sabato 27 marzo 2021

Arte ed architettura nel complesso degli Incurabili

 

 

fig.1 - Ignoto ceroplasta fine sec. XVII -
La scandalosa

 Il Complesso degli Incurabili è tra i più importanti siti monumentali di Napoli; di epoca rinascimentale, si trova nel centro storico, non lontano dal decumano superiore (ora via dell'Anticaglia). Esso originariamente, comprendeva la chiesa di Santa Maria Succurre Miseris dei Bianchi, la chiesa di Santa Maria del Popolo e lo storico ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili. Col tempo ingloberà anche la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli e l'omonimo chiostro, il complesso di Santa Maria della Consolazione, la chiesa di Santa Maria di Gerusalemme e il chiostro delle Trentatré. Lo storico ospedale degli Incurabili, fondato nel 1521 da Maria Lorenza Longo che volle tener fede ad un voto fatto quando era vittima di una malattia che l'aveva paralizzata, oltre agli altri pregi, racchiude la notevolissima la splendida farmacia settecentesca realizzata da Bartolomeo Vecchione a cui abbiamo dedicato un apposito capitolo
L'insieme di queste strutture racchiude quelle che rappresentano alcune fra le più importanti testimonianze del rinascimento napoletano.   Il complesso è una rarissima testimonianza di un'opera umanitaria e sanitaria dell'epoca che avrebbe dovuto accudire i malati incurabili.      
Nel complesso degli Incurabili, a Capo Napoli, centro dal quale si dirama l’energia di Neapolis, c’è la cappella di Santa Maria Succurre Miseris della Compagnia dei Bianchi di Giustizia. Si tratta di una confraternita fondata nella seconda metà del ‘400 dal frate predicatore francescano Domenico Gonzalo: il futuro San Giacomo della Marca.  Chi operava nel complesso ospedaliero aveva particolare attenzione alla cura del corpo e dell’anima, soprattutto per il delicato momento del trapasso, sia dei malati che dei condannati a morte. Gli appartenenti alla congrega vestivano un saio con cappuccio bianco e si occupavano di confortare coloro che avevano l’appuntamento col triste mietitore, farne celebrare i funerali, le messe in suffragio e l’assistenza post mortem delle famiglie. Agli Incurabili hanno trovato riscatto e lavoro tante donne che, spinte dalla miseria, avevano imboccato la strada della prostituzione, redimendosi con la cura dei malati. Il meretricio era molto diffuso nella capitale del regno, sia per le condizioni di disagio economico delle giovani popolane che per la presenza di militari della guarnigione spagnola di stanza a supporto del viceré. La cappella dei Bianchi era accessibile solo tre volte l’anno: a Pasqua, nel giorno dell’Assunzione e il giorno dei morti ovvero il 2 novembre quando si svolgeva la scenografica processione delle ossa, un rito che ricordava quello del funerale in suffragio di tutti i condannati per cui era stato impossibile celebrare le esequie.
La cappella è un vero e proprio scrigno di tesori e tra questi quello che più attira l’attenzione dei visitatori è una impressionate statua in cera conosciuta con il nome de ‘La Scandalosa’ (fig.1). Un ritratto vivido che aveva il compito di ammonire le giovani donne che avevano intrapreso o stavano per avviarsi al turpe mercato della prostituzione. Esso mostrava, infatti, gli effetti, sul viso e sul corpo, della sifilide o lue, la malattia a trasmissione sessuale per la quale una cura è stata trovata solo nel secolo scorso e che ha causato vere e proprie epidemie. Chiamata “mal francese” o “mal napoletano”, la sifilide si trasmette a causa di un batterio e, se non trattata, può causare la morte che, a quei tempi, era certa visto che non si conoscevano gli antibiotici. A descrivere questa particolare opera d’arte, sconosciuta alle frotte odierne di turisti frettolosi che consumano i basoli delle strade, è stato Salvatore Di Giacomo, poeta, autore di canzoni napoletane e saggista: “Vidi ch’ella rinserrava un mezzo busto di cera, di grandezza quasi naturale…Un mezzo busto femminile – una orribile faccia contratta nelle smorfie della sofferenza, una bocca spalancata come in un urlo, un cranio giallastro sul quale la finzione paurosa dell’artefice aveva radunato ciocche copiose di spioventi capelli neri…Il vecchietto – riferendosi al custode – , s’alzò piano e mi s’appressò. – “ Questa è la ‘donna scandalosa’ e si tiene qui perché tutte le femmine che fanno la vita cattiva sappiano che i sorci, gli scarafaggi e i vermi, dopo ch’è morta una di queste che dà il cattivo esempio, se la mangiano quelli animali”. Rabbrividii. Nella mezza oscurità quell’orribile busto di cera diventava impressionante: ora mi pareva davvero che la ‘scandalosa’ torcesse la bocca”. “La scandalosa” è esposta nella sagrestia della cappella, in una scarabattola, poco distante da un altro contenitore in legno e vetro che ospita un teschio: un memento mori che a tutti doveva e deve ricordare la caducità della vita e l’attenzione alla cura dell’anima visto che nessuno è a conoscenza del momento del proprio trapasso come ricorda San Matteo nella parabola delle dieci vergini “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno, né l’ora in cui il Figlio dell’uomo verrà”.       
L'oratorio della Compagnia dei Bianchi della Giustizia contiene numerose opere d’arte meritevoli di attenzione.  Esso, insieme alla congregazione, venne fondato nel 1473 da san Giacomo della Marca e nel 1519, grazie all'appoggio di papa Paolo IV, venne ingrandito e restaurato. Nel XVI secolo la congregazione, trasferitasi nella Santa Casa degli Incurabili, divenne nota nel Regno e fuori grazie alla sua attività. Nel 1583 il re Filippo II ne ordinò lo scioglimento poiché essa generava sospetti nelle autorità spagnole a causa della segretezza nella quale si svolgeva la sua opera. Nel 1673 vennero eseguite nell'oratorio modifiche e restauri barocchi su progetto di Dionisio Lazzari. L'ingresso all'oratorio si trova alla sinistra del portale nord di accesso al complesso, dopo una scala in piperno malridotta; l'ingresso è costituito da un portale anch'esso in piperno. L'elemento architettonico di spicco è la settecentesca scala a tenaglia (fig.2) che dal cortile degli Incurabili sale all'ingresso secondario della chiesa.          
Nell'interno una effimera decorazione barocca composta da affreschi sulla volta; nelle fasce laterali vi sono efebi che hanno funzione di telamoni, ai quali si alternano conchiglie con figure allegoriche. Sull'altare è posta una statua della Vergine (fig.3) di Giovanni da Nola, mentre la volta fu affrescata da Giovan Battista Beinaschi (fig.4-5) nel 1672. La sagrestia presenta una volta affrescata da Paolo De Matteis nel 1720 e molti ritratti di membri eminenti della confraternita alle pareti (fig.6–7–8). Altro ambiente di pregio è la Cappellina della Madonna della Purità, ornata sulla volta da stucchi dorati e alle pareti da affreschi illusionistici, dove sull’altare vi è un dipinto attribuibile a Pacecco De Rosa (fig.9). Infine vogliamo segnalare la presenza di un dipinto attribuibile ad Antonio Sarnelli, raffigurante un putto col simbolo dei Bianchi (fig.10).   

 

fig.2  - Ingresso

 

fig.3 - Giovanni da Nola (ambito) -
Madonna col bambino - 1540 circa

fig.4 - Giovan Battista Beinaschi -
Assunzione della Vergine 1672

 

fig.5 - Giovan Battista Beinaschi 
Affreschi della volta raffiguranti l'Assunzione della Vergine


fig. 6 - Sala della vestizione dei confratelli -
1720 circa

 
fig.7 - Sala della vestizione dei confratelli -
1720 circa


fig.8 -  Paolo De Matteis -
Affreschi 1720


fig. 9 - Pacecco De Rosa - Madonna della Puritá


fig.10 - Antonio Sarnelli (attribuito) -
Putto col simbolo dei Bianchi

Nell’Ottocento sarà il poeta Salvatore Di Giacomo a descrivere la sua visita alla celebre istituzione, famosa per l’ufficio principale dei confratelli: l’assistenza ai condannati a morte. Attività che gli incappucciati svolsero accompagnando al patibolo e raccogliendo le ultime volontà di migliaia di miseri e documentando ogni cosa nei loro registri. Carte preziose, che raccontano pezzi importanti della storia di Napoli Capitale, quale quella dei martiri della Repubblica del 1799. I confratelli si occupavano anche di confortare e assistere materialmente le famiglie dei condannati a morte come pure i malati ricoverati nelle corsie dell’Ospedale Incurabili.
La Compagnia, fondata da Giacomo della Marca, ebbe tra i suoi adepti e correttori San Gaetano da Thiene (fondatore dei Teatini), Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (autore di “Tu scendi dalle stelle”), Francesco Caracciolo (detto il cacciatore di anime) oltre a nobili e importanti mercanti dei seggi di Napoli. Certamente, la compagnia fu punto d’incontro tra i poteri forti del vicereame spagnolo, la Curia, i nobili e i mercanti dei seggi.
Maria Lorenza Longo, fondatrice e governatrice dell’Ospedale Incurabili, si prendeva materialmente cura dei confratelli di cui lavava gli abiti spesso intrisi del sangue dei condannati. Ecco perché la storia dell’Ospedale è strettamente legata alla Cappella. Al di là dell’aspetto caritatevole e sociale della compagnia, il popolo dava molta importanza alla scenografia del supplizio di cui i Bianchi erano essi stessi parte, perché presenti accanto al boia. Spesso le corde usate per l’impiccagione erano raccolte dai confratelli perché non se ne facesse commercio da parte del popolino, uso compravendere macabri reperti umani, strumenti di tortura e del supplizio ritenuti preziosi contro il malocchio.  
La chiesetta di Santa Maria Succurre Miseris veniva aperta a pochi fortunati solo due volte l’anno, a Pasqua e all’Assunzione e, talvolta, il 2 novembre, quando aveva luogo la cosiddetta “processione delle ossa”, una sorta di funerale collettivo dedicato a quei giustiziati che non avevano potuto ricevere conforto delle esequie nei mesi precedenti. Il corteo raccoglieva su carri, addobbati con giganteschi ceri, le ossa dei condannati e partendo dalla Chiesa di Santa Maria di Loreto si concludeva nel cortile della Real Casa di Santa Maria del Popolo degli Incurabili.    
 Nell’opera di Giuseppe Boschetto “La Pimentel condotta al patibolo” (fig.11), l’eroina della rivoluzione napoletana del 1799 viene ritratta poco prima di giungere a Piazza Mercato, dove sarà impiccata. Nel dipinto realizzato nel 1868, Lenór appare preceduta da un manipolo di uomini incappucciati, vestiti con un saio bianco. Si tratta dei componenti della Compagnia dei Bianchi della Giustizia, un’organizzazione caritatevole, che sin dalle origini aveva assunto la funzione di assistenza e conforto dei condannati a morte.    
Associazione fondamentale durante la dominazione borbonica, i Bianchi della Giustizia vengono citati anche da Enzo Striano ne “Il resto di niente”, opera in cui l’autore dipinge un magistrale affresco della Rivoluzione Napoletana e dei suoi protagonisti. In particolare, parlando del corteo che avrebbe accompagnato al patibolo alcuni dei rivoluzionari condannati a morte, fra i quali Gennaro Serra di Cassano ed Eleonora Pimentel Fonseca, dice: “Si dispone il corteo, secondo misterioso, stolido rituale. Avanti i soldati, poi le guardie, i Bianchi, uno sbirro che porta lo stendardo blu e d’oro della Vicarìa, il trombetta che squilla e strillerà”.      
La Cappella dei Bianchi della Giustizia rappresenta un vero e proprio museo capace di illuminare su un momento importante della storia di Napoli: si tratta di un luogo emblematico dell’identità di un popolo da sempre fortemente animato da forme di creatività autentica, tanto nel campo artistico quanto nei modi della carità laica e cristiana. “Erano molto veri il dolore e il male di Napoli, uscita in pezzi dalla guerra. Ma Napoli era città sterminata, godeva anche di infinite risorse nella sua grazia naturale, nel suo vivere pieno di radici”, scrive Anna Maria Ortese in “Il mare non bagna Napoli”, per descrivere una società complessa e complicata come quella partenopea, capace anche in contesti decisamente problematici di attivare veri e propri laboratori di innovazione utili all’emergenza di possibili strategie di trasformazione sociale.     
L’ultimo giustiziato ad essere “confortato” dai confratelli dei Bianchi fu il messinese Salvatore Gravagno,  soldato del  2° Granatieri, fucilato il 20 dicembre 1862, sotto il Fortino di Vigliena al Ponte.      
Attualmente i Registri della Congregazione dei Bianchi della Giustizia  sono custoditi presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli e rappresentano un patrimonio inestimabile di notizie che abbracciano tre secoli di storia. 

 

fig.11 - Boschetto Giuseppe -
Eleonora Pimentel Fonseca condotta al patibolo


fig.12 -  Chiesa Santa Maria del Popolo, interno

Prima di descrivere la chiesa di Santa Maria del Popolo (fig.12–13) ed accennare ai tesori d’arte ivi conservati, voglio invitare i lettori a meditare sull’inefficienza delle istituzioni, che hanno permesso che l’edificio sacro da decenni fosse chiuso ai visitatori e poscia a pregare, perché nella chiesa alle prime ore dell'alba del 24 marzo 2019 si è verificato il crollo di una volta di sostegno del pavimento retrostante l'altare maggiore; il crollo ha provocato anche un cedimento che ha interessato la tomba di Maria D'Ayerba (cofondatrice dell'ospedale degli Incurabili) e parte del coro ligneo (fig.14–15). 

 

fig. 13 -  Chiesa Santa Maria del Popolo, interno

fig.14 - Lesioni  nella volta


fig.15 - Crollo del pavimento


La chiesa di Santa Maria del Popolo è caratterizzata da un interno ad aula unica con cappelle, decorato con stucchi barocchi; gli altari delle cappelle sono in marmo bianco, mentre quello maggiore, opera di Dionisio Lazzari, è in marmo commesso. Accanto all'altare maggiore è posto un sepolcro rinascimentale realizzato da Giovanni da Nola.    
Gli affreschi della chiesa furono portati a termine tra il XVI ed il XVIII secolo; in particolare la cupola fu decorata a Belisario Corenzio, mentre nei pennacchi lavorò Luigi Rodriguez, le principali opere pittoriche sono di Agostino Beltrano, Giuliano Bugiardini (fig.16), Marco Cardisco, Francesco De Mura, Giovan Angelo D’Amato (fig.17), Marco Pino, Giovanni Battista Rossi e Carlo Sellitto. Nella Cappella Montalto è posta un'opera di Girolamo D'Auria.     
Nella sagrestia ci sono dei notevoli pezzi di arredo risalenti al 1603 e la volta fu affrescata ancora dal medesimo Giovanni Battista Rossi.    
Costruita nel’500 da un architetto del quale le fonti non ci hanno tramandato il nome, fu abbellita significativamente nel corso del’700 con preziosi stucchi e con i dodici altari in marmo disposti lungo le pareti.    
L’interno si presenta a navata unica, con delle piccole aperture laterali in cui sono posti gli altari, sormontati in passato da dipinti, oggi custoditi presso la Farmacia degli Incurabili, realizzati da Marco Pino, Carlo Sellitto e Francesco De Mura. Sul primo altare a destra, rimane la cornice in marmo in cui era posta la tela di Battistello Caracciolo, raffigurante Il “Cristo Portacroce”, oggi al Museo di Capodimonte. Sulla porta d’ingresso, anticamente, si ammirava una tavola che raffigurava la “Trasfigurazione”, opera di Giovan Francesco Penni, allievo di Raffello: l’opera, attualmente al Museo del Prado, era stata donata a fine’600 dai governatori degli Incurabili al Marchese del Carpio, Viceré di Napoli.     
Al suo posto, sempre a fine’600, fu costruita la cantoria, dove si trovava posizionato un organo del ‘700 ornato da angioletti lignei elegantemente scolpiti: oggi questo organo risulta scomparso. A sinistra dell’ingresso, con uno stile elegante vicino ai modi di Cosimo Fanzago, si può ammirare il monumento funebre dedicato a Mario Zuccaro: si tratta di un medico e filosofo, vissuto a cavallo tra ‘500 e ‘600, che lasciò tutto il suo patrimonio al Complesso degli Incurabili.     
Proprio dopo il monumento di Mario Zuccaro, vi è l’ingresso della cappella della famiglia Montalto, un vero e proprio scrigno d’opere d’arte: sull’altare spicca una Madonna col Bambino (fig.18) dello scultore Geronimo d’Auria (1592), mentre alle pareti si possono ammirare ben sei tele settecentesche, attribuite al pittore Giova Battista Rossi. Si tratta, nell’ordine, di una “Adorazione dei Magi” (fig.19), di una “Adorazione dei Pastori”, della “Presentazione di Gesù al Tempio”, della “Fuga in Egitto”, e due tele raffiguranti i “Santi Cosma e Damiano”, secondo la tradizione protettori dei medici. Sempre nella cappella Montalto, particolarmente interessanti risultano gli affreschi delle volte e delle lunette, dipinti dallo spagnolo Luigi Rodriguez e il monumento funebre di Ludovico Montalto, scolpito da Andrea Sarti.         
L’ultimo altare di sinistra, ormai spoglio, conservava una “Adorazione dei Pastori” di Carlo Sellitto (oggi nella Farmacia), uno dei primi pittori napoletani influenzati da Caravaggio.  Ai lati del maestoso altare maggiore, realizzato in marmi policromi da Dionisio Lazzari tra il 1688 e il 1692 (una delle sue ultime e più belle opere), si trovano i monumenti funebri di Andrea di Capua e del figlio Ferdinando (fig.21–22), commissionati a Giovanni da Nola nel 1531 da Maria d’Ayerba, Duchessa di Termoli, nonché una delle figure più importanti nella storia del complesso dopo la fondatrice Maria Longo. Proprio la duchessa, infatti, condusse l’ospedale e ne permise lo sviluppo dopo il ritiro in convento della Longo.      
Alle spalle dell’altare maggiore, tra i due sepolcri, riposa la stessa Maria d’Ayerba, i cui resti sono rovinosamente crollati insieme al pavimento all’alba del 24 marzo scorso e poi pietosamente recuperati.
Dopo l’altare e il coro ligneo, sulla sinistra, si accede alla sagrestia che conserva ancora l’arredo originario del Seicento e alcune sculture lignee del secolo successivo provenienti dall’Ospedale di Santa Maria della Pace. Sul soffitto, era un tempo collocata la tela di Giovan Battista Rossi raffigurante Santa Maria del Popolo, oggi custodito nella Quadreria della Farmacia.
 Prima di concludere vogliamo accennare alla chiesa della Monaca di Legno ed alla chiesa della Riforma, sono due piccole strutture storico-religiose inglobate nel complesso degli Incurabili che facevano dapprima parte di due monasteri distinti.     
 La prima prende la propria denominazione dal cognome di una delle prime suore che qui dimorarono; ma la leggenda vuole che una suora, tentando di uscire dal monastero, restasse ferma come una statua di legno. Col decennio francese, la chiesa fu abbandonata, per poi essere concessa alla Confraternita della Visitazione di Maria, che vi collocò un quadro ovale della Vergine (opera di Paolo De Matteis). Nel 1867, i frati si trasferirono nel monastero di Donnaregina, portando con sé l'opera d'arte. La cappella fu quindi ceduta ad un'altra congrega.    
L'altra chiesina, è chiamata della Riforma perché la fondatrice del complesso, Maria Longo, qui raccoglieva le donne di mondo, dette anche della Buona Morte, per "riformarne" la vita e condurle sulla retta strada. Nel decennio francese, queste furono trasferite nella chiesa delle Trentatré e la cappella fu concessa alla Congrega di Santa Maria Regina Paradisi, poi a quella dei Cucchi.     
I due monasteri, espulse le suore, nel 1813 passarono a far parte dell'ospedale.

 Achille della Ragione 

 

fig. 16  - Giuliano Bugiardini -
Deposizione - 1530 circa

 

fig.17 - Giovan Angelo d'Amato -
Madonna di Loreto


fig.18 - Geronimo D'Auria -
Madonna col Bambino - 1592


fig.19  - Giovan Battista Rossi -
Adorazione dei Magi - 1759


fig.20 - Andrea Sarti -
monumento funebre di Ludovico Montalto

fig.21 - Giovanni da Nola -
Sepolcro di Andrea di Capua - 1531


fig.22 - Giovanni da Nola -
Sepolcro di Ferdinando di Capua - 1531

 

1 commento:

  1. Negli ambienti dell' Oratorio dei Bianchi della Giustizia vi sono due tele giovanili di un certo Ribera.
    https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/30/Jusepe_De_Ribera_San_Paolo_Bianchi_della_Giustizia.jpg

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