Una felice mescolanza di popoli e razze
Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
I risultati di questa ultra secolare stratificazione è stata la creazione dell’animus del napoletano: socievole, pronto a fare amicizia, disponibile ad aiutare il forestiero ed a favorirne l’integrazione nel tessuto sociale.
Miti e tradizioni hanno subito una trasformazione che ne ha fatto dimenticare i caratteri originari. Un solo esempio fra tanti: la festa di Piedigrotta che, da rito pagano orgiastico in onore del dio Priapo, è divenuta prima una festa religiosa per scatenarsi poi, soprattutto in epoca laurina, in un’esplosione gioiosa di energie primordiali tra maestosi carri allegorici, coppoloni, mano morte, schiamazzi e trasgressioni di ogni tipo.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’Estero, privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli argini come un fiume in piena.
Miti e tradizioni hanno subito una trasformazione che ne ha fatto dimenticare i caratteri originari. Un solo esempio fra tanti: la festa di Piedigrotta che, da rito pagano orgiastico in onore del dio Priapo, è divenuta prima una festa religiosa per scatenarsi poi, soprattutto in epoca laurina, in un’esplosione gioiosa di energie primordiali tra maestosi carri allegorici, coppoloni, mano morte, schiamazzi e trasgressioni di ogni tipo.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’Estero, privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli argini come un fiume in piena.
Migranti
Campo rom
Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab, couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa. Ma la sera, scomparsi gli ambulanti, cominciano a confluire razze di ogni tipo: magrebini, cinesi, rumeni, polacchi, somali, nigeriani, che si posizionano senza alcun tentativo di instaurare un principio armonico di convivenza.
E questa situazione di cesura la percepiamo più distintamente se ci trasferiamo nelle favelas e nelle baraccopoli che costituiscono le dimore di questi poveri disperati ed il fenomeno può essere osservato chiaramente se prendiamo come punto di riferimento il parco fantasma della Marinella. Una vergogna nel cuore della città; laddove doveva sorgere uno spazio verde di 30000 mq. Ci sono soltanto baracche e veleni, dolore e lacrime, miseria ed abbandono, emarginazione ed una punta di razzismo, mentre si respira la puzza del pesce marcio e si avverte il fruscio di ratti che si aggirano spavaldi tra i cumuli di monnezza.
L’unica nota lieta è il sorriso dei piccoli rom che tornano sorridenti dalla scuola con lo zainetto sulle spalle.La Marinella è un girone dantesco per uomini e donne che hanno commesso il solo peccato di esistere e di cercare lontano da casa un’opportunità per sopravvivere in un ghetto dominato dalle regole dell’apartheid, dove ogni giorno si scatena una guerra per bande per il controllo del territorio, con gli zingari nel ruolo di sopraffattori.
Le baracche hanno invaso buona parte dell’area ed ogni giorno ne spunta una nuova facendosi largo tra le montagne di rifiuti, mentre tutt’attorno carcasse di animali ed un rudimentale pozzo nero che travasa facendo suppurare una melma putrescente paradiso delle zoccole.
Campo rom
Campo rom
I primi a colonizzare il luogo furono gli arabi, dopo poco scacciati dagli africani e con loro vi è anche un gruppo di ucraini senza permesso di soggiorno. Poi sono arrivati i nomadi che vivono rubando ferro e rame e 3-4 volte alla settimana bruciano pneumatici per estrarre il metallo ammorbando l’aria.
Gli unici volontari che si fanno vedere sono quelli della Caritas, portano marmellata e Nutella, ma la popolazione ha bisogno di cibo vero e si beffano gettandole via, ripetendo senza sapere che la storia si ripete ed il pane non si sostituisce con le brioche come al tempo della regina Maria Antonietta.
Un altro problema parzialmente affrontato è il rispetto della libertà di culto per stranieri di fede diversa dalla nostra, soprattutto islamici. Il sindaco De Magistris ha promesso che saranno realizzati una nuova moschea ed un cimitero, ma fino ad oggi il luogo di preghiera è costituito, salvo una piccola moschea in Via Corradino di Svevia, dall’immensa Piazza Mercato dove il venerdì vi è una folla straripante che ascolta un Imam originario di Boscotrecase e convertitosi nel 1996, quando il ritrovamento di una moneta araba fu come una folgorazione e lo spinse a studiare Shari’a a Medina. Egli ritiene che solo l’Islam è la vera religione dei poveri e degli ultimi.
Osservare un migliaio di ragazzi stranieri radunarsi in uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della sua storia, pregare sotto la guida di un Imam napoletano, mentre tutt’attorno si svolge il solito caos quotidiano ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente dell’Occidente.
Un altro problema parzialmente affrontato è il rispetto della libertà di culto per stranieri di fede diversa dalla nostra, soprattutto islamici. Il sindaco De Magistris ha promesso che saranno realizzati una nuova moschea ed un cimitero, ma fino ad oggi il luogo di preghiera è costituito, salvo una piccola moschea in Via Corradino di Svevia, dall’immensa Piazza Mercato dove il venerdì vi è una folla straripante che ascolta un Imam originario di Boscotrecase e convertitosi nel 1996, quando il ritrovamento di una moneta araba fu come una folgorazione e lo spinse a studiare Shari’a a Medina. Egli ritiene che solo l’Islam è la vera religione dei poveri e degli ultimi.
Osservare un migliaio di ragazzi stranieri radunarsi in uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della sua storia, pregare sotto la guida di un Imam napoletano, mentre tutt’attorno si svolge il solito caos quotidiano ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente dell’Occidente.
Preghiera islamica
Preghiera islamica
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