Il Mattino 3 agosto 2020, pag 34
Molte strade napoletane portano il nome dei vincitori: i piemontesi, che, con le armi di Garibaldi conquistarono un antico regno annettendolo al loro. Cambiarono il toponimo di piazze e strade cittadine, compreso piazza della Stazione che prese il nome dell’eroe dei due mondi, ma l’ignominia maggiore riguarda il corso Vittorio Emanuele del quale vogliamo brevemente ripercorrere la storia.
Nel 1853 il re borbone Ferdinando II realizzava la prima tangenziale al mondo: un’arteria di cinque chilometri, che, superando delicati problemi orografici, metteva in collegamento la parte occidentale della città con la parte orientale, permettendo l’urbanizzazione di vaste aree.
L’opera fu apprezzata in tutta Europa per le soluzioni tecniche e la velocità di esecuzione. I Napoletani cavallerescamente vollero dedicarla alla regina Maria Teresa, ma il toponimo ebbe breve durata, perché subito dopo l’unità d’Italia, i Savoia decisero che un nuovo nome: corso Vittorio Emanuele, dovesse ricordare il loro re conquistatore dell’antico regno, anche se la strada era stata realizzata da un altro sovrano.
Questa appropriazione indebita è passata sotto silenzio per 150 anni, ma è giunto il momento per fare giustizia di questi soprusi del passato, grazie al certosino lavoro di coraggiosi storici che, lentamente, ci stanno insegnando a rivalutare la nostra storia gloriosa.
Un invito al nostro sindaco a voler dedicare questa strada a chi l’ha ideata e realizzata nell’interesse della sua amata città: Ferdinando II.
Nel 1853 il re borbone Ferdinando II realizzava la prima tangenziale al mondo: un’arteria di cinque chilometri, che, superando delicati problemi orografici, metteva in collegamento la parte occidentale della città con la parte orientale, permettendo l’urbanizzazione di vaste aree.
L’opera fu apprezzata in tutta Europa per le soluzioni tecniche e la velocità di esecuzione. I Napoletani cavallerescamente vollero dedicarla alla regina Maria Teresa, ma il toponimo ebbe breve durata, perché subito dopo l’unità d’Italia, i Savoia decisero che un nuovo nome: corso Vittorio Emanuele, dovesse ricordare il loro re conquistatore dell’antico regno, anche se la strada era stata realizzata da un altro sovrano.
Questa appropriazione indebita è passata sotto silenzio per 150 anni, ma è giunto il momento per fare giustizia di questi soprusi del passato, grazie al certosino lavoro di coraggiosi storici che, lentamente, ci stanno insegnando a rivalutare la nostra storia gloriosa.
Un invito al nostro sindaco a voler dedicare questa strada a chi l’ha ideata e realizzata nell’interesse della sua amata città: Ferdinando II.
Achille della Ragione
RispondiEliminaCaro Achille,
grazie per avermi trasmesso l'interessante commento sull'usurpata tangenziale borbonica. Non sono neo-borbonico ma amante della verità storica che non è quella che ci viene raccontata durante la formazione scolastica e che, oggi, viene sostenuta anche da brillantissimi ed autorevoli storici come ad esempio Alessandro Barbero. I fatti ci dicono che il primo Re Borbone, Carlo, è stato grandissimo. A testimonianza voglio ricordare alcune opere: le reggie di Capodimonte, Portici, Caserta; gli scavi di Pompei, Ercolano, Paestum; il San Carlo, i conservatori, l'osservatorio vesuviano, l'albergo dei poveri e potrei continuare. Carlo ereditò un Regno drammaticamente arretrato per l'organizzazione feudale e per lo strapotere della Chiesa. Egli avviò riforme strutturali per contenere questi poteri e per modernizzare lo Stato. Il figlio Ferdinando IV-I in parte continuò L'opera di Carlo ma, nella prima parte, fu troppo condizionato dalla moglie, Maria Carolina sorella di Maria Antonietta, mentre nella seconda ebbe il merito di fare sue le innovazioni sociali introdotte dai francesi. Non all'altezza di padre e nonno, Francesco I governò per un periodo breve senza alcun acuto. Ben altra stoffa Ferdinando II che cercò di dare al Regno una posizione autorevole nel panorama internazionale evitando le guerre ed adottando come motto "amico di tutti, nemico di nessuno". Questa neutralità ereditata da Francesco II fu anche una delle cause della sua sconfitta. Troppe ricchezze erano già in possesso dei Borbone dai prodotti agroalimentari ai vini allo zolfo, bene preziosissimo della Sicilia detentrice del 90% della produzione mondiale. Ma il Regno era competitivo anche nelle tecnologie più moderne. Alle acciaierie di Mongiana erano stati assegnati prestigiosi premi internazionali nel 1861 (Firenze) e 1862 (Londra) ma ciò non ne impedì la chiusura nel 1864. Analogo destino per le officine di Pietrarsa che costruì il primo tratto ferroviario in Italia e per i cantieri navali che riuscirono a produrre nel 1818 la prima nave a vapore, la Ferdinando I. A quei tempi la flotta mercantile dei Borbone era inferiore solo a quelle degli Stati Uniti e dell'Inghilterra. Ma, nel 1859, per il Regno si aprivano prospettive ancor più favorevoli. Iniziarono i lavori per il canale di Suez ed, alla loro conclusione (1869), i porti borbonici avrebbero potuto avere un ruolo centrale nel controllo di tutte le rotte. Futuro non gradito all'Inghilterra che finanziò e corruppe, senza limiti di fondi, per abbattere i Borbone. Il progetto ebbe successo e portò ad un autentico genocidio del popolo meridionale, molti fuggirono ed, a mio avviso, mai si potrà capire il problema meridionale non analizzando, senza pregiudizi, il Regno dei Borbone, la sua fine e la terribile repressione esercitata dai Savoia. Scusami, ma mi volevo "sfucà".
Guido Cimino