Ci sono alcuni aspetti della corruzione contemporanea, che non rappresentano certo una novità della seconda repubblica, bensì costituiscono da 2000 anni l’ingrediente fondamentale sul quale si basano il potere e gli affari: il fascino sottile esercitato sui politici disposti a farsi corrompere da un seno procace gentilmente offerto o meglio ancora l’oscuro quanto caldo oggetto del desiderio a disposizione, in cambio di una firma o di una decisione favorevole. E non sono una novità neppure gli squallidi trans oggi tanto di moda e così richiesti dai politici, anche nell’antica Roma, nei festini di Trimalcione o durante le sfrenate orge di Tiberio all’ombra dei faraglioni, vi era una sorta di par conditio tra i sessi e robusti giovinetti attraevano quanto e più di formose fanciulle dall’imene intatto. Si sacrificavano all’altare dell’eros in egual misura teneri orifici maschili ed inesplorati anfratti femminili.
Il mestiere più antico del mondo non era più praticato nei sacri templi, ma nelle strade della Suburra, un quartiere posto a poche centinaia di metri dalla dimora dell’imperatore, dove abbondavano bordelli, bische, lenoni, prostitute e dove, come ci racconta Giovenale nelle Satire, si recava la stessa moglie dell’imperatore Claudio, non appena il marito si addormentava, avvolta da un mantello e con una parrucca bionda per camuffarsi, e lì dentro un lupanare sotto il falso nome di Licisca, si prostituiva tutta nuda con i capezzoli tinti d’oro e solo dopo ore di ardente libidine a stento placata dall’irruenza penetrativa di decine di maschi, ritornava nel talamo portando con sé il pungente afrore del postribolo.
Come dimenticare le nobildonne che l’astuto Cavour offriva in pasto ai potenti europei per il nobile scopo di costruire l’Italia? Sono le antenate delle moderne escort arruolate a dozzine per soddisfare le brame dei politici di oggi, resi ancor più potenti, almeno in campo erotico da robuste dosi di Viagra o da imbarazzanti quanto efficaci punturine di prostaglandine nei corpi cavernosi, in grado di far durare un’eternità l’amplesso di un vegliardo. Di queste abitudini goliardiche ci parlano i grandi letterati da Omero, Plauto ed Esiodo, fino a Zolla, Gadda e Sciascia.
“Comandare è meglio che fottere” era lo slogan della prima repubblica, l’unica variazione odierna è che ”Chi comanda vuole fottere”.
E la cultura del Capo dal vitalismo frenetico, dall’attivismo irrefrenabile e dall’eros insaziabile persevera attraverso il tempo: ieri Mussolini, oggi il Cavaliere e tutti a fare il tifo per lui, gli uomini orgogliosi, le donne invidiose, mentre un corteo di modesti comprimari, senza distinzione politica, sindaci, governatori, parlamentari e faccendieri, pesca nel torbido e nel pecoreccio, in una gaia atmosfera caratterizzata da eccitazione delle viscere ed atrofia del cerebro e da una definitiva scomparsa dell’etica sia pubblica che privata.
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