24/10/2010
Il calcio, almeno per i tifosi napoletani, perciò per gran parte della popolazione, non è soltanto un gioco, ma una vera e propria mania, a volte una malattia, in grado di esaltare la fantasia, ringalluzzire l’orgoglio, suscitare passioni sfrenate e creare miti e rivalità che sfidano il tempo diventando leggenda, come quella tra Maradona e Pelè.
Il sommo Diego vivrà a lungo nella memoria collettiva dei napoletani, che non finiranno mai di ringraziarlo per aver riscattato l’onore ferito di una città, umiliata per decenni dallo strapotere delle squadre del nord e per aver vinto due scudetti, impresa mai riuscita nemmeno ai tempi di Vinicio e del comandante Lauro o di Sivori ed Altafini.
“Meglio di Pelè, forse Gesù e qualche volta Dio”, lo definiva entusiasta Menotti, il commissario tecnico della nazionale argentina, una definizione che tutti i tifosi partenopei condividerebbero entusiasti.
Due numeri 10 che condividono alla pari fama, celebrità planetaria e compleanno. Stesse origini povere, da favela e da barrio, uno nero l’altro indio, stessi soprannomi eclatanti, coniati da dotti letterati e da gente comune. Due personaggi alle prese con la droga, Diego con la cocaina, Pelè con quella del figlio, un dramma comune che li fece abbracciare commossi davanti alle televisioni di tutto il mondo, riconoscendosi nel dolore dell’altro; un attimo fuggente, prima di ritornare alla rivalità ed alla competizione.
Maradona amico del rivoluzionario Castro, Pelè in grado per una partita di attirare più fotografi del presidente degli Stati Uniti. A Diego i finanzieri hanno sequestrato l’orecchino per via delle tasse evase, mentre a Pelè i ladri restituiscono l’auto rubata, appena lo hanno riconosciuto. Il primo si fa ritrarre senza problemi nudo tra le bolle di sapone, il secondo non esita a fare pubblicità al Viagra.
A distanza di pochi giorni hanno festeggiato l’uno 70 anni, l’altro 50, ma sono destinati a vivere in eterno nella memoria di coloro che hanno avuto il raro privilegio di ammirare i loro irresistibili dribbling.
Chi li ha ammirati allo stadio ha percepito la stessa emozione di chi ha visto lavorare a teatro Totò o Eduardo o ha ascoltato un concerto dei Beatles. Si può immaginare che un’eguale emozione la possono aver provato coloro che hanno avuto la fortuna nei secoli scorsi di partecipare ad un’esibizione di Mozart bambino o recitare gli attori della compagnia di Shakespeare o, andando ancor più a ritroso nel tempo, gli amanti di Cleopatra.
Chi dei due fuoriclasse è stato il migliore? Inutile chiederlo ai napoletani. Nessun dubbio a proposito: il pibe de oro surclasserebbe o Rei in qualsiasi inchiesta, come recita il famoso ritornello cantato in maniera ossessiva allo stadio San Paolo: Maradona è meglie ‘e Pele, ci avimma fatto o mazzo tanto per lavè…
Un giudizio obiettivo però deve tenere conto di numerosi fattori, perché il calcio non è solo un repertorio di goal e di titoli di campione del mondo, ma anche e soprattutto un crogiuolo di passioni e sentimenti, che si estrinsecano nel breve lasso di 90 minuti.
La classe potente del brasiliano, che incantava gli sportivi o la geniale perfezione tecnica dell’argentino, capace di portare al delirio la folla delle curve e delle tribune?
Pelè ha rappresentato non solo il prototipo del giocatore perfetto, ma anche l’apostolo della serietà e della correttezza, l’antitesi del fantasioso personaggio che ha trasformato il calcio in una sorta di spettacolo circense e la sua vita in un romanzo avventuroso condito da talento ed eccessi, escort e polvere bianca, peccati e resurrezioni.
Tra i due modelli i napoletani hanno scelto senza incertezza, incoronando il pibe, numero 1 e dedicandogli addirittura un’edicola sacra nel centro della Napoli antica, che conserva una sua preziosa reliquia: un capello, che ci permetterà tra mille anni di clonarlo e di avere di nuovo, per la gioia dei nostri discendenti il più grande giocatore di calcio di tutti i tempi.
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