venerdì 14 agosto 2020

Corbellerie e boiate a volontà

 

fig.1 - Immagine di S. Anna

I Napoletani sono stati definiti tempo fa da Pasolini: "L'ultima tribù della Terra che ha resistito alle sirene della globalizzazione" ed in anni più recenti un celebre personaggio, di cui vi sfido ad indovinare il nome, ha perentoriamente dichiarato: "Napoli rappresenta l'ultima speranza per l'umanità".
Un'altra fondamentale premessa, che bisogna chiarire prima di proseguire è la sostanziale differenza tra napoletanità e napoletaneria.
Napoletanità vuol dire fantasia, passione, intelligenza, cultura, amore per le proprie tradizioni; al contrario napoletaneria significa oleografia, banalità, volgarità, sciatteria ed esaltazione dell’ignoranza.
Il napoletano da sempre ama credere alle favole ed alle leggende, dal munaciello alla bella' mbriana, fino al prodigio del sangue di San Gennaro, che si scioglie (non si liquefa) in date prefissate, per cui non vi è da meravigliarsi che gli episodi insoliti, che racconteremo in questo capitolo e che si riferiscono al quartiere Avvocata, vengono accettati dalla maggioranza della popolazione.
Partiremo dal culto del piede di S. Anna, per discettare poi di don Dolindo; sarà poi la volta della famosa mazzarella di San Giuseppe, per chiudere con il sensuale bacio al pesce di San Raffaele.

fig.2 - Scalone di Palazzo Montemiletto


Napoli è una delle città dove molto vivo è il culto di S. Anna. (fig.1)
Per chi non lo sapesse, S. Anna è la madre della Madonna, a sua volta madre di Gesù,
Nel 1654, il principe di Montemiletto del ramo Tocco fece edificare un sontuoso palazzo (fig.2) che si affacciava sulla valle dei Monti, nei pressi di via Ventaglieri e ai margini di quello che oggi è il corso Vittorio Emanuele, in cui ricavò una cappella dedicata a S. Anna della quale aveva importato una importante reliquia: il "piede di S. Anna" proveniente dalla Grecia ed ereditata dagli avi molto tempo prima.
Infatti la famiglia Tocco ha origini greche e di essa si hanno notizie storiche risalenti al XIII secolo.
Tutta la zona circostante il palazzo diventò conosciuta come “Contrada del Piede di S. Anna”,
Il palazzo è imponente e bello con la sua facciata e venne ristrutturato  quando Ferdinando II aprì il corso che prima dell’avvento dei Savoia, si chiamava corso Carolino, perché era intestato alla regina Carolina, come volle suo marito, Sua maestà il re di Napoli.
Il 26 luglio si festeggia S.Anna e i Napoletani erano soliti fare una importante festa con  grande concorso di popolo, infinite bancarelle e spari di fuochi d’artificio.
Allora era veramente difficoltoso arrivare in quella zona della città perché i collegamenti erano stradine percorribili da asini e muli in quanto molto appese, ma questo non scoraggiava i Napoletani dal praticare la loro devozione, quasi come si continua a fare oggi per S. Gennaro!
La festa durava una settimana intera e vi era sempre tanta folla dinanzi al palazzo Tocco!
Per arrivare sul posto, bisognava percorrere la salita del Cavone o la salita di S. Antonio ai Monti oltre il tracciato di via Ventaglieri.
Ora sono in pochi, anche tra i napoletanisti, a ricordarsi di quella ricorrenza, mentre la reliquia dovrebbe trovarsi ancora a Napoli, nel Duomo, conservata nella cappella della famiglia Capece-Galeota, la prima entrando a sinistra, ma se provate a cercarla rimarrete delusi.

 

fig.3 - Chiesa di San Giuseppe dei Vecchi - Grotta di Lourdes


fig.4 -Tomba di don Dolindo

I Napoletani sono destinati ad estinguersi nell'arco di un paio di generazioni, per via della cronica mancanza di lavoro, che costringe i giovani ad emigrare, mentre in città restano solo i vecchi, che prima o poi passano a miglior vita.
A sostituirci provvederanno altre popolazioni, provenienti dall'est Europa, dall'Africa e dall'Asia, in primis Cingalesi e Capoverdiani.
Nonostante origini etniche e culturali agli antipodi, la forza delle nostre tradizioni è ancora talmente viva da influenzare i nuovi arrivati; non si spiegherebbe altrimenti il flusso di fedeli polacchi, che a tutte le ore del giorno si reca presso la tomba di don Dolindo a bussare tre volte ed a chiedere grazie e favori di ogni tipo, che, secondo la credenza popolare, il futuro santo eseguirebbe senza sosta.
Forniamo ora ai lettori alcune notizie biografiche sul personaggio, invitando chi volesse saperne di più a consultare un esaustivo articolo di Marco Perillo che si trova nel suo interessante libro sui quartieri di Napoli.
Dolindo Ruotolo (Napoli, 6 ottobre 1882 – Napoli, 19 novembre 1970) è stato un terziario francescano, venerato come servo di Dio dalla Chiesa cattolica.
Quinto degli undici figli di Raffaele, ingegnere e matematico, e Silvia Valle, discendente della nobiltànapoletana e spagnola, ebbe un'infanzia difficile per problemi di salute e per le ristrettezze economiche della famiglia. Nel 1896, con la separazione dei genitori, Dolindo (il cui nome si richiama al "dolore") fu avviato col fratello Elio alla Scuola Apostolica dei Preti della Missione, e tre anni dopo fu ammesso al noviziato. Prese i voti religiosi il 1° giugno 1901 e due anni dopo chiese senza successo di essere inviato in Cina come missionario.
Dopo l'ordinazione presbiterale del 24 giugno 1905 a quasi 23 anni, fu nominato professore dei chierici della Scuola Apostolica e maestro di canto gregoriano. Girò per l'Italia con vari incarichi prima di ritornare nella città natale.
La sua vita di sacerdote ormai diocesano proseguì a Napoli, nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi, di cui il fratello Elio fu parroco. Qui Ruotolo fu l'ideatore dell'Opera di Dio e dell'Opera Apostolato Stampa.
Nel 1960 un ictus gli immobilizzò il lato sinistro del corpo. Morì il 19 novembre 1970. Il suo corpo è tumulato nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi e di Nostra Signora di Lourdes a Napoli. È invalso il costume presso i napoletani di bussare per tre volte in nome della SS. Trinità sul marmo del suo sepolcro, pregando con tanta fede per ricevere grazie spirituali e materiali attraverso la sua intercessione, poiché egli disse: «venite a bussare alla mia tomba... io vi risponderò».
Ebbe ancora in vita fama di santità. Di lui disse san Pio da Pietrelcina, ai fedeli napoletani in pellegrinaggio da lui: «Perché venite qui, se avete don Dolindo a Napoli? Andate da lui, egli è un santo».
Il nome di Dolindo Ruotolo è legato anche a un messaggio ritenuto profetico dai devoti del 2 luglio 1965, riportato sul retro di un'immagine della Madonna, e indirizzato al polacco Vitold Laskowski. Il documento, autenticato dal vescovo Pavel Hnilica, riguarda la fine del comunismo: "Maria all'anima. Il mondo va verso la rovina, ma la Polonia, come ai tempi di Sobieski, per la devozione che ha al mio cuore, sarà oggi come i 20.000 che salvarono l'Europa e il mondo dalla tirannia turca. Ora la Polonia libererà il mondo dalla più tremenda tirannia comunista. Sorge un nuovo Giovanni, che con marcia eroica spezzerà le catene, oltre i confini imposti dalla tirannide comunista. Ricordalo. Benedico la Polonia. Ti benedico. Beneditemi. Il povero don Dolindo Ruotolo - Via Salvator Rosa, 58, Napoli".
Considerato da molti un maestro della spiritualità napoletana e della Chiesa cattolica riposa nella chiesa di San Giuseppe dei Vecchi, (fig.3-4-5), dove gli è dedicata anche una cappella che riproduce la grotta di Lourdes e dove gruppi di fedeli lo invocano fiduciosi bussando sulla sua tomba.
Attualmente è in corso il processo di canonizzazione.

 

fig.5 - Fedeli che implorano don Dolindo

 

fig.6 - Chiesa San Giuseppe dei nudi (facciata)
 
Prima di parlare della sua famosa "mazzarella" vogliamo fornire al lettore qualche notizia poco nota sulla figura di San Giuseppe, padre putativo di Gesù, visto che secondo le sacre scritture la Madonna rimase incinta pur essendo vergine. Nei dipinti egli viene costantemente raffigurato come un vecchio, da cui la necessità di utilizzare un bastone, ma viceversa, come ci assicura Boris Ulianich, per decenni professore alla facoltà pontificia e massimo esperto di storia del cristianesimo, le poche fonti attendibili ci assicurano che aveva la stessa età della sua giovane sposa.   
Dopo questa doverosa precisazione possiamo parlare della sua mitica mazzarella, conservata nella chiesa di San Giuseppe dei Nudi (fig.6-7), informando però il lettore che nel mondo si venerano almeno altre 10 reliquie simili, niente al confronto delle spine di Cristo, delle quali tra chiese e monasteri se ne contano a migliaia. 
Un misto di storia, fede, tradizioni, cultura popolare e leggende, racchiuso nella vicenda di questa reliquia conservata a Napoli da più di due secoli. Un’ulteriore dimostrazione che proverbi e modi di dire napoletani racchiudono tracce di storia e cultura partenopea e, pertanto, sono un patrimonio da tutelare e tramandare alle future generazioni.
La storia di questa reliquia è piuttosto singolare e ha diverse versioni, ma sicuramente è indissolubilmente legata alla figura del celebre cantante lirico napoletano, Nicola Grimaldi, detto Nicolini, una delle voci bianche più apprezzate della sua epoca, una vera e propria “star” del bel canto, divenuto famoso anche fuori dal Regno borbonico. In particolare, Grimaldi si esibiva spesso a Venezia e a Londra, perché aveva fra i suoi “fan” la regina Anna d’Inghilterra. 
Come documentato dagli archivi della Fondazione, Grimaldi nel 1712, grazie ai favori di cui godeva presso la corte inglese, riuscì a salvare dalla condanna a morte un suo conoscente, Richard Hampden. La madre di quest’ultimo, per sdebitarsi con Grimaldi, gli donò la reliquia del “bastone di San Giuseppe”, che la sua famiglia custodiva da secoli dopo essere stata portata in Inghilterra dai primi crociati di ritorno dalla Terra Santa. Secondo un’altra versione, invece, Grimaldi lo acquistò da alcuni truffatori che lo “spacciarono” per il bastone di legno appartenuto a San Giuseppe, utilizzato per accompagnare Maria alla Grotta di Betlemme, e che servisse anche a scacciare il maligno dal corpo dei posseduti, da altri racconti dell’epoca invece Grimaldi l’avrebbe acquistato a Londra ad un’asta.  Quello che è certo è che il “bastone di San Giuseppe” giunse a Napoli grazie al cantante napoletano e solo dopo molti anni, nel 1795 la reliquia fu poi trasferita al Real Monte e all’Arciconfraternita di San Giuseppe dell’Opera di vestire i Nudi.
Nicola Grimaldi, una volta entrato in possesso della reliquia, la custodiva nella sua cappella privata situata all’interno di palazzo Como, nei pressi della chiesa di San Giuseppe a Chiaia.
Ogni anno, il 19 di marzo, giorno della festa di San Giuseppe, nella zona della Riviera di Chiaia – così come in via Medina dove c’è un’altra chiesa dedicata allo stesso santo – si organizzava una grande festa che durava ben 8 giorni, con bancarelle, cerimonie e riti religiosi che attiravano in massa la popolazione in strada. In quella occasione, per far fronte alle pressanti richieste, Grimaldi per tutto l’ottavario esponeva alla venerazione dei fedeli il “bastone di San Giuseppe”. Nonostante avesse messo dei custodi a sorvegliare la preziosa reliquia, era difficile arginare il fanatismo dei fedeli che facevano il possibile per toccarla, riuscendo spesso a “conquistare” qualche piccola scheggia del legno. Così quando qualcuno provava a toccare la reliquia veniva subito redarguito dai custodi e da qui nacque il famoso detto napoletano “Nun sfruculià ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe”, che poi in seguito per estensione diventò un ammonimento a non infastidire qualcuno che se ne sta per i fatti suoi. Di anno in anno, il legno del bastone perdeva pezzi tanto da essersi molto ridotto e quindi fu deciso di darlo in custodia all’Arciconfraternita di San Giuseppe dei Nudi.  
Alla morte del Grimaldi, però, la reliquia ritornò in possesso degli eredi di quest’ultimo, ma alla fine il Tribunale decise di affidarla definitivamente all’Arciconfraternita.

fig.7 - Mazzarella di San Giuseppe
fig.8 San Raffaele e Tobia

 La più divertente commistione tra riti pagani e ritualità cattoliche resta senza dubbio quella del “vaso ‘o pesce ‘e San Raféle” (bacio al pesce di San Raffaele) che, per secoli, le ragazze da marito, e qualcuna ancora oggi, officia nella chiesa dedicata all’Arcangelo nel quartiere Materdei.
San Raffaele, protettore dei pescatori, è rappresentato come un bellissimo ”Genio Alato” che regge nella mano il pesce, a rappresentare il “phallos neapolitano”, antico simbolo della virilità napoletana (fig.8-9).
Ogni giovane e casta promessa sposa napoletana ha baciato con speranza e passione quell’ancestrale archetipo della fecondità, che assicura la sopravvivenza della specie come il pescato assicura la sopravvivenza quotidiana. 
Nel giorno del 24 ottobre la Chiesa cattolica festeggia San Raffaele, l’arcangelo ricordato nel “Libro di Tobia”. A Napoli esiste una chiesa dedicata al Santo, nel rione Materdei. L’edificio, costruito nel 1759, si presenta in stile barocco con un ricco apparato decorativo di metà Settecento e con due affreschi raffiguranti il racconto biblico di Tobia e Sara e di San Raffaele nell’accezione di medicina Dei, da cui il suo nome (Rafa’el in ebraico significa “Dio ha guarito”).
La chiesa di Materdei è testimone da secoli di un rito popolare non molto conosciuto e legato alla storia di Tobia e San Raffaele. Nel libro di Tobia si racconta dell’avventura di quest’uomo che dà il nome al libro, in cui durante la sua sosta presso il fiume Tigri, viene assalito da un pesce. Qui l’arcangelo Raffaele, che lo accompagnava durante il viaggio, sprona Tobia a non scappare e a afferrare il pesce per la testa. Così il giovane riesce a sconfiggere l’animale e, sempre su consiglio dell’angelo, estrae dal pesce il fiele, il cuore e il fegato. Giunto ad Ecbatana, sposa Sara, la sua amata.        
San Raffaele, è rappresentato spesso con alcuni pesci in mano o mentre assiste Tobia durante la lotta col pesce. A Napoli, dove da sempre si fonde sacro e profano, esiste un’usanza che unisce reminiscenze pagane di alcuni riti campani della fecondità con il culto popolare cristiano che prevedeva che le donne sterili e le fanciulle da marito si recassero a baciare il pesce del santo contenuto in una cesta. Il mare, infatti, era visto come fonte di fertilità e il pesce usato da sempre come simbolo cristiano. La frase “va’ a vasà ‘o pesce ‘e San Rafèle“ (“va’ a baciare il pesce di San Raffaele”) si rivolgeva fino a qualche decennio fa alle belle ragazze in senso augurale, nonostante vi fosse un chiaro riferimento sessuale (in napoletano, la parola “pesce” sta per “pene”).
Anche se oggi è poco conosciuta questa antica tradizione sicuramente esiste ancora qualcuno che la perpetua o che ricorra all’aiuto di San Raffaele, come succede ancora per altri santi. Allora donne single vale la pena di provarci, no?!
Concludiamo in bellezza il capitolo mostrando la foto di un noto personaggio (fig.10), di nome Achille, soprannominato il Pelide, mentre percorre il bordo del monte Rotaro ad Ischia, aiutandosi con un bastone, non quello famoso che lo ha reso un mito tra le donne, ma uno ligneo, che richiama a viva voce la celebre " mazzarella" di cui abbiamo parlato


fig.9 - Statua dell' Arcangelo Raffaele con il pesce

fig. 10 - Achille con una mazzarella lignea

 


1 commento:

  1. Ho letto, fremuto, gioito nell’apprendere tanti aneddoti della nostra millenaria storia, io orgoglioso di essere napoletano. Grazie Sommo di esistere…..
    Guido Bossa

    RispondiElimina