poter rinunciare al suo premio in favore del compagno e questi, colpiti dalla sua generosità, perdonano il gesto d'intemperanza del portiere e gli assegnano il premio che gli spettava. Una favola d'altri tempi,quando l'amicizia prevaleva sul denaro. Il regno di Corrado Ferlaino durerà, come abbiamo detto,oltre trent’anni e porterà, grazie al grande colpo, l’acquisto di Maradona, a due scudetti che faranno letteralmente impazzire la città.
La campagna abbonamenti batte ogni record con settantamila blocchetti venduti, si giocava costantemente con lo stadio esaurito in ogni ordine di posti. Al centro dell’attacco un bomber pagato due miliardi: Beppe Savoldi.
[continua]
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