L'arco dell'anticaglia |
Napoli è l’unica città moderna occidentale che abbia conservato nel centro antico la rigida struttura ippodamea con una suddivisione in decumani tagliati perpendicolarmente da cardini. Il decumano superiore, nonostante il nome, non solo nell’antica definizione, ma soprattutto per una abbondanza di reperti di grande interesse è completamente trascurato dal flusso turistico e sconosciuto agli stessi Napoletani.
Tutti passeggiano per Spaccanapoli, attenti a scansare motorini, scippatori e questuanti, attirati dalle vetrine dei numerosi esercizi commerciali. E solo pochi si avventurano lungo i cardini contorti che conducono verso l’antica Acropoli di Neapolis e verso la così detta “Anticaglia”, un nome che già sembra definire una serie di ruderi sconnessi, difficilmente recuperabili alla fruizione pubblica. Una serie di saracinesche serrate da tempo ed ogni tanto una piccola bottega artigianale, di testardi che hanno voluto continuare mestieri con scarsa clientela.
E poi una serie di bassi, nei quali da alcuni anni è in atto una sorprendente mutazione antropologica. Infatti nei terranei fronte strada o collocati in decrepiti cortili, stanno scomparendo i migranti: Arabi, Africani, Pakistani, ed Ucraini, i quali si stanno spostando verso Porta Nolana e Forcella, zone dense di commerci, quasi tutti illegali ed al loro posto stanno tornando a vivere i Napoletani: giovani coppie, che non possono permettersi altro o lavoratori che al nord hanno perso il lavoro ed hanno dovuto tristemente fare ritorno ai patri lidi.
Il costo di un basso è tra i 400 ed i 500 euro, per un massimo di 40mq, ma la maggior parte è più piccola. A fronte delle dimensioni non mancano gli accessori, dalla parabola all’aria condizionata ed il mobilio, anche se di Ikea, è moderno e funzionale. Gli affitti sono tutti rigorosamente al nero.
Uno di questi, come ci racconta Treccagnoli, in una esaustiva inchiesta su Il Mattino, abita con la figlia un anziano pensionato dal nome illustre Derogatis, discendente dal luogotenente del Regno della due Sicilie.
Gli immigrati oltre a trasferirsi in altri quartieri più commerciali, salgono ai piani superiori, perché possono permettersi un affitto più alto e come condomini hanno studenti universitari fuori sede, mentre, timidamente comincia a comparire qualche Bed e Breakfast, per forestieri di miti pretese.
Per queste strade dove la Storia ha abdicato, ma la vita non si arrende, il motorino strombazzante è il padrone del tempo e del suono, costringe a gridare anche se sei a due passi dal tuo interlocutore. Gli scooter possono addirittura trasformarsi in un informe cumulo di monnezza. Rifiuto speciale e ingombrante. Proprio fuori il convento di Santa Maria di Gerusalemme, le famose Trentatré, sotto il cartellone turistico, è ammucchiato, abbandonato, buttato via un numero imprecisato di motorette, intere e a pezzi, parzialmente coperte da un telone. A occhio e croce saranno una ventina. Stringono ancor di più la meschina carreggiata. Se provate a chiedere che ci fanno qui ricavate solo una raffica di alzate di spalle. Nessuno sa. omertà su due ruote. Forse; mormora qualcuno senza neanche guardarvi in faccia, un'officina di meccanico ha chiuso e ha pensato di sgomberare, buttando tutto in mezzo alla strada. Se vi serve un pezzo di ricambio sapete dove andare a cercarlo: in questo scasso illegale e improvvisato; Ma lo fate a vostro rischio e pericolo.
un tratto del decumano superiore |
degrado lungo il decumano superiore |
Uno scasso improvvisato |
All’anticaglia tutto diventa direttamente un rudere, come le insegne stradali e turistiche rotte a sassate o,nel migliore dei casi coperte e verniciate con scritte blasfeme.
Nel frattempo le mura esterne del teatro romano dove si esibiva Nerone, stanno perdendo, giorno dopo giorno, i mattoncini rossi portati via dai turisti come souvenir.
E pensare che Nerone amava esibirsi davanti al caloroso pubblico napoletano e pagava attraverso i suoi scagnozzi i gruppi che lo applaudivano con più sonorità. Nascono le claque ed alcuni strumenti tipici, dal triccaballacche al putipù in grado di moltiplicare il rumore.
Il fascino disperato dell'Anticaglia inizia dalla toponomastica distrutta. I nomi dei vicoli sono spesso irriconoscibili. Pietre romane convivono con pietre rotte sui muri. E il nome della via prende spunto proprio dal «resto», dalle cose antiche che già i napoletani del Seicento notavano sparse tra via della Sapienza, via Santi Apostoli e via dell'Anticaglia, appunto, che separava la parte civile della città dall'acropoli, zona dei templi. Eccole, le due arcate giganti del teatro romano, antica gloria dell'antica Neapolis. Secondo Svetonio, Nerone cantava lì, costringendo i napoletani ad acclamarlo nonostante il terremoto, come capitò la sera del debutto dell'imperatore. Anche Seneca parla dell' Anticaglia, scrivendo che per andare a lezione di filosofia era da lì che bisognava passare: dove oggi ci sono motorini che sfrecciano in mezzo alle discariche di motorini. Come sotto l'insegna della Chiesa delle Trentatré Monache.
L'angelo della storia, finito l'impero romano, all'Anticaglia porta in dono il barocco. Un pullulare di grandi architetti, concentrati a edificare capolavori di cui oggi sono violati da pessimi graffitari perfino i cartelli che ne ricordano i nomi. Così è per la chiesa di Santa Maria della Sapienza, che conserva tra l'altro anche dei Luca Giordano. Due passi più in là, in largo Regina Coeli, il busto del guerriero aragonese, nel palazzo Bonifacio, è un tutt' uno coi panni stesi. Poi l'Anticaglia ospita gli Incurabili. Un pezzo fondamentale della storia della medicina fondato nel 1521 da Maria Lorenza Longo i soldi sono pochi e le mura diroccate, ma tra uno sforzo e l'altro, grazie anche all'impegno dei dipendenti del Museo delle Arti Sanitarie, l'antica Farmacia è rimessa in sesto. Lì sopra è stata da poco scoperta la stanza di Ferdinando Palasciano, chirurgo-eroe, parlamentare e amico di Garibaldi.
Torniamo in strada. il decumano superiore non conserva più niente del decumano romano. Nessun percorso lineare, ci si perde nel disordine di un passato che chiede con timida forza di essere riammesso nel presente.
Non possiamo concludere la passeggiata per il Decumano Superiore senza accennare all’ospedale degli Incurabili e soprattutto alla storia della sua fondatrice: la nobildonna Lorenza Requenses, più nota come Maria Longo.
Farmacia dell'ospedale degli Incurabili |
Un basso accessiato |
Nacque a Barcellona nel 1463, a vent' anni andò in sposa a Giovanni Longo, ministro del re di Napoli Ferdinando III il Cattolico. Lo seguì sotto il Vesuvio nel 1506, fu moglie dolce e madre paziente. Un anno dopo le nozze il marito ripartì per Madrid col suo sovrano, lei decise di restare. Nel 1509 una lettera dalla Spagna le annunziò ch'era rimasta vedova. La sua vita era già un calvario per i dolori tormentosi alle mani e per una semiparalisi, non si sa se causati da una grave forma di artrite reumatoide o da un veleno mescolato al cibo da una serva gelosa. Trovò conforto nella fede. Nel 1516 intraprese il viaggio della speranza al santuario della Santa Casa di Loreto. Il 16 giugno, in quella chiesa, un lungo brivido annunciò la guarigione. Rispettando un voto, dedicò il resto della vita alla cura dei malati ed entrò nel Terzo ordine secolare di San Francesco col nome di Maria Lorenza. Per alcuni anni s'impegnò nelle corsie del dolore, soprattutto nell'ospedale di San Nicola al Molo Piliero, nei pressi di del Maschio Angioino. Erano tempi orrendi, la popolazione falcidiata da guerre, epidemie; carestie, soprusi continui. Medici e assistenti facevano il possibile, ma mancava un struttura che potesse accogliere un più vasto numero d'infermi.
La svolta avvenne nel 1518 grazie all'incontro col notaio genovese Ettore Vernazza, vagante in mezza Italia per promuovere l'opera degli Incurabili. La parola non stava a indicare persone condannate dalle malattie inguaribili, bensì coloro che erano sottratti alle cure dalla miseria: i poveri, insomma. In un primo tempo Maria si schermì, poi l'idea in lei si trasformò in missione. Nella zona del Carmine già esisteva il primo Incurabili napoletano ma era angusto, insufficiente. Maria chiese aiuto, come invocando la carità, ad amici potenti. In soli due anni la struttura era ben delineata. L'inaugurazione avvenne il 23 marzo 1522.
La struttura era all'avanguardia, fin dall'inizio c'erano reparti specialistici e servizi moderni: cucine, forno per il pane, farmacie, macello, guardaroba, biblioteca, una scuola medica di primo livello con un teatro anatomico, un servizio di interpreti per gli stranieri. Un punto di orgoglio per la città, una calamita per la Compagnia dei Bianchi, famosa per la triste assistenza ai condannati a morte, portati agli Incurabili dopo l'esecuzione. Finalmente i napoletani e gli altri infermi venuti dal Sud erano uguali almeno di fronte alla malattia. L'ospedale ottenne subito numerosi privilegi papali. Su tutto vigilava Maria, con compito di rettora. Restò formalmente in carica per dieci anni.
Nel 1533, insediatisi a Napoli i Chierici Regolari Teatini, scelse come suo confessore Gaetano di Thiene, futuro santo. Fu lui a spingerla a entrare in clausura. Il 19 febbraio 1535, con la bolla Debitum Pastoralis Officii, la donna fu autorizzata da Papa Paolo III a fondare un nuovo monastero sottoposto alla Regola di Santa Chiara, ebbe il nome di Santa Maria in Gerusalemme. La prima sede fu in alcuni locali annessi agli Incurabili ceduti da Maria Ajerba, duchessa di Tennoli e grande amica di Maria. Presto il convento fu detto delle Pentite, poiché le consorelle erano prostitute guarite dalla sifilide e convertite. Il 30 aprile 1536, con la bolla Alias nos, il pontefice concesse di portare il numero delle monache a trentatré, quanti furono gli anni di vita di Gesù. Era diventata badessa e, dopo aver riformato la sanità, inseriva elementi novità anche nella vita monastica. Aveva saputo dimostrare che fede e scienza non sono inconciliabili.
Nel 1538 le monache lasciarono la sede provvisoria per la chiesa di Santa . Maria della Stalletta, trasformato nel protomonastero di Santa Maria in Gerusalemme: la direzione delle monache passò ai frati Cappuccini, di cui le religiose adottarono le costituzioni ed assunsero il nome.
Gli anni correvano e la salute declinava, tornò la paralisi. Nel 1539 Maria rinunciò al ruolo di badessa. Morì tre anni dopo. Il popolo non ebbe dubbi: era una santa. Ne ebbe ulteriore prova quando il suo corpo fu disseppellito per porvi accanto quello di Maria Ajerha: si sprigionò un intenso odore di viola, come quello che accompagnò Padre Pio. Invece santa non diventò e non è ancora diventata, dopo cinque secoli. Il processo ordinario informativo fu aperto a Napoli solo nel 1880, dodici anni dopo Leone XIII incardinò la causa, i processi apostolici sulle virtù furono impiantati a Napoli dal 1893 al 1904. Il Postulatore generali dei Cappuccini, padre Florio Tessari, nel 2004 inviò una sollecitazione al cardinale Giordano. Ora il processo di beatificazione sembra ben avviato. Ma la gente non ne ha bisogno, continua a non aver dubbi, basta rileggere !'iscrizione negli Incurabili: «Qualsiasi donna, ricca o povera, patrizia o plebea, indigena o straniera, purché incinta bussi e le sarà aperto».
E' possibile leggere dati demografici sulla popolazione residente al decumano superiore?
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