fig. 1 - Tommaso Realfonso - Pane, limoni, fiori ed uva siglato R - Italia collezione privata |
La natura morta napoletana è più apprezzata dal mercato antiquariale che dalla critica, più conosciuta dai collezionisti che dal grande pubblico. Essa non raggiunge i fasti del secolo precedente, ma mantiene un livello dignitoso almeno per i primi cinquanta anni, per spegnersi poi senza svilupparsi in esiti di un qualche interesse.
Alcuni artisti come Tommaso Realfonso, Nicola Casissa, Gaspare Lopez, Giacomo Nani e Baldassarre De Caro (fig. da 1 a 5) continuano la tradizione locale specializzandosi nel dipingere fiori, frutta, pesci, cacciagione, soddisfacendo così le richieste di una vasta committenza, il cui gusto era semplicemente cambiato in linea coi tempi.
E questo senza considerare le infinite figure minori, che lentamente stanno riemergendo da un oblio secolare o alcuni artisti più noti, che lavorano a cavallo dei due secoli e che i libri di storia dell’arte considerano operanti unicamente nel Seicento, quali Francesco Della Questa, Aniello Ascione, Nicola Malinconico, Gaetano Cusati, Onofrio Loth, Elena e Nicola Maria Recco, fino a Giuseppe Ruoppolo e forse lo stesso Andrea Belvedere, che muore nel 1732 e probabilmente, almeno nei primi anni, dopo il ritorno dalla Spagna, prima di dedicarsi unicamente al teatro, come afferma il De Dominici, avrà continuato la sua attività come testimoniano alcuni suoi dipinti dal sapore già settecentesco.
Purtroppo sul destino del genere nel secolo dei lumi ha pesato il giudizio negativo di Raffaello Causa, il quale, riteneva il trapasso tra Seicento e Settecento alla stregua di un vero e proprio passaggio dal sonoro al muto e sentenziava, nella sua impareggiabile esegesi sull’argomento, pubblicata nel 1972 sulle pagine della Storia di Napoli, che con la rinuncia del Belvedere ai piaceri della pittura si chiude il secolo d’oro e dietro di lui una folla di fioranti facili e svelti di mano ed una torma di imitatori fanno ressa su un mercato molto florido, dove alcun richieste, scaduto il gusto dei committenti, si esaudiscono a metraggio; i protagonisti sono tutti scomparsi, la parlata si è fatta fioca, incolore, dialettale e financo rozza e sgarbata, non vi è più nulla o ben poco da salvare, nonostante i fasti vecchi e nuovi del mercato dell’arte.
Il suo anatema fece si che quando nel 1979 fu organizzata la grande mostra Civiltà del Settecento mancasse una sezione dedicata alla natura morta e fu un deplorevole errore, che ha concorso a ritardare l’interesse e gli studi sul settore.
Già nella precedente mostra sulla natura morta, svoltasi nel 1964, i generisti napoletani del Settecento erano mal rappresentati, con pochi dipinti ed alcuni nemmeno autografi.
Al parere del grande studioso si attenne a lungo la critica e lo stesso Ferrari, sempre sulla Storia di Napoli, trattando degli svolgimenti artistici tra Sei e Settecento, assegnò agli specialisti napoletani poche brevi annotazioni, giudicando immotivato il richiamo di Realfonso a “moduli d’apparenza naturalistica”, preferendo il “barocchetto fresco e guizzante” del Cusati, “l’illusionismo variopinto e porcellanoso” del Lopez o il “verismo perfino involontariamente umoristico” del Nani.
Ben più pacato era stato il giudizio della Lorenzetti nel catalogo della memorabile mostra su tre secoli di pittura napoletana, tenutasi nel 1938: “Mentre dilaga il decorativismo settecentesco nelle sue forme geniali ed artificiose il sentimento realistico nella sua più solida concretezza è custodito dai pittori di natura morta che nello stretto legame con la tradizione seicentesca dipingono animali, fiori, erbaggi, frutti di mare sul fondamento di uno stile di remota ascendenza caravaggesca in cui si avverte qualche transito più esteriore di fiamminghismo. Se lungo il secolo il chiaroscuro, per gusto di diffuse chiarità si attenua, il naturalismo di questi pittori non si spegne. La pittura di genere a Napoli nei primi decenni del Settecento poco concede a ragioni di vaga decorazione, ma più insiste sulla penetrazione del carattere delle immagini naturali”.
Il Settecento napoletano nel campo della natura morta è affollato anche di figure minori o di ignoti in attesa di essere riconosciuti ed eventualmente apprezzati, gli studi devono perciò riprendere con maggior lena, per colmare un deficit di conoscenza e per venire incontro alle esigenze di un mercato antiquariale nel quale, con frequenza sempre maggiore, compaiono dipinti, anche di eccellente qualità, spesso firmati ed a volte datati, i quali permettono alla critica di progredire e di fornire, giorno dopo giorno, un quadro sempre più puntuale di quella che fu una stagione, se non grandiosa, ben più che dignitosa, nel quadro della nobile tradizione figurativa napoletana.
fig. 2 - Nicola Casissa - Trionfo di fiori e frutta - Londra collezione privata |
fig. 3 - Gaspare Lopez - Tulipani, peonie, rose ed altri fiori presso una fontana Napoli collezione Capuano |
fig. 4 - Giacomo Nani - Cestini con frutta Roma collezione privata |
fig. 5 - Baldassarre De Caro - Uccelli morti con fucile Italia mercato antiquariale |
Passiamo ora presentare ai lettori degli inediti di grande qualità partendo da una Natura morta di fiori e frutta (fig.6) dell’antiquario Chiti eseguita da Giacomo Nani, nella quale la ripresa naturalistica di maniera, la studiata grafica ed il cromatismo luminoso, caratteristici di una fedeltà ad una pittura indisponibile ad ogni addolcimento rocaille, pongono la datazione cronologica della composizione entro la metà del secolo.
Giacomo Nani (Porto Ercole 1698 - Napoli 1755), pittore di nature morte, fu allievo secondo il De Dominici di Andrea Belvedere e di Gaspare Lopez e riprese in pieno Settecento
una pittura di ispirazione naturalista in linea con quanto anticipato da Tommaso Realfonso. Si sposò nel 1726, dichiarando nel processetto il suo mestiere di pittore ed ebbe come testimone il principe di Bisignano, Luigi Sanseverino, a dimostrazione di un’introduzione come artista negli ambienti della nobiltà napoletana. Ebbe vari figli ed il primogenito Mariano seguì le orme paterne trasferendosi poi in Spagna dove proseguì la sua attività.
Le prime opere del Nani vengono descritte in un inventario del 1723 della duchessa di Terranova ed in seguito nel 1725 troviamo quattro suoi quadri di fiori nel testamento del duca di Limatola. Interessante è la notizia di una collaborazione con Paolo De Matteis, il quale realizzale figure in alcune sue composizioni.
Seguendo il racconto del De Dominici apprendiamo poi che il pittore esegue dipinti anche per il re in persona “dipingendo per lui varie cacciagione ed altre galanterie”. Ed a conferma di queste committenze vi è la presenza di numerosi suoi quadri sia nel Palazzo Reale di Napoli che di Caserta.
Ritornando al dipinto in esame vogliamo sottolineare alcuni particolari, come la frutta (fig.7) eseguita in maniera talmente naturale da attirare le voglie fameliche di un vispo uccellino (fig.8). Passiamo quindi ad un Trionfo di fiori (fig.9) di Gaspare Lopez, appartenente alla collezione napoletana di Brando Heibig, nel quale, sullo sfondo di un paesaggio denso di nuvole minacciose fanno bella mostra di sé varie specie di fiori dai colori smaglianti, alcuni posti in un vaso su una colonna, altri distrattamente sparpagliati sul terreno, resi con abile maestria, a tal punto che l’osservatore, avvicinandosi al dipinto ne possa percepire il profumo.
Le uniche notizie biografiche su Gaspare Lopez (? - Firenze o Venezia 1740?) ci vengono fornite dal De Dominici, ma vanno integrate con nuove acquisizioni documentarie relative al suo lungo soggiorno fiorentino. Nato probabilmente a Napoli, fu allievo del Belvedere, ma conobbe anche le opere di JeanBaptiste Dubuisson, abile diffusore a Napoli dei modi aulici di Jean Baptiste Monnoyer, che lo indussero ad una pittura di gusto ornamentale, a volte superficiale, ma segnata costantemente da un vivace cromatismo. Non fu molto apprezzato dal Causa, che lo definì un “divulgatore mediocre di un barocchetto illusionistico e cavillosamente decorativo, deviando verso un vistoso ornamentalismo il nobile timbro stilistico del Belvedere”. Ebbe come allievo Giacomo Nani. Egli amò ambientare le sue composizioni en plein air, entro parchi verdeggianti di alberi e siepi, percorsi da viali e sentieri ed arricchiti da elementi decorativi: vasi, urne, busti, obelischi, posizionati con apparente casualità insieme a resti archeologici ed uccelli multicolori come il pappagallo ed il pavone.
Prima di passare ad illustrare due dipinti di una collezione romana (fig.10-11) diamo alcune notizie sull’autore: Baldassarre De Caro.
Le fonti ci hanno tramandato poche notizie sull’artista (1689-Napoli 1750), ma l’abitudine di siglare o firmare le sue opere ha permesso alla critica di formulare un catalogo abbastanza corposo della sua produzione, soprattutto negli ultimi anni grazie alla frequente comparsa di tele nelle aste internazionali e sul mercato. Purtroppo è difficile stabilire una precisa cronologia, per la rarità di date (tra le poche eccezioni la tavola del Banco di Napoli eseguita nel 1715 ed una Natura morta con animali e fiori, firmata e datata 1740, in collezione privata a Barcellona, segnalata da Urrea Fernandez) e per uno stile sempre eguale, nel quale non si riesce ad evidenziare una coerente evoluzione.
Abbiamo anche un documento di pagamento reperito da Rizzo, una rarità per quanto riguarda i generisti napoletani; la polizza si riferisce alla cifra di 38 ducati incassata dal pittore per due quadri il 16 settembre 1720.
Secondo il De Dominici: “dal quale apprese primieramente a dipingere fiori, de’quali molti quadri naturalissimi con freschezza e maestria ha dipinto” ed il Giannone, egli nasce nel 1689 e fu tra i più bravi allievi di Andrea Belvedere, per cui, almeno inizialmente pittore di fiori, una veste nella quale non abbiamo molti esempi ad eccezione della celebre serie di quattro vasi divisa tra il museo del Banco di Napoli e la pinacoteca di Bari ed un dipinto comparso nel 2000 presso l’antiquario Lampronti a Romai. Si dedicò in seguito alla rappresentazione di animali e selvaggina morta con uno stile, per quanto venato da ambizioni innovative, piuttosto anodino e monocorde.
Con i suoi dipinti incontrò il favore dell’aristocrazia locale e della nascente corte borbonica, come ci racconta il De Dominici: “Baldassar di Caro anch’egli ha l’onore di servire sua Maestà nei suoi bei quadri di cacce, di uccelli e di fiere, come altresì di altri animali, nei quali si è reso singolare, come si vede dalle sue belle opere in casa di molti signori, e massimamente in quella del duca di Mataloni, ove molti quadri di caccia egli ha dipinto… divenendo uno de’ virtuosi professori che fanno onore alla Patria”.
I due dipinti, di collezione Righi, di cui parlavamo, sono antitetici, il primo è un inno alla vita con un gruppo di anatre che svolazzano felici, mentre l’altro mette in mostra l’esito della caccia, con una serie di volatili trapassati da un fucile, fiero del lavoro svolto.
fig. 6 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta Antiquario Stefano Chiti |
fig. 7 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta -(particolare) Antiquario Stefano Chiti |
fig. 8 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta - (particolare) Antiquario Stefano Chiti |
fig. 9 - Gaspare Lopez - Trionfo di fiori Napoli collezione Brando Helbig |
fig. 10 -Baldassarre De Caro - Caccia all'anitra - 98 x72 Roma collezione Lallo Righi |
fig. 11 - Baldassarre De Caro - Esito della caccia con fucile Roma collezione Lallo Righi |
Concludiamo la nostra carrellata con due pregevoli dipinti della collezione Carignani di Novoli, una nobile famiglia napoletana, da alcuni anni trasferitasi a Bruxelles.
Il primo, un vero capolavoro, una Natura morta di fiori e frutti (fig.12) è attribuibile al virtuoso pennello di Aniello Ascione, che in molti dipinti raggiunge un livello molto alto, caratterizzato da un’intonazione cromatica calda e da una schietta vena decorativa. Sono tutte composizioni influenzate in parte anche dagli eleganti modi pittorici di Abraham Brueghel.
Di Aniello Ascione tutti i testi di storia dell’arte ripetono pedissequamente: notizie dal 1680 al 1708, copiando a vicenda questo dato, che non ha riscontro in alcun documento e per conoscere l’artista dobbiamo come sempre rifarci al racconto del De Dominici, che afferma: “Aniello Ascione fu anche egli scolaro del Ruoppoli ed anche fu valentuomo dipingendo con amenità di colore assai vago, e che però tira assai al rossetto d’alacchetta; ha fatto molte opere di frutti e fiori, ma per lo più frutte, e l’uva erano la sua applicazione e con decoro ha l’arte esercitata, facendoli ben riconoscere
delle sue fatiche e mantenendo il decoro della professione, ha con esse rese adorne varie gallerie de’ signori ed altre stanze di particolari e da tutti son tenute in pregio l’opere sue”.
Il Dalbono ci riferisce inoltre che eseguiva quadri di grandi dimensioni seguendo l’esempio del maestro e del Giordano.
Di più non sappiamo dalle fonti.
Il dipinto in esame è improntato ad un vivace piglio decorativo già pienamente barocco, pervaso da quei rutilanti trionfi di frutta perfettamente in sintonia con la sprizzante vitalità ed il temperamento dei napoletani, gaio ed esuberante.
La seconda tela in esame (fig.13) rappresenta vari tipi di frutta, descritti con una tale precisione da far venire l’acquolina in bocca all’osservatore. Dopo aver sentito il parere di numerosi specialisti sono addivenuto alla decisione di assegnare il quadro a Giorgio Garri per la elegante pennellata, dal tocco rapido ed incisivo. Il sottile realismo con cui l’artista dipinge i frutti accuratamente definiti, il modo di lumeggiare i contorni, toccati da lievi curve, le preziosità materiche ravvisabile nella cromia vibrante e soprattutto l’ambientazione della scena, immersa in una luce densa e fonda, ci permettono di apprezzare un pittore le cui opere andranno ricercate con più attenzione nel mare magnum delle tante nature morte di autore ignoto o sotto le più diverse attribuzioni.
Una importante aggiunta al catalogo dell'artista, che merita di essere conosciuto ed apprezzato non solo da pochi specialisti, ma da tutti gli appassionati dell'arte.
Nella schiera degli specialisti minori impegnati a Napoli nel settore della natura morta va collocato Giorgio Garri (Napoli? – 1731), del quale la più antica testimonianza ci è fornita dal De Dominici, che lo segnala nella bottega di Nicola Casissa, per quanto fosse suo coetaneo. Il biografo tiene a sottolineare l’abilità dell’artista nel dipingere fiori e frutta, imitando lo stile non solo del suo maestro, ma anche del sommo Belvedere e ci racconta che egli lavorava con studio e con amore, morendo nel 1731 dopo aver perso la vista.
Anche Giorgio appartiene ad una famiglia di generisti, infatti suo fratello Giovanni fu “buon pittore di marine e paesi” e la figliola Colomba brava nel realizzare “fiori e pescagione ed anche cose dolci, seccamenti, cose da cucina e sul finir dell’attività anche vedute di città in prospettiva”. A sua volta Colomba aveva sposato il pittore ornamentista Tommaso Castellano ed anche le sue figlie Ruffina, Apollonia e Bibiana furono avviate al disegno ed ai pennelli con un mediocre successo.
Causa nella sua esegesi sulla natura morta napoletana del 1972 mostra di non conoscerlo, anche se una mezza figura di donna era comparsa sul giornale Les Arts del febbraio 1907 ed un suo quadro era registrato nel 1747 nell’inventario del principe di Scilla Guglielmo Ruffo. La ricostruzione della sua personalità è merito del Salerno, che nel 1984 ha pubblicato un suo dipinto di grosse dimensioni transitato sul mercato e firmato per esteso, raffigurante una Donna ed altre figure in un giardino da collocare nell’ambito del decorativismo di ascendenza giordanesca.
fig. 12 - Aniello Ascione - Natura morta di fiori e frutta Bruxelles collezione Carignani di Novoli |
fig. 13 - Giorgio Garri - Natura morta di frutta Bruxelles collezione Carignani di Novoli |
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