sabato 12 novembre 2011
L’ALTISONANTE URLO DI SGARBI
Per chi ha assistito alle composte trasmissioni di Tribuna politica, con un conduttore serafico, un gruppo di giornalisti competenti ed il politico di turno, che dando del lei all’interlocutore, rispondeva puntualmente senza subire alcuna interruzione, passare all’ascolto delle baraonde televisive, nelle quali, decine di personaggi cercano disperatamente di sovrapporsi all’avversario politico, unicamente sul piano sonoro, senza alcuna preoccupazione per la logica o per la verità, rappresenta un trauma difficile da superare ed induce a cambiare rapidamente canale alla ricerca di un programma diverso, di qualunque genere, purché non si parli di politica in maniera così sguaiata ed inconcludente. Numerosi sono gli alfieri di queste scriteriate trasmissioni, uomini e donne senza differenza, dalla focosa Mussolini, al puntiglioso Ghedini, dalla Turco, in grado delle affermazioni più risibili senza arrossire, al rissoso Bondi, dallo sguardo truce e vendicativo, dall’ineffabile Capezzone all’inviperita Santanchè, dal vanesio Franceschini alla virginale Bindi, ma tutti sono nel loro diapason iperbolico figli dell’urlo di Sgarbi, una meteora acustica entrata da tempo immemore nella classicità catodica, più dell’urlo di Munch, che impallidisce sbiadito al confronto o di quello animalesco di Tarzan, impersonato dal possente Weismuller, un vagito neonatale rispetto al clangore assordante dell’ineffabile Vittorio.
Sgarbi è un raffinato critico d’arte (posso confermarlo personalmente conoscendolo dai tempi in cui era alla corte di Federico Zeri), ma quando entra in contradditorio con chicchessia fa affidamento, non più sulla forza delle idee, ma unicamente sulla perentorietà vocale, più metallica che umana, della sua voce altisonante, superiore ai do di petto di Mussolini ed agli acuti di Pavarotti, certo che nessuno possa passare indenne attraverso un così abile uso del suono, capace non solo di far tremare un lampadario o rompere un delicato bicchiere di cristallo, ma soprattutto di far arrendere l’interlocutore dopo avergli perforato il timpano.
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