Veduta del castel sant'Elmo |
Castel Sant'Elmo è un castello medievale, adibito a museo, sito sulla collina del Vomero nei pressi di San Martino a Napoli. Un tempo era denominato Paturcium e sorge nel luogo dove vi era, a partire dal X secolo, una chiesa dedicata a Sant'Erasmo (da cui Eramo, Ermo e poi Elmo). Questo possente edificio (il primo castello per estensione della città), in parte ricavato dalla viva roccia (tufo giallo napoletano), trae origine da una torre d'osservazione normanna chiamata Belforte. Per la sua importanza strategica, il castello è sempre stato un possedimento molto ambito: dalla sua posizione (250 m s.l.m.) si può osservare tutta la città, il golfo, e le strade che dalle alture circostanti conducono alla città.
Aerial photograph del Castel Sant’Elmo |
Il castello, oltre che museo permanente (il "Napoli Novecento"), è anche sede di varie mostre temporanee, fiere e manifestazioni: dal 1998 fino al 2011 durante la primavera è stata la sede del Napoli Comicon (dal 2012 spostatosi alla Mostra d'Oltremare). Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali lo gestisce tramite il Polo museale della Campania, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei. Nel 2016 ha fatto registrare 199 233 visitatori.
Castel Sant'Elmo e la Certosa di San Martino da piazza del Plebiscito |
Castel Sant'Elmo e la Certosa di San Martino, in notturna, da piazza del Plebiscito |
Veduta del castello in una foto di Giorgio Sommer del 1860-70 circa |
Storia
Le prime notizie storiche sul castello risalgono al 1329, anno in cui Roberto il Saggio ordinò al reggente della Vicaria, Giovanni de Haya, la costruzione di un palazzo, il Palatium castrum, sulla sommità della collina di Sant'Erasmo. Gli architetti incaricati del lavoro furono Francesco de Vico e Tino di Camaino; alla morte di quest'ultimo, nel 1336, gli successe Attanasio Primario e dopo di lui, nel 1340, Balduccio de Bacza; i lavori furono ultimati nel 1343 sotto il regno di Giovanna I d'Angiò.
Il castello ha avuto una lunga storia di assedi: nel gennaio del 1348, dopo l'efferato omicidio di Andrea di Ungheria, ebbe il battesimo del fuoco con il suo primo assedio da parte di Luigi I d'Ungheria, giunto a Napoli per vendicare il fratello la cui uccisione si attribuiva all'uxoricidio da parte della regina Giovanna I d'Angiò. Dopo la resa della regina, il castello fu occupato da Carlo di Durazzo.
Nel 1416 la regina Giovanna II lo vendette per la somma di diecimilacinquecento ducati ad Alfonso d'Aragona. Il castello fu un ambito obiettivo militare quando francesi e spagnoli si contesero il Regno di Napoli. Don Pedro de Toledo lo fece ricostruire nel 1537 su sollecitazione dell'imperatore Carlo V. I lavori furono curati dall'architetto Pedro Luis Escrivà, il quale effettuò una fortificazione dell'intera altura di San Martino: un'epigrafe marmorea lo commemora. La costruzione fu portata a termine dall'architetto Gian Giacomo dell'Acaya nel 1546.
Nel 1587 un fulmine, caduto nella polveriera, fece saltare in aria buona parte della fortezza uccidendo 150 uomini: al suo interno distrusse la chiesa di sant'Erasmo, la palazzina del castellano e gli alloggi militari, arrecando anche danni al resto della città. Nel 1599 si diede inizio ai lavori di ripristino, ultimati nel 1610: furono affidati alla direzione dell’architetto Domenico Fontana.
Scritte lasciate nel corso degli anni dai prigionieri rinchiusi nelle celle del Castello |
Divenne poi un carcere nel quale furono prigionieri, tra gli altri, il filosofo Tommaso Campanella (dal 1604 al 1608) e Giovanna di Capua, principessa di Conca, nel 1659.
Nel 1647, durante la rivoluzione napoletana, vi si rifugiò il viceré duca d'Arcos, organizzandovi la difesa assieme al castellano Martino Galiano. Il forte, uno degli obiettivi delle forze popolari, non poté tuttavia essere occupato a causa delle discordie insorte nel campo dei rivoltosi. Il duca di Arcos bombardò la città dal castello, infliggendo tuttavia danni relativamente circoscritti che risparmiarono le aree centrali più densamente abitate di Napoli che erano il centro della rivolta.
Nel 1707 fu assediato dagli austriaci; nel 1734 dai Borbone. Al tempo della Rivoluzione francese il carcere ospitò alcuni patrioti filogiacobini: Mario Pagano, Giuliano Colonna, Gennaro Serra di Cassano, Ettore Carafa.
Durante i moti del 1799 fu preso dal popolo e poi occupato dai repubblicani, i quali durante l'assedio delle forze francesi, da qui bombardarono alle spalle i lazzari napoletani che erano insorti per opporsi all'occupazione della città. Spazzata via l'ultima resistenza, il 21 gennaio vi piantarono il primo albero della libertà e il 22 vi innalzarono la bandiera della Repubblica Napoletana. Alla caduta della Repubblica vi furono rinchiusi Giustino Fortunato, Domenico Cirillo, Francesco Pignatelli di Strongoli, Giovanni Bausan, Giuseppe Logoteta, Luisa Sanfelice e molti altri. Durante il Risorgimento ospitò il generale Pietro Colletta, Mariano d'Ayala, Carlo Poerio, Silvio Spaventa.
Fino al 1952 fu adibito a carcere militare. Nel frattempo la fortezza è passata al Demanio militare, ospitando anche alcuni marinai e le loro famiglie, fino al 1976, anno in cui ha avuto inizio un imponente intervento di restauro ad opera del Provveditorato alle Opere Pubbliche della Campania. Fu aperto al pubblico il 15 maggio 1988; il castello appartiene al Demanio Civile ed è adibito a museo.
Panorama verso Posillipo dal terrazzo del castello |
L'esterno
Il castello rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura militare cinquecentesca. Esso ha assunto l'aspetto attuale in seguito ai lavori di fortificazione voluti dal viceré don Pedro di Toledo e realizzati su progetto dell'architetto Luigi Scrivà. Quest'ultimo concepì una pianta stellare con sei punte che sporgono di venti metri rispetto alla parte centrale e collocò, in luogo dei tiranti, enormi cannoniere aperte negli angoli rientranti.
Questa insolita struttura militare priva di torrioni, che suscitò molte critiche al momento dell'edificazione, è risultata negli anni molto funzionale. Cinta da un fossato era dotata di una grande cisterna per l'approvvigionamento d'acqua. Prima del fossato sorge una piccola chiesa dedicata, nel 1682 dagli spagnoli, a Nostra Signora del Pilar.
Particolare dell'ingresso |
L'interno
Per accedere all'interno del castello bisogna percorrere una rampa ripida e attraversare un ponticello schermato da mura laterali nelle quali si aprono dodici feritoie per ciascun lato.
Dopo il ponticello vi è la Grotta dell'Eremita, un antro che, secondo la tradizione, avrebbe ospitato in tempi antichissimi un anacoreta.
Sul portale in piperno campeggia lo stemma imperiale di Carlo V, con l'aquila bicipite e un'iscrizione in marmo che ricorda il suo regno ed il periodo vicereale di Pedro di Toledo, marchese di Villafranca. Sette feritoie assicuravano la difesa alle guardie del ponte levatoio qualora fossero state attaccate prima di riuscire a chiudere il ponte.
La grotta dell'eremita |
Nell'ingresso, a sinistra, è stato collocato, in età napoleonica, un cancello a ghigliottina realizzato nello stile dell'epoca. Dopo questo secondo ingresso ha inizio la rampa finale di ingresso al castello: nella seconda curva si apre, a destra, un'ampia finestra che affaccia sulla città e sul centro storico. Più avanti ancora, sulla destra, un portale in tufo e piperno introduce nei locali adibiti a carcere.
Alla sinistra di questo ambiente si può notare un altro locale con ampia finestra, adibito ancora a prigione, dal quale si intravede il carcere dei prigionieri comuni. Sulla destra della zona d'aria vi è una larga gradinata che conduce ad altre due celle e alla prigione comune. Sulla sinistra del locale adibito a carcere della Sanfelice ci sono i servizi per i carcerati. Ritornando indietro e proseguendo si incontrano sette ampie arcate: la prima si apre sul golfo della città, le altre dominano il centro storico. Prima della piazza d'armi, sulla sinistra, ancora tre spaziose aperture dalle quali si può ammirare un panorama di Napoli che spazia da Capodichino a Capodimonte e alla collina dei Camaldoli.
Sulla Piazza d'Armi si erge la Torre del Castellano: gli ambienti che la compongono rappresentano quanto rimane dell'alloggio del comandante e del personale del castello. La pavimentazione del piazzale è dell'epoca della costruzione.
Rampa interna |
Al di sotto del piazzale sono due enormi cisterne che assicuravano l'approvvigionamento di acqua al presidio in caso di assedio. Sulla sinistra della torre vi è una piccola rampa, seguendo la quale si giunge ad una terrazza che dà sulla parte occidentale della città. Proseguendo, sulla sinistra, si continua con l'ingresso a quei locali che furono adibiti fin dal 1915 a prigione militare.
Nello spessore delle mura, in epoca moderna, è stato impiantato un serbatoio d'acqua dalla capacità di 400 metri cubi per alimentare la zona del Vomero. All'angolo esterno di questa passeggiata, una garitta borbonica in piperno domina la zona tra il Capo di Posillipo, Nisida, Capo Miseno e tutta la zona Flegrea.
Sul grande piazzale in cima, sorge la piccola chiesa dedicata a Sant'Erasmo
Sulla sinistra si trova uno spazioso ambiente ricavato in epoca recente senza alterare le strutture originarie del castello; è adibito a sala congressi.
La piazza d'armi |
All'interno del castello, oltre alle mostre temporanee, è allestito stabilmente il Museo Napoli Novecento 1910-1980. Nel museo in progress è possibile visionare alcune opere realizzate da artisti napoletani, o comunque legati alla città, dal 1910 al 1980.
Chiesa di Sant’Erasmo e il museo del Novecento
[dal libro di Dante Caporali “Percorsi sacri tra Vomero e Arenella” - Clean Edizioni, Napoli 2016]
La chiesa di Sant’Erasmo, situata sulla piazza d’Armi di Castel Sant’Elmo, prende il nome da una cappella presente fin dal X secolo e dedicata a Sant’Erasmo, vescovo di Formia, secondo la tradizione martire al tempo delle persecuzioni di Diocleziano. Il castello sorge sul posto del Belforte angioino, fatto edificare nel 1329 da re Roberto e completato nel 1343; la fortezza, confinante con la Certosa di San Martino, la cui costruzione era iniziata circa quattro anni prima per volere di Carlo, duca di Calabria, primogenito di re Roberto, sarà denominata già dal 1348 “castello di Sant’Erasmo” poi di Sant’Ermo ed infine di Sant’Elmo. L’attuale struttura architettonica della fortezza con impianto stellare a sei punte fu realizzata negli anni 1537-46 su progetto di Pedro Luis Escrivà di Valenza, uno tra i più quotati architetti militari del tempo. Sulla piazza d’Armi che conclude il castello vi erano gli alloggi degli ufficiali e del castellano, la chiesa, costruita dallo spagnolo Pietro Prato nel 1547 e i resti dell’antica fabbrica angioina di Belforte. Nel 1587, durante un temporale, un fulmine colpì la polveriera, procurando circa 150 vittime, distruggendo la chiesa, l’abitazione del castellano e gli alloggi militari, e soltanto nel 1599 ebbero inizio i lavori di restauro, terminati nel 1610, diretti dall’architetto Domenico Fontana che riedificò la chiesa, gli alloggi e il ponte d’accesso al castello. Il nuovo edificio religioso non fu ricostruito sulle fondazioni di quello vecchio ma a sud-est del piazzale, inserito in un più ampio fabbricato dove un tempo era la residenza del castellano. La chiesa, riaperta pochi anni fa dopo un accurato intervento di restauro, conserva un pregevole pavimento in maiolica e cotto di tipico artigianato napoletano, nel quale sono incassate le lapidi sepolcrali di tre illustri castellani come Martin Galiano y Granulles (1662), Juan Buides (1721) e Francisco Vasquez (1776). Dietro l’altare maggiore troviamo una statua settecentesca policroma in stucco di Sant’Erasmo, disposta all’interno di una nicchia, e quella che è l’unica opera superstite dell’apparato decorativo della perduta chiesa di metà ‘500, cioè la lastra tombale di Pedro de Toledo, primo castellano del forte e cugino dell’omonimo viceré, assegnata recentemente ad Annibale Caccavello, discepolo di Giovanni da Nola e ritenuto uno dei più singolari esponenti della scultura napoletana del ‘500. Il sepolcro, ricordato dalla letteratura locale ottocentesca per la sua bellezza e sontuosità, è composto da sette frammenti marmorei dei quali i due principali sono una tavola con l’effige a figura intera del defunto ed una, più piccola, con l’epitaffio, affiancato da due stemmi della casata Toledo, che ci informa che questi morì nel 1559. Gli altri cinque frammenti che contornano la tavola principale sono invece di carattere decorativo. Il Toledo è ritratto mentre riposa su un ampio cuscino; indossa un elegante berretto e un mantello con la croce dell’Ordine di Santiago che, aprendosi sul ventre, lascia intravedere l’armatura e l’elmo ai piedi. La mano destra tiene un paternoster, ad attestare la devozione religiosa del castellano, mentre la sinistra sfiora l’elsa della spada, a ricordare lo stato militare dello stesso.
Nella volta della chiesa è presente un affresco raffigurante l’Assunzione della Madonna, attribuito al poco noto pittore Giuseppe Fattorusso, annoverato tra gli allievi di Andrea Vaccaro e della cui attività napoletana si hanno notizie dal 1668 al 1707. Sono stati poi ricollocati in sede cinque dei sei dipinti che facevano parte della decorazione della chiesa ricostruita da Domenico Fontana e che furono temporaneamente rimossi nel corso di un restauro degli anni ’70 del secolo scorso. Sulla parete destra si susseguono l’Orazione di Cristo nell’orto di Getsemani di ignoto autore seicentesco e San Michele Arcangelo precipita gli angeli ribelli, opera giovanile di Luca Giordano secondo una recente attribuzione dello studioso Giuseppe Porzio, databile alla metà del ‘600 e precursore delle eccezionali esecuzioni dello stesso soggetto nella Gemäldegalerie di Berlino, nel Kunsthistorisches Museum di Vienna e nella chiesa napoletana dell’Ascensione a Chiaia. Dietro l’altare maggiore, a destra della statua di Sant’Erasmo, troviamo il dipinto con San Stanislao Kotska comunicato da un angelo, di autore ignoto ottocentesco, mentre è andato perduto quello che raffigurava l’Estasi di Santa Teresa, un tempo collocato a sinistra della statua. Sulla parete sinistra troviamo il dipinto seicentesco con Sant’Oderisio in gloria davanti alla Madonna della Purità di Antonio De Bellis, uno dei più originali allievi di Massimo Stanzione e noto soprattutto per il ciclo di tele con Storie di San Carlo Borromeo nella chiesa napoletana di San Carlo alle Mortelle, e una Santa Barbara di autore ignoto, databile al primo quarto del ‘600.
Così il Celano descrive la chiesa elencando anche le opere d’arte presenti all’interno: Venendo ora alla chiesetta di cui è parola, noteremo, che essa ha volta ricoperta di bianco con in mezzo un affresco dell’Assunzione di Maria in Cielo, con gloria d’Angeli, e di sotto gli Apostoli intorno al suo sepolcro, dal quale sbucciano fiori: e d’affreschi doveva essere istoriata tutta la volta, siccome appare dai vari scompartimenti di sotto all’imbiancato. È sull’altare maggiore allogata in una nicchia la grandiosa statua in stucco di S. Erasmo molto rozzamente colorata: ai lai in due cornici di bianco stucco sono due quadri esprimenti, quello a destra della statua, S. Stanislao Kotska comunicato da un Angelo, quello a sinistra l’estasi di S. Teresa. Intorno alle pareti sono due altari per banda. I due primi, in vicinanza del maggiore, mostrano sopra, quello a destra, un quadro dell’Orazione di Cristo all’Orto; quello a sinistra un S. Benedetto. Ne’ due altri, a dritta, è un S. Michele Arcangelo, ed a sinistra S. Barbara con alcune istoriette del suo martirio nel piano inferiore. Di tutti questi quadri sono incerti gli autori. Tre lapidi sepolcrali veggonsi sul pavimento di questa chiesetta in memoria de’ Castellani Giovanni Buides di Valenza, stato invitto campione nelle guerre di Portogallo, Messina, Piemonte e nel Cremonese, e sotto il governo del quale, durato per anni 20, il forte fu ne’ suoi bastioni restaurato; di Martino Galiano Granulles, che, avendo fanciullo militato nel Belgio, e di poi presso Valenza ed al Po a fronte d’un esercito nemico tre volte più numeroso, fu un tempo Prefetto del Castello di Milano, ed avendo governato questo di S. Ermo per anni 23; e del Castigliano Francesco Vasquez Zeinens, il quale da semplice soldato, venne per vari gradi innalzato a quello di Vice-Prefetto del forte.
Autore ignoto seicentesco Santa Barbara |
Luca Giordano S. Michele Arcangelo precipita gli angeli ribelli |
Autore ignoto seicentesco Orazione di Cristo nell'orto di Getsemani |
Antonio DenBellis S. Oderisio in gloria dinanzi alla Madonna della Purità |
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