sabato 21 febbraio 2015

La Tavola Strozzi e la vera storia del sacco edilizio

 Tavola Strozzi

La celebre Tavola Strozzi conservata nel museo di Capodimonte ed ancor più la Veduta di Napoli a volo d’uccello di Didier Barra del museo di San Martino ci mostrano una città densamente urbanizzata già nei secoli scorsi. Un gigantesco marasma architettonico, un prodigioso spettacolo di entropia edificatoria, che ha lasciato stupefatti ingegneri e sociologi,antropologi e forestieri, principalmente questi ultimi che, quando venivano a visitare la nostra città, soprattutto negli anni del Grand Tour, rimanevano meravigliati alla vista di palazzi a più piani, da loro giudicati veri e propri grattacieli.
Questi antichi dipinti sono la testimonianza visiva di un’edificazione selvaggia che comincia in epoca remota e la cui storia è ignota agli stessi studiosi. Condoni, sanatorie, demolizioni, leggi stralcio, ricorsi al Tar, la querelle infinita sull’emergenza abusivismo in Campania e non solo nella nostra regione ha una storia antica, che pochi conoscono, perché per anni si è voluto far coincidere, da parte di una storiografia sinistrorsa il sacco della città con gli anni del regno di Lauro. E per diffondere questo dogma ci si è serviti impunemente di tutti i mass media disponibili, dal cinema alla televisione, dai giornali ai libri ed alla fine addirittura anche della tradizione orale.
Un film cult, come “Le mani sulla città” di Francesco Rosi, girato nel 1963, un plateale falso storico, è stato per decenni adoperato dalle sinistre per propagandare il mito di Lauro speculatore edilizio. La storia è diversa e nasce nel lontano Cinquecento da una Prammatica di don Pedro da Toledo, che concedeva entro le mura di costruire palazzi di molti piani e non si è mai interrotta fino ai nostri giorni.
Vogliamo provare a raccontarla soprattutto ai giovani, rinviando, per chi volesse approfondirla, ai capitoli ad essa dedicati del mio libro Achille Lauro Superstar (consultabile su Internet) dal quale sono ricavate le foto.
Partiamo dall’esame della legislazione urbanistica e da alcune considerazioni. Napoli in questo secolo ha avuto due soli piani regolatori, quello “fascista” del 1939, un vero monumento di armonia tra interessi pubblici e privati, com’è riconosciuto oggi da autorevoli specialisti, di idee non certo nostalgiche, come il preside di architettura Benedetto Gravagnuolo o il professor Massimo Rosi (opinioni raccolte dalla viva voce degli interessati nel corso di riunioni svolte nel salotto culturale di Elvira Brunetti) e quello “democratico” del 1972, entrambi mai operativi per la mancata approvazione dei regolamenti di attuazione.
Bisogna precisare che, quando Lauro venne eletto nel 1952 e volle utilizzare a piene mani il “petrolio dei meridionali”, costituito dall’espansione edilizia, la giunta non possedeva un vero e proprio strumento urbanistico, ma un ben più modesto regolamento edilizio, risalente al 1935, stilato da un organo comunale fascista dotato dei più ampi poteri.

Palazzo Ottieri a piazza Mercato

Muraglia cinese

Napoli da oltre 50 anni vive in assenza di un qualsivoglia strumento progettuale ed i risultati sono stati, e certamente non solo durante gli anni del laurismo, il disordine edilizio più incontrollato, il cui caotico sviluppo ha tenuto conto solo dell’esigenze dei singoli, trascurando, com’è nostra scellerata abitudine, quelli della collettività. Non si è mai smesso di costruire, basta, per convincersene, recarsi nei quartieri periferici (Soccavo, Pianura, Secondigliano)cresciuti a dismisura o nell’immenso hinterland partenopeo,da Quarto flegreo ai comuni della penisola sorrentina, che stringe oramai in una morsa implacabile la città, costretta a sopravvivere con densità di popolazione superiori a tutte le più affollate metropoli asiatiche e con un traffico impazzito, con inestricabili ingorghi a croce uncinata, da fare impallidire a confronto qualunque altro concorrente. Si sono costruite le case le une vicino alle altre, spinti certamente dal profitto, ma anche perché il napoletano,geneticamente abituato al“gomito a gomito”, prova un’intollerabile vertigine quando può allargare lo sguardo su un panorama senza trovare la casa dirimpettaia, senza poter contare su un’economia da vicolo, una socializzazione da cortile, tutto sommato una cultura da casbah. Solo così possiamo cercare di spiegarci l’esistenza di mostri serpentino si come via Jannelli o via San Giacomo dei Capri ed altri agglomerati sorti nel Vomero alto, dove i suoli costavano poco o niente e si poteva tranquillamente speculare anche costruendo a distanza più civile gli edifici.
Nonostante il cambio di padrone, l’atmosfera di Palazzo San Giacomo non cambia, perché Correra, commissario prefettizio inviato dal governo per preparare le elezioni, comincia a tessere una trama sottile con l’entourage di costruttori e speculatori che gravitavano intorno al comandante.
Una vera e propria corte dei miracoli, abituata a feroci contrattazioni sottobanco che cercava di disciplinare attraverso il rubinetto dei fidi e delle fidejussioni bancarie, concesse da istituti di credito, in primis il Banco di Napoli, saldamente in pugno alla Democrazia Cristiana. Correra doveva gestire per pochi mesi l’ordinaria amministrazione e preparare la nuova consultazione elettorale, regnò viceversa incontrastato per quasi tre anni, divenendo il vero padrone della città. La febbre edilizia raggiunse temperature da cavallo e ben si espresse nell’erezione del grattacielo della “cattolica”, in pieno centro cittadino,salutata dall’onorevole democristiano Mario Riccio, il medesimo che aveva attaccato in Parlamento lauro per il suo eccessivo impegno edificatorio,con frasi talmente toccanti da commuovere l’uditorio presente all’inaugurazione. Tra il numeroso pubblico, impettiti in prima fila i colonnelli del nuovo potere, sordi alle civili proteste, che Francesco Compagna manifestava nei suoi articoli sulla rivista “Nord e Sud”.
Mentre si progettava lo sventramento dei Quartieri Spagnoli per creare un nuovo Rione Carità, le nuove edificazioni cominciano a coprire ogni spazio libero. Sono questi i veri anni delle “Mani sulla città”, quando costruttori senza scrupoli, trasferitesi in massa dalla corte laurina al nuovo potere, come Mario Ottieri, scaricano sul territorio urbano volumi edificati mai visti in precedenza; per essere più precisi: oltre diecimila vani in meno di due anni per una massa di duecentomila quintali di cemento e quasi cinquantamila di ferro (dati riguardanti il solo Ottieri).
Le sue imprese distruggono l’armonia del centro più antico, come nella storica piazza Mercato, dove l’orrendo palazzaccio, sorto in pochi mesi,fa tuttora rivoltare nella tomba i tanti napoletani illustri, alle cui gloriose gesta è legata la sacralità dei luoghi. Anche nella città nuova, al Vomero, si pongono saldamente le basi della perpetua invivibilità, erigendo monumenti alla vergogna, come la stupefacente “muraglia cinese” di via Aniello Falcone, che ancora oggi molti si ostinano a collegarne la costruzione agli anni delle amministrazioni laurine. (citiamo ad esempio tra i tanti: la “Storia fotografica di Napoli”,a cura di Attilio Wanderlingh con testi di Ermanno Corsi oppure il“Vomero” di Giancarlo Alisio, nei quali placidamente si addossa a Lauro la realizzazione della “muraglia cinese”).
Il kafkiano episodio di manomissione fisica del piano regolatore avviene negli anni della gestione Correra. L’accaduto è noto, ma vale la pena ricordarlo per perpetuarne la memoria. Le tavole del piano regolatore del 1939, all’epoca vigente, erano conservate in tre esemplari, al Comune, all’Archivio di Stato ed al Ministero dei Lavori Pubblici. I soliti ignoti, non essendo a conoscenza della terza copia, depositata a Roma, agiscono in più tempi impunemente sulle prime due, cambiando a più riprese i colori che identificano la destinazione delle varie aree della città. Il verde delle zone agricole diventa così il giallo delle zone edificatorie. Un caso emblematico è costituito dai terreni dove sorgerà il secondo Policlinico, che, comprati per tre soldi, frutteranno cifre iperboliche agli speculatori.
I mandanti di queste continue manomissioni, ai limiti dell’incredulità, si procacciano preventivamente a prezzo vile i terreni agricoli e poi,dopo il colpo di bacchetta magica,anzi di pastello, scaricano milioni di metri cubi di palazzi sui suoli rigenerati, guadagnando cifre da capogiro. L’intrallazzo andò avanti a lungo, fino a quando, fortuitamente, venne scoperta l’esistenza della terza copia. Fu quindi aperto un procedimento penale, ma naturalmente i colpevoli non furono mai identificati, rimanendo perciò impuniti, anche se tutti sapevano chi fossero. Una vicenda assolutamente irripetibile nella storia urbanistica di qualunque città.
Don Alfredo creò allora un’arma ancora più micidiale, che dava tra l’altro un’etichetta di legalità al comportamento degli speculatori edilizi. Diede infatti luogo ad un numero imprecisato di deroghe al piano regolatore da lui stesso proposto. erano le famigerate e troppo presto dimenticate“varianti Correra” che legalizzeranno ogni tipo di scempio,perpetrato dai costruttori. Il commissario prefettizio si serviva infatti di un escamotage che è stato rivelato dall’urbanista Antonio Guizzi, il quale, per inciso, fu consulente per la sceneggiatura del film “Le mani sulla città” e per anni si è battuto, inascoltato dai mass media, per ripristinare la verità storica su quegli anni difficili per la nostra città. Le licenze venivano concesse in variazione al piano regolatore cittadino e cominciavano tutte in tal guisa: “Visto il voto espresso il 26 luglio1958 dal consiglio superiore dei lavori pubblici, si rilascia…”.
A pagare un perpetuo tributo a questo scellerato comportamento sarà tutta la città, che ancora oggi, dopo oltre quarant’anni, soffre per quei lontani abusi. in particolare ne uscirono devastati i quartieri più moderni:Posillipo, Vomero, Arenella e Fuorigrotta.
Mentre nelle fertili campagne di Soccavo si mette mano ai primi lavori per la nascita del rione Traiano, nel 1960 il prefetto Correra, rinnova una convenzione con la Speme, una società nata per urbanizzare la collina di Posillipo, non senza averla dotata preliminarmente della quarta funicolare. Il sodalizio doveva costruire palazzine popolari per dare una casa ai pescatori e ai contadini e a tale scopo godeva anche di esenzioni fiscali e di sovvenzioni pubbliche, ma, strada facendo, realizzò parchi residenziali con rifiniture di lusso e prezzi di vendita che raggiungevano i dieci milioni a vano, fuori dalla portata dei ceti meno abbienti. La Speme riesce anche ad ottenere il permesso di raddoppiare quasi l’altezza degli edifici e in pochi anni completa sulla collina, cara agli ozi degli antichi romani, oltre quindicimila vani.
Finalmente si riesce a definire la data delle nuove consultazioni elettorali:il 6 novembre, dopo quasi tre anni di commissariamento. Un vero scandalo!
Ma la speculazione continuerà imperterrita fino ai nostri giorni, vedendo criminalità organizzata e politici collusi. non è più storia, ma cronaca ed i risultati sono sotto i nostri occhi.

Achille Lauro tra le sue donne

 Un grattacielo napoletano


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