venerdì 10 gennaio 2020

Un capolavoro di Onofrio Palumbo

tav. 1 - Onofrio Palumbo - Loth e le figlie - 173x125 - Parma mercato antiquariale

Raramente capita di scoprire casualmente un capolavoro del Seicento napoletano e di identificarne l’autore dopo un attento studio dei particolari. Una simile esperienza ho provato la settimana scorsa a Parma, dove mi ero recato per presiedere un convegno sul delicato problema dell’eutanasia; la mattina ho curiosato tra i negozi di antiquariato in uno dei quali, in vetrina, era esposta, senza indicarne l’autore, una stupenda tela (fig.1) raffigurante un tema caro a molti pittori: Loth e le figlie.
Immediatamente ho percepito un afrore inconfondibile di napoletanità ed ho cominciato a confrontarmi con il quadro. Il primo intuito è stato di trovarmi al cospetto di uno stanzionesco, dalla pennellata pregna di cromatismo, sul tipo di Pacecco De Rosa, poi con un pizzico di audacia, ho pensato alla divina, quanto quotatissima Artemisia Gentileschi, per concludere alla fine, con certezza assoluta, dopo l’esame accurato di alcuni dettagli (fig.2–3–4–5) sul nome di Onofrio Palumbo, a lungo collaboratore della somma pittrice.
Un artista, mescolante elementi battistelliani e stanzioneschi, che viceversa negli ultimi decenni ha ricevuto da parte della critica più di un riconoscimento e che grazie ai contributi del Bologna, del Pacelli, della Pasculli Ferrara e di Stefano Causa è riemerso dal buio come una personalità interessante è Onofrio Palumbo, attivo prevalentemente intorno agli anni Quaranta.
Dopo una prima formazione avvenuta secondo la tradizione presso la bottega di Battistello Caracciolo, il pittore aderì in seguito alle novità introdotte da Artemisia Gentileschi e fu influenzato dalla pittura di Massimo Stanzione, come testimonia la sua opera più importante: il San Gennaro che intercede per la città di Napoli (fig.6), eseguita intorno al 1652 per la chiesa della Trinità dei Pellegrini, nella quale il Palumbo aderisce in pieno all’insegnamento del grande Massimo con convinta ed intima partecipazione sentimentale. Due importanti pale d’altare nella chiesa di Santa Maria della Salute, una Annunciazione ed una Adorazione dei pastori (fig.7–8), fanno oramai parte del suo non ampio catalogo, grazie ad una intuizione del Bologna confermata nel 1990 dal ritrovamento di carte d’archivio che datano le due opere al 1641.
Queste due tele, contrassegnate entrambe dai due angioletti volanti, caratteristica sigla del pittore, erano state in passato attribuite al Finoglia dal D’Orsi ed ad Antiveduto Gramatica dal Longhi: artisti che in ogni caso fanno parte del bagaglio culturale del Palumbo.
I putti svolazzanti avevano indotto viceversa in errore la critica che assegnava al Palumbo un’altra Adorazione dei pastori nella chiesa di San Sepolcro a Potenza, presentata come autografa anche alla mostra sulla Civiltà del Seicento, la quale ad un restauro ha rivelato la firma di Ricca.
Poche altre opere possono assegnarsi al Palumbo con sufficiente sicurezza, sulla guida del riconoscimento di quell’accoglimento dei modi stanzioneschi che costituirà la sua scelta definitiva.
Tra queste una seconda pala d’altare nella chiesa della Trinità dei Pellegrini, confermata dai documenti, rappresentante San Filippo Neri che raccomanda alcuni confratelli (fig.9) ed una Immacolata con San Giorgio e Santi nella chiesa di San Giorgio a Pianura, assegnatagli da Spinosa.
Molto convincente è la proposta del Loire di attribuire al Palumbo una Venere ed Adone del Museo Granet di Aix-en-Provance, in precedenza ritenuta del Vaccaro, per le spiccate similitudini nella disposizione spaziale dei personaggi e per le corpose assonanze tra la Venere e l’angelo dell’Annunciazione, che presentano identici: drappeggio, modellato del viso ed atteggiamento.
Altre proposte, autorevoli, anche se meno lampanti, sono state avanzate dal Bologna che cita in particolare un Sant’Andrea condotto al martirio della Galleria d’arte antica di Roma ed una Cleopatra abbandonata della Nasjonal Galleriet di Oslo, oltre ad altri quadri di santi e sante in collezioni private. Per il momento un catalogo esiguo, quasi a confermare il racconto del De Dominici il quale riferiva che l’artista non potette lavorare a lungo perché impegnato in una lunghissima lite giudiziaria con alcuni parenti, una controversia penosissima che pare abbia provocato all’artista una malattia mentale.
Una storia probabilmente fantasiosa, come ci ha abituato il De Dominici, si associa ad un recente rinvenimento documentario: un contratto di discepolato del 1631 tra il Palumbo ed il Trombatore, un atto notarile che ci fornisce dei nuovi dati biografici precisi sui quali ricostruire lentamente l’attività dei due ancora così sconosciuti pittori. Un piccolo tassello nella gloriosa storia del secolo d’oro della pittura napoletana.

Bibliografia
A. della Ragione - Il secolo d'oro della pittura napoletana- tomo IV, pag. 249 - 250 - Napoli 1998 – 2001
A. della Ragione - Repertorio fotografico a colori del Seicento napoletano, tomo II, pag. 84 - Napoli 2011

Achille della Ragione
tav. 2 - Onofrio Palumbo - Loth e le figlie - 173x125 (particolare) - Parma mercato antiquariale

tav. 3 - Onofrio Palumbo - Loth e le figlie - 173x125 (particolare) - Parma mercato antiquariale
 
  
tav. 4 - Onofrio Palumbo - Loth e le figlie - 173x125 (particolare) - Parma mercato antiquariale
 
 
tav. 4 - Onofrio Palumbo - Loth e le figlie - 173x125 (particolare) - Parma mercato antiquariale

 
tav. 6 - Onofrio Palumbo (con Didier Barra)
San Gennaro che intercede presso la Trinitá per la cittá di Napoli
- documentato 1652 - 331 x220 -
Napoli chiesa della Trinitá dei Pellegrini
 
  
 
tav. 7- Onofrio Palumbo - Annunciazione
- documentato 1641 - 254 x200 -
Napoli chiesa di S. Maria della Salute
 


tav. 8 - Onofrio Palumbo - Adorazione dei pastori
- documentato 1641 - 254 x200 -
Napoli chiesa di S. Maria della Salute

tav. 9 - Onofrio Palumbo - San Filippo Neri raccomanda i confratelli alla Trinitá
- documentato 1652 - 400 x230 -
Napoli chiesa della Trinitá dei Pellegrini





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