Nona puntata
I primati di Napoli ed il dramma dell’emigrazione
Negli ultimi decenni i mass media, tutti di proprietà monopolistica del Nord, hanno non solo falsificato i libri di storia, ma hanno cercato di diffondere lo stereotipo di un Meridione costituito da fannulloni e parassiti, alle cui esigenze debbono provvedere le regioni settentrionali, prospere e laboriose.
Solo di recente alcuni seri ricercatori, come Gennaro De Crescenzo (fig.1), assiduo frequentatore di archivi ed alcuni scrittori come Pino Aprile, autore di un pamphlet di successo, che coniuga dati storici inoppugnabili ad una travolgente vena polemica (fig.2), hanno cercato di rileggere con onestà gli avvenimenti del passato, soprattutto il fenomeno del brigantaggio, che vide un tacito accordo tra i notabili latifondisti e la borghesia imprenditoriale del Nord.
Le campagne erano in rivolta ed il brigantaggio faceva del Sud un vero e proprio Far West.
Furono i soliti gattopardi, padroni dei voti delle masse popolari, ad aderire alle scelte politico-economiche post-unitarie, privilegiando finanziariamente lo sviluppo delle industrie padane a costo di penalizzare per sempre ogni possibilità di sviluppo del Meridione, i cui abitanti si videro costretti, a decine di milioni, ad abbracciare la scelta dell’emigrazione.
Fu una diaspora di dimensioni bibliche, un vero e proprio genocidio del quale vanamente troverete anche un accenno nella storiografia ufficiale.
Il dato più importante da cui bisogna partire è che all’ indomani del plebiscito, quando il nuovo regime cominciò ad assumere i primi provvedimenti finanziari, si rese conto che il Regno delle due Sicilie aveva in cassa 443 milioni, più del doppio dei bilanci di tutti gli altri Stati della penisola che, tutti assieme, raggranellavano 220 milioni.
Tutto ciò a dimostrazione lampante che l’economia era più che florida, esportando legname, grano, frutta, olio, primizie, vini pregiati, carne, uova, pasta, latte ed agrumi, garantendo un costante flusso di valuta estera.
E se passiamo dall’agricoltura all'industria il divario era ancora più accentuato, dalla produzione di pelletteria agli strumenti di precisione, mentre la grandiosa fabbrica di Pietrarsa sfornava a getto continuo colossali macchinari, dalle locomotive alle macchine a vapore, dalle gru ai ponti di ferro alle rotaie, a parte pezzi di artiglieria, bombe e granate.
Nel frattempo i cantieri di Castellammare producevano centinaia di navi che facevano della flotta borbonica una delle più importanti del Mediterraneo, oltre a molte altre commissionate dall’ estero.
Nella zona di Amalfi era tutto un susseguirsi di cartiere e di opifici tessili e non poche erano le risorse minerarie; a parte lo zolfo in Sicilia, si estraeva ferro, piombo, antracite e talco.
Ma i veri primati di Napoli indiscussi sono nel campo della cultura, dell’edilizia e della scienza. Accenniamo ai principali:
- Nel 1738 si diede inizio ai lavori per la Reggia di Capodimonte.
- Nel 1751 Ferdinando Fuga ebbe l’incarico per la costruzione dell’Albergo dei Poveri (fig.3), una struttura gigantesca destinata ad accogliere tutti i poveri del Regno.
- Nel 1737, in soli sei mesi, quarant’anni prima della Scala di Milano, si completò il Teatro San Carlo (fig.4), che divenne l’indiscusso tempio della lirica europea.
- Nel 1738 vennero alla luce i parchi archeologici di Ercolano e di Pompei, che attirarono per decenni gli entusiasti visitatori del Grand Tour.
- Nel 1743 fu fondata la celeberrima Fabbrica di porcellane di Capodimonte.
- Nel 1771 fu affidato il compito a Luigi Vanvitelli di costruire a Caserta una reggia (fig.5) più bella e sfarzosa di quella di Versailles.
- Nel 1778 cominciò a funzionare a Palazzo Reale la celebre Fabbrica degli arazzi. L’anno successivo nacque la manifattura di San Leucio, una singolare fabbrica governata da rivoluzionarie regole socializzatrici.
- Nel 1798 la spiaggia di Chiaia si trasformò in una splendida Villa Reale. L’anno successivo sorsero i colossali Granili.
- Nel 1818 prese il mare il primo battello a vapore e l’anno successivo fu edificato a Capodimonte il primo Osservatorio astronomico (fig.6) d’Europa.
- Nel 1837 Napoli fu la prima città italiana ad avere l’illuminazione a gas. Ma la grande impresa fu il 3 ottobre 1839 l’inaugurazione della linea ferroviaria Napoli -Portici, la seconda al mondo, alla quale in breve si aggiunsero altri tratti che misero in comunicazione la capitale con Caserta, Capua, Cancello, Nola e Sarno. La rete stradale nel 1855 era di ben 4587 miglia.
- Nel 1841 sorse ad Ercolano l’Osservatorio Vesuviano. Nel 1852 nacque la prima linea telegrafica Napoli - Gaeta ed in breve furono in contatto tutte le principali città, comprese Reggio Calabria e Messina attraverso una linea sottomarina.
- Nel 1845 si tenne il VII Congresso degli Scienziati. I presidi sanitari erano all’avanguardia in Europa ed importante fu anche la funzione dei Monti di Pietà che contrastarono attivamente il fenomeno dello strozzinaggio.
fig. 2 - Nostalgia e orgoglio |
fig. 3 - Napoli, Albergo dei poveri |
fig. 4 - Teatro San Carlo |
fig. 5 - Reggia di Caserta |
fig. 6 - Osservatorio astronomico |
Molteplici furono le attività artigianali, dalla coniazione di monete alla legatoria di lusso, dalla lavorazione del corallo e della maiolica all’intaglio dell’avorio e all’elaborazione di gioielli d’oro e argento.
Potremmo continuare a lungo, ma vogliamo concludere con i tanti teatri, più di Parigi, che erano sempre stracolmi e testimoniavano la gioia di vivere di un popolo che scaricava così i suoi timori e le sue insoddisfazioni ed i quotidiani stampati ogni giorno, più di Londra.
Vogliamo ora proporre al lettore delle riflessioni sul fenomeno dell’emigrazione, intrecciate a ricordi sulla storia italiana ed a considerazioni sui nuovi flussi che interessano il nostro paese.
Dopo la repressione del brigantaggio l’economia meridionale subì un vistoso tracollo e per molti, quasi tutti, l’unico modo per sopravvivere fu quello di lasciare la propria terra per procacciarsi il pane quotidiano e dare un futuro ai propri figli. Lo stato sabaudo, dopo aver combattuto la rivolta con metodi militari, rendendosi responsabile di eccidi spaventosi, incoraggiava questo silenzioso genocidio del quale invano cercheremo notizie nei libri di storia.
La meta preferita era l’America e nel corso di pochi decenni oltre 25 milioni di Italiani sono stati costretti all’emigrazione oltre oceano e soltanto pochissimi sono ritornati; la maggior parte di questi disperati proveniva dalle regioni meridionali salvo una sparuta pattuglia di veneti. Il punto di partenza era il porto di Napoli (fig.7) da dove partivano i famosi “bastimenti” carichi fino all’inverosimile di un’umanità lacera e spaventata.
“Ah, ce ne costa lacrime st’America a nui napulitane …“ è il primo verso di una celebre canzonetta: “Lacrime napulitane”(fig. 8), composta nel 1925 da Libero Bovio (fig.9), in cui l’autore cercò di sintetizzare il dolore e la paura di un giovane emigrante sperduto nell’immensa solitudine di New York. Il protagonista, bisogna precisarlo, si era deciso ad attraversare l’oceano per un tradimento della donna amata, un motivo futile rispetto a quello che aveva spinto al grande passo milioni di connazionali.
Un’altra celebre canzonetta del 1919 “Santa Lucia lontana” (fig.10) parte proprio con: “Partono i bastimenti”. L’autore è E. A. Mario, celebre per aver scritto “La leggenda del Piave”.
L’abbondanza di composizioni canore sull’argomento non deve sorprendere perché l’emigrante, scorrendogli la melodia nelle vene, reggeva una valigia di cartone ma quasi sempre portava a tracolla una fisarmonica.
Continuavano a celebrare le proprie feste come la processione di San Gennaro ed organizzavano la festa di Piedigrotta, nella quale fu lanciata “Core ingrato” composta nel 1911 da Cordiferro e Cardillo.
Straordinaria è poi la vicenda di Gilda Mignonette(fig. 11) che, nel 1926, si trasferì dalla natia Duchesca alla rumorosa Little Italy e venne eletta a furor di popolo “La regina degli emigranti” grazie al successo planetario della sua “’A cartulina ‘e Napule”(fig.12).
I nostri connazionali, dopo un interminabile navigazione vissuta nel degrado, venivano muniti di cosiddetto “Passaporto rosso” e venivano sbarcati nell’isolotto di Ellis Island (fig.13), posto davanti a New York, dove la polizia li sottoponeva ad un controllo simile a quello che si riserva al bestiame. Chi superava la selezione, lentamente con l’aiuto di parenti o amici già da tempo sul posto, riusciva ad arrangiare una sistemazione ed a trovare un lavoro, sempre faticoso e sfibrante.
A qualcuno la fortuna arrideva ed ecco alcuni diventare magnati, artisti, persino santi, ma anche gangster e mafiosi. Ma a fronte di un’organizzazione criminale come la Mano nera, di origine siciliana, a combatterla vi era un super poliziotto, Joe Petrosino (fig.14), figlio di emigranti originari di Padula.
E se Al Capone (fig.15) era figlio di emigranti campani egualmente erano di origine italiana Fiorello La Guardia, che diventerà sindaco di New York, o Frank Sinatra, celebre cantante, o Frank Capra, uno dei più celebri registi, oltre a tanti altri scrittori, poeti e saggisti di altissimo livello. Generazioni di italiani che, inclusi coloro che avevano scelto come meta Argentina e Brasile, sono stati una notevole fonte di ricchezza per il nostro paese. Valga un solo esempio: tra il 1900 e il 1922 i soli meridionali, tramite il Banco di Napoli e quello di Sicilia, spedirono ai loro parenti rimasti in patria ben 20 miliardi di lire oro e si calcola che una eguale quantità di denaro sia stata spedita per posta o consegnata a mano. Un fiume di soldi che ha permesso di sopravvivere a milioni di diseredati.
Con il fascismo il fenomeno rallentò vistosamente per riprendere negli anni ‘60 e ’70 nel periodo del boom economico, questa volta verso il Nord e le ricche regioni europee: Germania, Belgio, Svizzera, dove la manodopera meridionale veniva maltrattata non solo all’estero ma anche nella civile Padania, dove abbondavano i cartelli “Non si affitta ai meridionali”, definiti sprezzantemente terroni.
Oggi esportiamo cervelli e sono i migliori ad andarsene, regalando conoscenze ed energie vitali ad altri paesi, dopo aver speso cifre ingenti per farli studiare e specializzare.
A fronte di questa emigrazione di lusso da alcuni decenni l’Italia è divenuta la terra promessa per milioni di disperati in fuga dalla fame, dalla siccità e dalle guerre. Un fiume in piena che fra poco sarà difficile da arginare, fino a quando l’Europa, nel suo miope egoismo, non deciderà di varare un gigantesco piano Marshall per creare, soprattutto in Africa, condizioni di sopravvivenza investendo nell’irrigazione, nella sanità e nell’istruzione. Sono disperati che rischiano la vita tra le onde, dopo aver percorso a piedi centinaia se non migliaia di chilometri nel deserto per raggiungere la costa libica dove vengono taglieggiati da autentici negrieri che li spogliano di ogni oggetto prezioso, oltre a pretendere cifre vergognose per fargli rischiare la vita su barconi rattoppati, pronti ad affondare alla prima onda più alta del solito. Nessuno saprà mai le dimensioni di quel gigantesco cimitero sottomarino che raccoglie pietosamente i resti di decine di migliaia di uomini, donne e bambini che sognavano la terra promessa.
Per i fortunati che toccano il territorio italiano sono pronte strutture simili più ad un lager che a centri di accoglienza dove, stipati fino all’inverosimile, attendono per mesi sotto al sole e se non sono profughi lo Stato tenta in tutti i modi di rimpatriarli.
Un’altra porta d’ingresso è quella orientale, preferita dalle popolazioni slave e dagli ucraini. Molti vengono con visti turistici e poi scompaiono nel nulla, cercando a qualsiasi prezzo un lavoro per sopravvivere: badante, manovale, contadino.
Una serie di leggi scriteriate ha cercato negli anni di reprimere unicamente il fenomeno invece di tentare di regolarlo, attraverso quote annuali secondo le richieste del mercato, come si comportano molti paesi dagli Stati Uniti all’Australia.
Questo stolto comportamento, oggi che la storia si ripete all’incontrario con legioni di disperati che vedono nelle nostre città e nelle nostre campagne una sorta di paradiso terrestre, dipende dall’aver rimosso gli anni in cui l’Italia era terra di migranti e di non aver avviato un serio programma di integrazione, addirittura nemmeno per i figli degli stranieri in regola nati in Italia ai quali non viene riconosciuta la cittadinanza.
Il problema dell’integrazione tra italiani ed il fiume di stranieri che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari, soprattutto delle grandi città: Roma, Napoli, Milano, nei quali ormai gli “alieni” (ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza.
Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel mondo esterno cosiddetto civile; tutti si considerano membri di una grande famiglia e chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta acquisendo anche la cadenza dialettale locale.
Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire perché non si può andare contro il corso della storia.
Noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna non una calamità che molti scelgano l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi la terra promessa.
Il nostro passato è dimenticato, seppellito nel più profondo inconscio complici le istituzioni che non hanno realizzato un museo che ci rammenti gli anni in cui eravamo carne da macello, pronta a qualsiasi lavoro, anche il più umile e pericoloso. Un museo dell’emigrazione per ricordare il passato e per spegnere in noi qualsiasi seme di razzismo e di becero leghismo. E quale sede più degna del porto di Napoli dove per un’eternità sono partiti i bastimenti carichi di disperazione e di nostalgia, di ansia di riscatto e di antica dignità.
fig. 7 - Palazzo della Immacolatella nel porto di Napoli |
fig. 8 - Lacrime napulitane |
fig. 9 - Libero Bovio |
fig. 10 - Santa Lucia luntana |
fig. 11 - Copertina Gilda Mignonette |
fig. 12 - Celebre canzone |
Vorrei concludere riproponendo una mia lettera (fig.16), intitolata Favoletta per bambini, che nel 2006 venne pubblicata dai principali giornali italiani.
Prima che a scuola i nostri figli imparino la storia risorgimentale sui libri scritti dai vincitori, vogliamo provare a raccontare loro una favola, la sera prima di addormentarsi, quando finalmente si sono spenti televisione, computer e videogiochi?
Un giorno un piccolo re valdostano piemontese, che non parlava italiano ma francese, che portava il nome di una regione della Francia, la Savoia e le cui casse statali erano poco meno che disastrate decise di voler diventare il re di tutti gli italiani, dalle Alpi alla Sicilia, in un momento storico che il concetto di Italia era noto solo a Mazzini ed a pochi altri intellettuali.
Avrebbe volentieri usufruito di un’investitura divina, ma gli unti dal Signore erano di là da venire e nelle alte sfere, almeno ad ovest del monte Ararat, da secoli non si condividevano menzogne così sfacciate. Si decise ad adoperare metodi sbrigativi ed efficaci e si rivolse ad un guerrafondaio di professione, nativo di Nizza e dal carisma indiscutibile. Lo armò, gli fornì denaro e protezione e lo inviò a liberare… ed a civilizzare il Regno delle due Sicilie ed a cacciare i Borbone. Fu necessaria qualche strage, alcuni massacri, numerose violenze: Bronte, l’Aspromonte, ecc., ma ne valse la pena.
Il nuovo re non era mai stato a sud di Roma, non conosceva Amalfi o Barletta, a stento sapeva che la Sicilia era un’isola, ma ne ignorava la lunga storia, certo aveva sentito parlare di Napoli, che, a differenza di Torino, piccola città provinciale, era una grande capitale europea dell’arte e della cultura. Ma tutte queste considerazioni sono trascurabili quando, non richiesti, si devono liberare (ma da cosa?) intere popolazioni.
Terminata l’opera di civilizzazione, si provvide a trasferire nelle casse piemontesi il Tesoro napoletano e a distruggere in poco tempo l’industria locale e ad impoverire le risorse naturali ed il territorio. Si convinsero, nell’arco di alcuni decenni, alcune decine di milioni di meridionali che in America si viveva meglio ed era il caso di trasferirsi nel nuovo mondo. Un genocidio in piena regola di cui invano troverete traccia nei libri di storia.
La favoletta è terminata, il bambino dorme, ma speriamo che quando si sveglierà ricorderà qualcosa del racconto.
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