domenica 8 settembre 2013

LO SCRITTORE OPERAIO

Erri De Luca

Erri De Luca nasce nel 1950 a  Napoli in una famiglia della media borghesia. Dopo gli studi al Liceo Umberto si trasferisce a Roma dove abbraccia l’azione politica, respingendo la carriera diplomatica alla quale era avviato. Negli anni ’70 è dirigente attivo del movimento d’estrema sinistra Lotta Continua. Sarà in seguito operaio qualificato alla FIAT, magazziniere all’aeroporto di Catania, camionista e muratore: come tale lavorerà in cantieri francesi, africani ed italiani. Benché non avesse smesso di scrivere dall’età di vent’anni, il suo primo libro, Non ora, non qui, è pubblicato in Italia soltanto nel 1989. Ha praticamente quarant’anni al momento di questa prima pubblicazione e continua a lavorare nell’edilizia. Durante la guerra nella ex Iugoslavia, è conducente di convogli umanitari per la popolazione bosniaca. Autodidatta, ha imparato numerose lingue tra cui l’yiddish e l’ebraico per tradurre la Bibbia, alla quale dedica ogni giorno un’ora di lettura, anche se si dichiara non credente.
Ha ricevuto, in Francia, il premio France Culture nel 1994 per Aceto, arcobaleno, il Premio Laure Bataillon nel 2002 per Tre cavalli (congiuntamente alla sua traduttrice francese, Danièle Valin) ed il Femina Étranger, ugualmente nel 2002, per il romanzo Montedidio. E’ collaboratore de Il Mattino, La Repubblica, Il Manifesto ed altri quotidiani. Per la sua compagna, la brigatista Barbara Balzerani, ha scritto Ballata per una prigioniera.
Vive nella campagna romana ed è amante della lettura. Suoi libri preferiti sono La montagna di Thomas Mann ed il Don Chisciotte di Cervantes. Nel 2003 ha fatto parte della giuria del Festival di Cannes.
Nel 2011 partecipa alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio, dove ha presentato l’ultimo libro I pesci non chiudono gli occhi edito da Feltrinelli.
Erri De Luca ha esordito come poeta nel momento in cui la sua consacrazione ad autore di culto è già avvenuta. Nel 2002, a 52 anni, la collana “bianca” di Einaudi pubblica Opera  sull'acqua, sua prima prova poetica. Nei lavori di De Luca compaiono spesso le figure di Cristo e  della Madonna, in special modo ne In nome della madre (Feltrinellí 2006), racconto in prosa  cui si alternano, non a caso, all’inizio ed alla fine, alcuni componimenti in versi. Il senso paolino della croce come “scandalo”, pietra d’inciampo, è perfettamente rivissuto dallo scrittore, che da non credente dichiarato, non può essere tacciato  di devozionismo e racconta la storia di Cristo quasi come una provocazione mentre la Madre, che già conosce il destino che Dio ha riservato loro, si sforza umanamente di tenerlo all’oscuro della storia, proteggendolo dalla sua stessa identità divina, per farne solo un bambino come gli altri.
Nella poesia inedita Pietre c’e ancora un richiamo a Gesù, lo sconosciuto accovacciato in terra che invita chi è senza errore a tirare per primo la pietra  di lapidazione:
“Pietre
So le pietre da lanciare, in pochi contro molti
e ho visto pietre contro armi da fuoco.
Ho maneggiato pietre sui cantieri
ho abbattuto pareti, costruito case.
Ci sono stati giorni per lanciare pietre
e gli anni per rinchiuderle nei muri.
Ma non conosco le pietre di lapidazione
scagliate all'indifeso.
Chi è senza errore, tiri lui la prima,
disse lo sconosciuto accovacciato in terra.
Chi è senza errore: non chi si è dato autorità di legge.
Chi è senza errore ha diritto di alzarsi per colpire.
Chi è senza errore: perchè non lo farà.
Chi lancia pietre di lapidazione profana il regno minerale,
la materia di vulcani e stelle,
il letto dei fiumi e i frantumi dei fulmini.
Chi lancia pietre di lapidazione
possa il suo braccio irrigidirsi in pietra
e lui sia maledetto di rimbalzo”.
Pietre è un inno contro la guerra. E la guerra De Luca l’ha conosciuta nella ex Jugoslavia, dove si è recato  per essere “volontario muratore di  pace”, descrivendo l’emozione provata a Mostar, sul ponte assurto a simbolo di quell’assurdo conflitto: "Fu a causa del ponte. Vengo da una città di mare, senza fiumi, il ponte per me era una figura astratta della geometria e la sagoma rara dell' arcobaleno. Sapevo dalla narrativa che ci dormivano sotto quelli senza riparo. Poi in una città lontana dalla mia, ne attraversai uno a piedi, affacciandomi al parapetto per vedere la corrente. L' ho amato subito, al primo passaggio e a prima vista. Ho amato le sue zampe piantate una di qua e una di là a saltare lo sbarramento delle acque. Fu a causa del ponte, di quello distrutto dai Croati di Mostar ovest, fu quell' abbattimento che mi agitò e mi prese per il bavero. Era un antico manufatto musulmano, in pietra bianca, la perfetta parabola di un sasso lanciato da una sponda e caduto sopra quella opposta. Era lo Stari Most, il Vecchio Ponte di Mostar est, la sponda musulmana. Aveva quattro secoli di tuffi, di piedi che staccavano lo slancio dal suo bordo per infilarsi nella schiuma verde della Neretva, dopo quindici metri circa di caduta. I musulmani della sponda est avevano cercato di proteggerlo, rivestendolo di copertoni di camion. Era diventato una barca coi parabordi fuori: questo è il suo ultimo fotogramma, prima dello schianto, in un giorno di novembre del ' 93. Eretto dai turchi nel 1556, il maestoso Ponte di Mostar crollò il 9 novembre 1993 per un colpo di mortaio esploso dalle truppe croato-bosniache. Lungi dal costituire un obiettivo strategico, lo Stari Most era il simbolo della convivenza pacifica tra le due parti della città, quella croata e quella musulmana. I lavori di ricostruzione sono cominciati il 7 giugno del 2002 e il nuovo ponte sul fiume Neretva è stato inaugurato il 23 luglio 2004”.
Notevole è il nuovo lavoro di Erri De Luca, Il giorno prima della felicità, (Feltrinelli ), romanzo sulla Napoli che si ribella. E’ un contenitore di storie che ruota intorno al rapporto paterno tra un orfano dei Quartieri nei primi anni '50 ed il portiere del suo palazzo, don Gaetano. Il ragazzo, "lo Smilzo", apprenderà dal suo maestro quel che c'è da sapere per cavarsela, ma anche l'appartenenza al popolo della sua città. Una specie di "iniziazione della coscienza". Le storie di don Gaetano danno luce alla storia del ragazzino, monca di memoria. Sullo sfondo la Napoli delle Quattro Giornate, che si ribella e conosce la libertà, una città diversa ed opposta rispetto all’attuale, dove la politica trova poco spazio ed è difficile combattere "contro un nemico che è Napoli stessa".

Erri De Luca


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