Quando si parla di “sceneggiata” si pensa a Napoli, mentre il teatro dei Pupi ci porta diritto in Sicilia. Invece anche questo tipo di rappresentazione popolare è nata a Napoli quando, durante gli anni del Viceregno, i “Titeros” castigliani trasferiscono all’ombra del Vesuvio un formulario ricavato dalle gesta eroiche di cavalieri in lucenti armature, impegnati in cruente sfide a colpi di fendenti.
Mal sul finire dell’Ottocento le turbolente vicende ricavate da L’Orlando il Furioso e dalla Gerusalemme Liberata cominciarono lentamente ad essere soppiantate da storie ambientate nel mondo della camorra ed i Pupi dismisero armature e spadoni per vestire gli abiti eleganti del “Masto”, il capo quartiere che dirime le questioni del guappo, abile con il coltello e sboccato nel linguaggio o della donna contesa, dalle forme esuberanti, causa di sfide tra pretendenti, che si concludono costantemente con un accoltellamento e copioso versamento di sangue, ottenuto da interiora di pollo, gettate al momento opportuno sul palcoscenico, mentre il pubblico esaltato grida “muori, omm’ ‘e merda!” e reclama il bis.
Questo ulteriore primato napoletano sarebbe rimasto disconosciuto senza il paziente lavoro di Alberto Baldi, docente di Antropologia culturale alla Federico II, il quale con un certosino lavoro di ricerca ha recuperato in polverose soffitte un materiale documentario dimenticato e condannato alla dispersione. Tutto andrà irrimediabilmente perduto se non viene reso pubblico ma, soprattutto, è importante che una lodevole iniziativa dell’amministrazione provinciale, di creare una piccola struttura museale di alcune stanze del convento di Santa Maria La Nova, possa trovare i modesti fondi per aprirsi alla pubblica fruizione creando così anche un’intrigante attrazione per i turisti.
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