sabato 15 marzo 2014

I Quartieri Spagnoli tra tradizione e tentazione



I Quartieri Spagnoli, con la loro forma squadrata a reticolo, stretti tra via Toledo e corso Vittorio Emanuele, nascono nel Cinquecento per decisione dell’illuminato Vicerè Don Pedro di Toledo, che stabilì di acquartieravi le sue truppe, lì dove era tutto un trionfo di gelsi(‘e cieueze), luogo ideale, tra le fresche frasche di appuntamenti clandestini e mercenari.
Una sorta di predestinazione del suo futuro, caratterizzato da una sessualità promiscua. Più che il cuore della città, come spesso vengono definiti, ne costituiscono le visceri, ribollenti delle passioni di una popolazione viva e solare. Il terremoto del 1980 ha costituito una sorta di cesura tra passato e presente, con i segni del sisma ancora presenti come una cicatrice sanguinante ed una mutazione antropologica dei residenti, che hanno lasciato il passo a numerosi immigrati.
Una strada dal nome accattivante la percorre parallelamente a via Toledo, da via Sergente Maggiore, dove erano localizzati i più rinomati casini della città, fino alle propaggini di Piazza carità.
Le numerose traverse restituiscono l’anima più segreta della napoletanità e molte portano nomi graziosi: Giardinetto, Tre Re, Tre Regine.
In passato, quando in tutta Europa i palazzi avevano pochi piani ed i grattaceli nessuno nemmeno li immaginava, i forestieri rimanevano stupiti per l’altezza degli edifici, che davano l’impressione di voler sfidare il cielo.
Lauro, dopo la costruzione del nuovo Rione Carità voleva trasformare i Quartieri Spagnoli in una nuova City, ma non vi riuscì e dopo di lui hanno tentato altri speculatori in veste di filantropi, ma le antiche case stanno ancora lì incastonate l’una al fianco dell’altra, con uno spazio utile alla circolazione, che si riduce giorno dopo giorno, tra la spazzatura ubiquitaria, cassette della frutta e vasche di pescivendoli, oltre allo spazio di cui si appropriano abusivamente gli abitanti dei bassi, che limitano con paletti e catene lo spazio per parcheggiare auto a motorini. Una stretta mortale che impedisce di accorrere alle ambulanze ed ai mezzi dei pompieri, come quando nel 1985 un rovinoso incendio sterminò una famiglia senza che nessuno potesse aiutarli.
Durante l’ultima guerra affluivano in massa i militari Americani in cerca di prostitute, sono gli ultimi “turisti” che si sono avventurati tra questi vicoli, anche se sono sorti alcuni Bed & Breakfast ed ogni tanto si avventura qualche forestiero alla ricerca di emozioni.
I Napoletani si spingono meno timorosi e frequentano i due antichi teatri: Il Nuovo e la Galleria Toledo o degustano cibi tradizionali in alcune accorsate trattorie. Il massimo che può capitare è uno scippo, mentre del tutto assenti sono le sparatorie, per il serrato controllo sul territorio operato dal clan Mariano.
Da poco, con l’apertura della stazione Toledo della Metropolitana, con l’ardita uscita svincolo di Montecalvario, ci si sente più legati alla mobilità, anche se i passeggeri che sfruttano questa opportunità sono un numero esiguo, non più di 200 al giorno, a fronte dei 10000 della stazione a valle. Vi sono più persone (bel 1600) nella gigantesca installazione  fotografica di Oliviero Toscani che adorna la piattaforma mobile, che utenti del nuovo mezzo di comunicazione.
Una presenza momentaneamente simbolica, ma che rappresenta un valido investimento per far sentire il quartiere come presenza viva e palpitante della città.
Napoli ha ora la stazione più bela d’Europa, un luogo magico ed affascinante da cui non vorresti mai uscire, che ti folgora per il tripudio di colori presi dal mare, dal cielo, dal sole. Anche tutte le altre stazioni sono luoghi di bellezza ed arte che stupiscono e coinvolgono, favorendo incontri e riflessioni. Non ascolteremo mai questa notizia in televisione, né la leggeremo sui grandi quotidiani, impegnati quotidianamente a sottolineare solo gli aspetti negativi.
Il quartiere è stato sempre famoso per i Femminielli, personaggi leggendari, fragili e sfacciati allo stesso tempo.
I femminielli, appunto. Eroi di vita e di leggenda. Esseri fragili e forti che ancora resistono in questo labirinto per altri versi (e ci arriveremo) dedicato ai riti strazianti ed esaltanti della fertilità. Qui c'è ancora la Tarantina, vive in un basso di vico Lungo Gelso. È stato il mito della sconnessa dolce vita napoletana, ma anche di quella cinematografica romana, quella di Federico Fellini, Marcello Mastroianni, Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, ma anche di un distinto Goffredo Parise. La Tarantina, al secolo, Carmelo Cosma, a marzo compirà 78 anni ed è stata l'ape regina dell'universo LGBT, lesbiche, gay, bisessuali e transgender, quando ancora non li chiamavano così, ma, se andava bene, solo e sempre femminielli. La Tarantina ha raccontato la sua vita di misteri gloriosi in un libretto uscito in autunno (stampato da Onde Corte: «La Tarantina e la sua"dolce" vita»). E niente altro vuole aggiungere su quel mondo trasgressivo e tollerante, popolare e aristocratico, trucido e intellettuale che si è dissolto da decenni. La frattura fu il terremoto dell' Ottanta, con una camorra accecata dall’arricchimento immediato e dall’arrivo a vagonate di eroina e poi di cocaina. Anche Esmeralda, molto più giovane della Tarantina, rimpiange il tempo perduto, come un’Albertine lacera e lacerata. È seduta al tavolino di un caffè e sorseggia l'ennesima tazzina, insieme alle arniche di segreti e di pettegolezzi, in un vicolo dove si fanno strada gli scooter, in sciame ronzante e i furgoni affumicanti dei commerci senza sosta.
È difficile sfuggire all’oleografia a buon mercato quando si mescola una dose di Patroni Griffi, un'altra di Mastriani, qualche frame di Quentin: Tarantino o di un poliziottesco anni Settanta, una spruzzata di note dell' archiviata new wave vesuviana, si agita con  lo sciroppo neomelodico e l’aperitivo è servito.
Si vedono le sale scommesse che spuntano come funghi. Si vedono gli altarini popolari che si alternano alla street art di Cyop&Kaf. Si vedono auto parcheggiate in spazi privatizzati che non lasciano un angolo libero dove piazzare un bidone della raccolta differenziata. Si vedono scalini alternati a basolato, e insieme s’inerpicano verso San Martino che spunta, come in uno stordente gioco a nascondino, un vicolo sì e uno no. Si vede l'alveare che di sera si svuota di ragazzi tatuati con la cresta e ragazze alliccatissime con una preferenza per il corvino e lampadato: si avventano in scooter su Chiaia e Toledo a far vasche da centauri senza casco. L'altra città o la vera città.
Ma poi, se ti aggiri in questa foresta pietrificata di tufo e piperno, vedi che il crollo è all' ordine del giorno, gli edifici storici sbarrati sono più di quelli aperti. È chiusa persino la stessa Speranzella in un mondo che di speranze ne avrebbe bisogno assai. Ii nome ufficiale dell'anagrafe storico-ecc1esiatica è Santa Rita della Speranzella, perché qui si venera la risolutrice dei casi impossibili. «E sbarrata da mesi per lavori. Ora è chiusa, ma prima quante messe e quante feste, soprattutto per santa Rita. La monaca di Cascia è invocata da chi vuole un figlio, sebbene la vera salvatrice delle donne apparentemente sterili ha il suo tempio poco lontano: è santa Maria Francesca delle Cinque Piaghe, patrona dei Quartieri, nata e vissuta qui nel Settecento. Fatta santa da Pio IX, poco dopo l'Unità d'Italia, è festeggiata il 6 ottobre. In quel giorno, ma anche il 6 di ogni mese, nella piccola chiesa di vico Tre Re a Toledo, un edifico ad angolo che, se non lo cerchi, passerebbe inosservato, c'è la processione delle aspiranti puerpere. Tutte smaniose di accomodarsi per qualche minuto sulla sedia che fu della santa. È ritenuta miracolosa. Vi si sedeva Maria Francesca per cercare sollievo ai dolori e alle piaghe. Chi si accomoda ora chiede, invece, una grazia, recita la sua preghiera e poi a casa, presumibilmente, non si astiene dalle pratiche umane, troppo umane, necessarie, ma evidentemente non sufficienti. «Ne arrivano da tutt'Italia. Si sfogano narrando della loro inesauribile voglia di maternità. Si confrontano. Le hanno tentate tutte. Proviamo anche con le Cinque Piaghe, non si sa mai. E non poteva esserci luogo più appropriato dei Quartieri per i riti della fertilità, perché la vita qui è prorompente e bambini, soprattutto di pomeriggio, ne vedi dovunque. Nascono tutti qui. Qui, dove le mamme ,le matriarche che non la fanno buona a nessuno, sono giovanissime e le nonne, spesso e volentieri, hanno passato da poco i quarant’anni, hanno la stessa età delle pellegrine che, sedute, invocano la grazia di poter preparare pappine e cambiare pannolini. 
Sacro e profano sono pane quotidiano in questo scorcio della Napoli devota alla vita. Fino a non molti anni fa era consuetudine affidare i neonati alle braccia dei femminielli, perché era ritenuti di buon augurio: una forma antifrastica di iniziazione? E chi lo sa? Non bisogna farsi troppe domande. La verità, quassù, ama travestirsi. L'apparenza può tutto. Del resto anche la Lili Kangy della canzone omonima, che tutti pigliavano per francese o per spagnola, era nata al Conte di Mola, uno dei leggendari vicoli appesi a mezza collina. L'insegna della strada è quasi nascosta dai tubi di un palazzo in restauro, uno dei pochi, perché ne avrebbero bisogno tutti, per eliminare, almeno dalle facciate, la patina della zella. Alle targhe toponomastiche fanno concorrenza i cartelli scritti a mano o stampati che, gentilmente o minacciosamente, invitano a non depositare monnezza in ogni angolo. Anche perché, dicono in coro da ogni basso, 'e scupature, quando pure vengono, stanno seduti a leggere il giornale. Gli spazzini hanno sempre gli occhi puntati addosso. Le avvisaglie di ogni crisi della monnezza sono avvertite prima nei Quartieri. Epicentro delle emergenze. E allora gli abitanti fanno scivolare la zella giù a Toledo, restituiscono con gli interessi quanto hanno preso. Per quanto possano essere spagnoli, sono pur sempre quartieri napoletani. Ne hanno viste di ogni colore e hanno imparato qualsiasi lingua, a cominciare da quella bastarda dei marinai americani che, fino a buona parte degli anni Ottanta, si addentravano nei vicoli ruffiani, in cerca di piaceri carnali ambosessi, per finire ubriachi e in mutande sotto un androne. E mentre tra i vicoli il sound neomelodico è sommerso dai ritmi meticci l’allegria trionfa sulla malinconia e la vita, faticosamente, continua.
Consiglio di consultare in rete “Il misterioso mondo dei femminelli” e “I riti della fertilità” contenuti nei tomi I e II del mio libro: Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli.

devozione in fila davanti la sedia di santa maria francesca delle cinque piaghe
femminielli in pensione
foto di Oliviero Toscani nel metrò Montecalvario

Nessun commento:

Posta un commento