venerdì 13 settembre 2024

Il castello del Carmine, un antico castello di Napoli

Il castello del Carmine
 nella pianta di Alessandro Baratta (1629)

Il castello del Carmine o Sperone era una fortezza della città di Napoli, nel quartiere Mercato, collocabile tra piazza del Carmine, via Marina e corso Garibaldi.

Di questo che fu un maestoso castello, oggi si conservano solo due torri che versano in stato di forte degrado; e sono ricettacolo di rifiuti e rifugio di senzatetto e tossicodipendenti.

 

Le due torri del castello del Carmine oggi

Edificato nel 1382 da Carlo III di Durazzo (sovrano del periodo angioino), l'edificio fu collocato volutamente all'angolo meridionale della cinta muraria cittadina come baluardo difensivo, in prossimità di un torrione chiamato Sperone, laddove un tempo proliferavano gli acquitrini della Palus neapolitana. Si tratta di una delle realizzazioni militari più recenti rispetto alle analoghe costruzioni della città di Napoli, dovute al ritardo nella conurbazione dell'area orientale ed alla necessità di difenderla dagli attacchi provenienti da oriente, sia via mare che da terra. A differenza, però, degli altri fabbricati (Castel Nuovo, Castel Capuano, etc.) non presentava arredi di lusso né sale regali, essendo esclusivamente adibito ad uso militare.

Il progetto originale si caratterizzava di due torri cilindriche, di un elevato torrione e di mura merlate congiunte da robusti blocchi di piperno. Il castello fu teatro non appena quattro anni dopo la sua costruzione della battaglia che vedeva contrapposti Luigi II d'Angiò e Ladislao di Durazzo. In seguito, durante l'assedio di Alfonso V d'Aragona, che vide morire suo stesso fratello in battaglia, Pietro, sostenne la difesa degli angioini, ma non fu abbastanza per mantenere il regno.

Ulteriori modifiche furono realizzate nel 1484, quando le mura della città furono ampliate e modificate dagli aragonesi: per volere di Ferdinando I d'Aragona, si decise di arricchire le mura partendo dal maggior torrione presente presso il castello del Carmine, prendendo spunto dall'ingegner Francesco Spinelli che fu preposto ai lavori e che appose una lapide in ricordo dell'evento:

«DIVUS ARAGONEA QVI SVURGIT ORIGINE CAESARITALUS ET PACE INGENS FERDINANDUS ET ARMISDUM TIBI PARTHENOPE MIRI NOVA PERGAMA FASTUSET SIMUL AETERNAS MANSURAS CONDERET ARCESHIC LAPIDEM PRIMUM FUNDAVIT NUMINE DEXTROFRANCISCUS SPINELLUS EQUES PORREX ERAT ILLUMTEMPORE QUO IUNII LUX TERNAQUE FULSERAT HORAEX ORTU CHRISTI TRIA LUSTRA DEME TRECENTIS.»

Nel 1512, a causa di un'alluvione, il torrione principale fu riedificato in forma quadrata. Fra il 1647-1648, durante la rivolta di Masaniello, fu la dimora del capopopolo Gennaro Annese.

Nel 1662, a seguito delle mutate condizioni belliche, per decisione del viceré conte di Peñaranda, fu seriamente rimaneggiato dal punto di vista militare, conferendo maggiore risalto agli arredi e alle stanze che avrebbero dovuto ospitare i capitani di ventura e i mercenari più esigenti e separandone nettamente gli ambienti dall'area conventuale dei Carmelitani. Il viceré affidò la progettazione dei lavori a Bonaventura Presti e la sua realizzazione agli ingegneri Donato Antonio Cafaro e Francesco Antonio Picchiatti.

Tra gli eventi più celebri che si sono svolti in questa sede si ricordano: la proclamazione della “Serenissima Real Repubblica Napolitana” che, però, durò solo alcuni giorni; la congiura di Macchia, verificatasi nel 1701, che anticipò l'arrivo degli Austriaci; l'occupazione delle truppe francesi di Championnet nel 1799; lo strenuo tentativo di resistenza del contingente borbonico di stanzia ai Mille di Garibaldi.

Il castello venne demolito nel 1906 per rettificare l'ultimo tratto del corso Garibaldi. Al suo posto sorse la caserma Giacomo Sani in stile neorinascimentale, adibita a panificio militare e che sarà tagliata della parte meridionale alla fine degli anni settanta per il nuovo tracciato di via Marina. Sulla parte ovest del forte, negli anni trenta fu realizzato l'edificio dei Magazzini militari, progettato da Camillo Autore e anch'esso demolito alla fine degli anni settanta. Questo era situato tra il vado del Carmine (ancora nella sua posizione originaria) e la torre Brava (in esso inglobata) e mostrava uno stile tipicamente fascista.

 

La caserma Sani
vista da via Marina

All’estremità orientale di Napoli, in un’area che solo dalla metà del XIV secolo era entrata a far parte del perimetro fortificato della città, nel 1382 Carlo III di Durazzo fece costruire un castello, che per la sua forma fu denominato lo Sperone. L’edificio sorgeva in posizione adiacente al convento del Carmine Maggiore, costruito insieme alla chiesa a partire dal 1283, in seguito alla donazione di un appezzamento di terra da parte di Carlo I d’Angiò ai frati carmelitani, devoti al culto della Madonna bruna. Molto scarse risultano a tutt’oggi le informazioni circa questo primo baluardo difensivo  per la distruzione di gran parte dei documenti d’archivio di epoca medievale durante l’ultima guerra. Dalle trascrizioni ottocentesche, come ad esempio le Cedole della Tesoreria aragonese pubblicate da Nicola Barone, si apprende che nel 1439 – durante l’assedio di Alfonso d’Aragona alla città di Napoli, che era nelle mani di Renato d’Angiò – l’edificio era munito di bombarde e presidiato da una guarnigione di Genovesi, accorsi in quell’occasione per prestare aiuto al re francese.  In realtà, durante il periodo aragonese, più che un vero e proprio edificio, all’estremità sud-orientale della città  venne edificata una torre, denominata Spinella dal nome del suo costruttore (Francesco Spinello, sovrintendente alle nuove mura).  

  


Le torri del castello del Carmine oggi 

L’importanza strategica attribuita alla torre Spinella nell’ambito del sistema difensivo della città aragonese è testimoniata dalle sue dimensioni decisamente maggiori rispetto alle altre torri della cortina meridionale, nonostante quello che oggi appare per la mancanza degli elementi di coronamento: archetti, beccatelli e merloni. Essa infatti presenta un diametro di circa 15 metri ed era l’unica a mostrare un doppio ordine di fuochi, con troniere sia al di sopra della parte scarpata dal lato verso il mare, sia sulla terrazza di copertura.  Nel 1511 l’equipaggiamento militare del torrione venne ancora notevolmente ampliato e modernizzato per volere del viceré Don Raimondo de Cardona conte di Albenga, convinto assertore della sostanziale importanza di una valida difesa costiera, al fine della salvaguardia dell’intera città contro gli sbarchi nemici. Malgrado ciò però, ai tempi di Pedro di Toledo, il “castello” del Carmine rappresentava sempre un punto di debolezza all’interno del sistema delle fortificazioni urbane, sebbene unanimemente ritenuto ancora strategicamente importante per la difesa. Proprio per questo motivo, pochi anni più tardi – subito dopo la morte del viceré – si fece strada la proposta sostenuta da Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, di costruire una nuova fortezza ispirata alle più innovative forme dell’architettura militare, nei pressi dell’antico castello. Nel 1566 il Torrione venne quasi completamente distrutto da un’alluvione e pertanto, negli anni immediatamente successivi, l’edificio fu ricostruito e incluso in una struttura quadrangolare più ampia, per volere del viceré don Parafan de Rivera duca di Alcalà. Questi però respinse l’idea – caldeggiata dal marchese di Trevico – di realizzare una vera e propria cittadella bastionata fuori la porta del Mercato. La proposta fu scartata, ufficialmente per carenza di risorse finanziarie, probabilmente anche per la posizione del baluardo difensivo, che si trovava troppo distante dalla cosiddetta “città degli Spagnoli”, verso la quale maggiormente si concentravano gli interventi del Viceré.  Il progressivo disinteresse dei governanti nei confronti del Castello del Carmine, durante i primi anni del Seicento, sembra essere confermato anche dalle concessioni fatte dal Tribunale delle Fortificazioni in favore dell’adiacente convento, concessioni che inevitabilmente minavano l’efficacia difensiva dell’edificio. Tra il 1607 e il 1611 i frati ottenevano infatti l’autorizzazione a occupare parte delle mura della città e il piano terra del torrione, il che portò ad una sorta di continuità spaziale tra le due strutture – quella religiosa e quella militare – che ovviamente comprometteva la sicurezza difensiva di quest’ultima. Solo in seguito alla rivolta di Masaniello (1647-48) – durante la quale venne dimostrata l’enorme importanza strategica del bastione del Carmine, il conte di Ogñatte decise di ingrandire e fortificare l’antico maniero, edificando un castello «con planta real». In quest’occasione venne occupata una parte del convento dei Carmelitani e uno dei chiostri del monastero venne adibito a piazza d’armi dell’edificio militare. Ovviamente questa nuova sistemazione non piacque ai frati, i quali – costretti a sacrificare parte del loro convento in nome dell’alto ideale della difesa dell’intera città – più volte scrissero a Madrid al Re Cattolico, lamentando un’insostenibile promiscuità all’interno della struttura tra religiosi e militari. Solo dopo più di dieci anni fu trovata una soluzione di compromesso, tesa a conciliare le esigenze dei monaci con le necessità legate alla difesa della città. Nel 1662 infatti il viceré in carica – don Gaspare de Brancamonte, conte di Pegnoranda  – decise di cominciare i lavori necessari a liberare i Carmelitani. Il progetto fu elaborato dagli architetti Francesco Antonio Picchiatti e Donato Antonio Cafaro e consisteva essenzialmente nell’innalzare un alto muro di separazione tra i due edifici e nel realizzare un corridoio difensivo coperto.  

 

La pianta del castello del Carmine 

Il complesso sistema di gallerie che circondando la chiesa e il convento doveva garantire il rapido movimento delle truppe dalla porta del Carmine fino al forte e viceversa, in caso di imminente pericolo di un attacco nemico e un corpo di fabbrica tra la piazza del Carmine e la via Marina per gli alloggi dei soldati. Per la realizzazione della piazza d’armi e per l’acquartieramento dei soldati fu necessario invece abbattere  edifici privati che si trovavano nella piazza del Carmine, alcuni adiacenti alla chiesa e altri verso la Marina.  Le opere realizzate garantirono il funzionamento del forte durante tutto il corso del Settecento, anche se una prima ipotesi di demolire una parte dell’antico castello del Carmine si può rintracciare già nel 1789, nel celebre Saggio dell’abbellimento di cui è capace la città di Napoli di Vincenzo Ruffo.  I suggerimenti di Ruffo trovarono concreta realizzazione alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento, quando vennero a maturazione le condizioni per la stesura di un vero e proprio programma urbanistico elaborato da Ferdinando II. In particolare, nell’area orientale era prevista la realizzazione di «una strada per sopra le mura di Porta Nolana», che seguisse il tracciato della cortina aragonese dal forte del Carmine fino a via Foria. La sede stradale – almeno per alcuni tratti – avrebbe occupato lo spazio ricavato dal riempimento dell’antico fossato e per questo la nuova arteria venne chiamata “via dei Fossi”.  Il progetto della nuova strada  fu affidato a Luigi Giura e venne approvato  nel  settembre 1840.  L’intero tracciato stradale – da via Foria fino al mare – venne completato e aperto solo nel 1860, allorché la nuova arteria prese il nome di “Corso Garibaldi”.   Intanto i lavori relativi al “taglio” del bastione del Carmine procedevano molto lentamente, soprattutto a causa dei problemi legati al passaggio di proprietà del forte dal Ramo di Guerra al Municipio.  Ancora però nel 1877 nessun accordo era stato trovato per la cessione dell’edificio al Comune e anzi in una lettera all’allora Sindaco della città, Duca di Sandonato, il Ministro dell’Interno sottolineava l’impossibilità in quel momento di «cedere al Municipio di Napoli tutto ed anche soltanto parte del forte del Carmine, essendo assolutamente indispensabile, giacché nel semestre corrente i carcerati sono aumentati di 313».

Antica veduta di Napoli 


Fin dai primi anni dell’Ottocento infatti era stata adibita a prigione una parte dell’edificio e in particolare la cortina che prospettava sul porto e che «dunque confina da mezzogiorno con la via Marina, da ponente con la porta della città, da settentrione con la piazza che prende nome dalla adiacente chiesa storica del Carmine, e finalmente da levante confina con altre località del castello e con la prima torre» .   Solo   il primo agosto del 1903  aveva luogo effettivamente la tanto attesa cessione del «Padiglione Carmine» al Comune, mentre il bastione veniva “finalmente” tagliato solo nel 1906.   Quindi,  «per ragioni di rettifilo»  veniva demolita gran parte dell’antico castello e si concludeva così la storia di uno degli edifici più caratteristici della storia urbanistica di Napoli, uno dei luoghi preferiti dai vedutisti del XVIII e del XIX secolo, che da qui riuscivano a inquadrare l’intera città, adagiata tra la collina di San Martino e il mare. 

 

Il castello del Carmine oggi

 


mercoledì 11 settembre 2024

Una Sacra famiglia di Antonio De Bellis


fig.1- Antonio De Bellis: Sacra famigla (168x190)
Milano collezione Brusati

Presso una facoltosa famiglia milanese da alcune generazioni nella camera da letto è esposta una splendida Sacra famiglia (fig.1) di circa due metri, i cui componenti (fig.2-3) sembrano parlare agli osservatori. Per stabilire con certezza l'autore mi sono consultato con vari esperti ed alla fine in accordo col parere di Vittorio Sgarbi e del professor Pietro Di Loreto ho deciso che si tratta di un capolavoro di Antonio De Bellis, un allievo di Massimo Stanzione, ma tra i tanti seguaci uno dei migliori, come giustamente affermo nella mia monografia (fig.5)  "Un minore di lusso". Negli ultimi decenni, grazie alle ricerche archivistiche di De Vito ed alla scoperta di alcuni suoi dipinti in Dalmazia da parte di Mario Alberto Pavone, documentati dopo il 1656, è cambiata la sua biografia e soprattutto la collocazione cronologica del suo ciclo di dipinti per la chiesa napoletana di San Carlo alle Mortelle, che si credevano eseguiti durante la peste del 1656, mentre ora sappiamo che sono precedenti di oltre un decennio. Sul mercato sono comparsi numerosi inediti, alcuni di notevole qualità, per cui necessitava una esaustiva monografia sulla sua attività, compito che mi sono assunto con piacere, partendo da una aggiornata biografia per procedere poi con quanto ho a lui dedicato nel mio libro "Massimo Stanzione e la sua scuola".  (Fig.4)


fig.2 particolare


Fig.3 particolare 

Antonio De Bellis è un altro degli allievi di Massimo Stanzione, uno dei più importanti pittori della scuola napoletana del Seicento, soprannominato il “Guido Reni napoletano”. Bernardo De Dominici, o de’ Dominici, pittore, storico dell’arte e biografo italiano di epoca tardo-barocca, attivo principalmente a Napoli, fa morire il De Bellis nel 1656, mentre a Napoli divampa la peste. Il rinvenimento di alcune sue opere siglate e collocabili con certezza agli anni successivi alla peste, tra il 1657 e il 1658, ci hanno dato la certezza che l’artista aveva continuato a lavorare anche dopo la peste. Figura fino a trenta anni fa quasi sconosciuta alla critica e della quale non possediamo alcun dato biografico certo, essendosi dimostrato mendace il referto dedominiciano della data di morte, il De Bellis si staglia prepotentemente tra i più alti pittori del Seicento non solo napoletano ma italiano. Un altro dei grandi del nuovo naturalismo napoletano, che medita ed opera, inizialmente, tra il Maestro degli annunci e Guarino, per poi virare verso Stanzione ed il Cavallino pittoricista. Intuizione già felicemente avanzata dal Causa nella sua brillante e precorritrice esegesi del 1972 sull’allora ignoto pittore e sulla base dell’unica opera che gli veniva assegnata, il ciclo carolino nella chiesa napoletana di San Carlo alle Mortelle, che si riteneva eseguita in coincidenza con l’infuriare della peste.

Un artista minore nel limbo dei provinciali orbitanti nell’universo stanzionesco? Troppo ricco è il panorama della pittura napoletana di questi anni per poter assurgere ad una posizione di preminenza, ma per De Bellis, alla luce delle recenti scoperte del De Vito e di Spinosa, si deve almeno parlare di un minore di lusso. De Dominici ci narra che egli elaborò il suo stile miscelando «il dolce colorito» del suo maestro Stanzione alla «nuova terribile maniera» del Guercino, la cui Resurrezione di Lazzaro oggi al Louvre, si trovava allora nella collezione Garofalo a Napoli. Essa fu copiata dal De Bellis e collocata nella chiesa della Pietà dei Turchini, dove attualmente non è più presente. In nessuna delle opere che oggi la critica assegna all’artista sono visibili riflessi dello stile del grande bolognese, per cui l’affermazione del biografo settecentesco non ci è di alcuna utilità. Nello stile del De Bellis vi è negli anni «un processo costante di assestamento compositivo e di più studiata definizione dei volumi, un accrescimento in senso pittoricistico delle originarie propensioni naturalistiche con un intenerimento del dato espressivo anche per sottigliezza di resa formale» (Spinosa). Le stringenti affinità che intercorrono nella scelta delle soluzioni compositive e nella tipologia dei personaggi raffigurati, e le notevoli analogie con la Natività firmata Bartolomeo Bassante del Prado, avevano indotto il Prohaska a trasferire a questo autore una grossa parte della produzione del De Bellis.

L’identificazione della sigla «ADB» su di una roccia nel dipinto Lot e le figlie, oggi a Milano presso la Compagnia di Belle Arti, ha fugato ogni dubbio ed ha permesso di assegnare definitivamente al nostro artista tutto quel gruppo di opere che il Prohaska riteneva di Bartolomeo Bassante. Il Causa, nel suo monumentale saggio sulla pittura napoletana del Seicento, annusò nel De Bellis la stoffa del pittore di razza, «sivigliano» a metà strada tra il Velázquez e lo Zurbaran delle Storie di San Bonaventura. Negli ultimi anni della sua attività, il De Bellis, per soddisfare le esigenze di una committenza pubblica legata a soluzioni convenzionali di pittura religiosa di carattere devozionale, dovette variare nuovamente il suo stile.

Achille della Ragione


Fig.4 monografia 

 

Fig.5 monografia 



venerdì 6 settembre 2024

UN DEDALO DI CHIOSTRI

In copertina - Gerolamini -
 Il pozzo cinquecentesco
del chiostro piccolo con il pavimento maiolicato

Prefazione 

La platea sterminata dei miei lettori negli anni  attraverso la lettura dei miei libri e dei miei articoli  ha imparato a conoscermi e sa che amo Napoli più  del denaro e delle donne, per cui dedico tutte le mie  residue energie a far conoscere, la sua bellezza ed i  suoi tesori artistici, soprattutto quelli meno noti,  come è il caso dei chiostri, più di cento, spazi sacri testimoni della vita religiosa della città. Lo scopo di questo libro, ricco di foto a colori, è avvicinare il lettore ad un patrimonio che merita di  essere conosciuto ed apprezzato. 

Chi volesse una copia cartacea del libro per 20 euro contatti l'autore 

In 3^ di copertina
Chiostro S. Maria del Carmine



Indice 

  • Prefazione  
  • Santi Severino e Sossio 
  • I Gerolamini 
  • San Pietro a Majella  
  • Santa Maria La Nova 
  • Un dedalo di chiostri famosi
  • San Gregorio Armeno 
  • Il chiostro di San Lorenzo Maggiore   
  • I chiostri di Monteoliveto  
  • Due chiostri nel complesso degli Incurabili  
  • Chiostro di Suor Orsola 
  • I chiostri di Santa Teresa degli Scalzi  
  • Complesso universitario di San Pietro Martire 
  • Il chiostro di Santa Maria della Sanità  
  • Chiostro della Veterinaria 
  • La struttura della Trinità delle monache 
  • Il Chiostro di Materdei 
  • La chiesa di Donnalbina  
  • La chiesa di San Francesco al Vomero 
  • La chiesa di Sant'Antonio a Posillipo 

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In 4^ di copertina
Chiostro erbe officinali,
albero della canfora


mercoledì 4 settembre 2024

Chiostri piccoli ma belli

Il Chiostro del Suor Orsola è uno dei chiostri monumentali di Napoli, edificato ai piedi del colle di Sant'Elmo al n.10 dell'omonima via.

Fig.1 Particolare dei viali
del chiostro del Suor Orsola 
 

Venne costruito nella prima metà del XVII secolo all'interno del preesistente complesso dell'Immacolata, legato all'opera  di Orsola Benincasa, figura mistica e profetica (1547-1618) a  capo di un ordine di clausura, che aveva desiderato di  appartarsi con le consorelle lontano dalla città.

Il chiostro, un ampio quadrato di 33.000mq, è limitato da tre  corpi di fabbrica disposti ad U e da un muro di cinta in tufo e  racchiude altri cinque edifici e giardini. Nel XVIII secolo venne  creato il pergolato a pilastri. Nel porticato si conservano due  edicole votive decorate con maioliche. 

Fig. 2 Il chiostro grande
di santa Teresa degli Scalzi

I chiostri di Santa Teresa degli Scalzi sono due chiostri  monumentali situati nell'omonima via di Napoli. Furono eretti al principio del Seicento da Giovan Giacomo di  Conforto, su commissione dei frati carmelitani, all'interno di  un palazzo da loro acquistato. 

All'inizio del Ottocento questi due chiostri hanno rischiato di essere  del tutto distrutti per un grandioso progetto di ampliamento del vicino Real Museo Borbonico, proposto dall'architetto  Francesco Maresca. Sebbene il progetto fosse stato approvato  dal Consiglio dei ministri nel 1802, per la strenua opposizione  dei conventuali Teresiani esso non fu mai realizzato e neppure  cominciato. 

Oggi i chiostri sono di proprietà dell'istituto per non vedenti  Paolo Colosimo. Il chiostro piccolo è stato modificato e adibito  a sala interna, la cosiddetta sala delle vendite, mentre il  chiostro grande (fig.2), a pianta rettangolare con splendido  pozzo in marmo e ornato da alcune essenze arboree, non  presenta modifiche sostanziali se non la chiusura mediante  finestre delle arcate. 

Fig.3 chiostro di Sant'Andrea delle dame
 sede della facoltà di medicina 

La chiesa di Sant'Andrea delle dame (fig.3) venne fondata da quattro  nobildonne, figlie del notaio Andrea Palescandolo, le quali,  avendo preso i voti nel 1580, istituirono un convento  dell'ordine agostiniano dedicato a Sant' Andrea, da allora  chiamato "delle Dame". Il monastero è stato soppresso durante l'occupazione francese  di Napoli e nel 1884 la chiesa annessa fu chiusa al culto. I bombardamenti che colpirono Napoli durante la seconda  guerra mondiale non risparmiarono la struttura, ma il  complesso ha ancora mantenuto i suoi tratti originari. Divenne  infine una sede dell'Università degli studi di Napoli e, dopo lo  scorporo della facoltà di medicina, è sede del polo napoletano  della stessa facoltà della Università della Campania Luigi  Vanvitelli. La chiesa è stata restaurata nel 2004.

Il progetto del chiostro  prevedeva la creazione di un  luogo luminoso e spazioso, con alti pilastri di piperno  sormontati da arcate della stessa pietra, che reggevano un  corpo di fabbrica adibito a dormitorio. Sulla facciata esterna  vennero dipinte finte colonne e finte arcate di piperno con le  loro decorazioni, incarico affidato al fiammingo Pietro  Mennes. 

Il Complesso universitario di San Pietro Martire,  comunemente detto Complesso di Porta di Massa, è un  edificio che si apre lungo Via Porta di Massa ad  angolo con corso Umberto I. Dal 1961 è sede del Dipartimento  di Studi umanistici dell'Università degli Studi di Napoli  Federico II, che include i corsi di Laurea di Archeologia e Storia  dell'Arte, Discipline della Musica e dello Spettacolo, Filologia,  Filosofia, Lettere, Lingue e letterature, Psicologia e Storia.

L’edificio fu realizzato nel 1557 dall'architetto Giovanni  Francesco Di Palma durante un piano di ristrutturazione  generale del complesso domenicano. Durante i lavori, la  struttura fu dotata di un interessante sistema idrico che  raccoglieva l'acqua da ogni parte del convento e alimentava le  fontane dell'edificio; ma la fontana centrale era alimentata  dall'Acquedotto della Bolla. 

Agli inizi del XVII secolo, nell'edificio nacque l'accademia di San  Pietro Martire dove si riunivano i nobili; uno dei suoi membri  più illustri fu Onofrio Riccio, medico e filosofo. 

Nel medesimo periodo, la peste del 1656, che non risparmiò i  frati domenicani, rappresentò una pagina nera della storia del  complesso. Ciò nonostante, nel corso della propria esistenza il monastero  organizzò feste per il popolo e anche commedie. Tuttavia, nel 1808 fu soppresso per volontà di Giuseppe  Bonaparte e la struttura divenne officina di tabacchi per lungo  tempo, finché nel 1961 divenne facoltà universitaria  dell'Ateneo federiciano. Il complesso fu restaurato dopo il terremoto del 1980. 

La struttura dell'edificio è quadrangolare: ogni lato presenta  sette arcate, con al centro una fontana del XVI secolo in  marmo. All'interno vi è uno splendido chiostro con al centro una  fontana esagonale (fig.4-5) a me particolarmente caro perchè  vi passeggiavo prima di sostenere gli esami in Lettere moderne, dove tra Trenta e Trenta e lode ho conseguito nel  1985 la mia 4^ laurea.


Fig.4 Fontana esagonale

Fig.5 Giardino all'interno del complesso
universitario di via Porta di Massa 


Il chiostro di Santa Maria della Sanità (fig.6-7) è un chiostro monumentale di Napoli; si erge all'interno  dell'omonimo convento, nel centro storico della città. 

Fig.6 Chiostro con resti di affreschi

In origine il complesso religioso constava di due chiostri,  quello maggiore e quello minore. Il primo, ormai scomparso a  causa delle profonde trasformazioni patite dal luogo di culto,  era formato da una vasta pianta rettangolare. 


Fig.7  chiostro e affreschi di
Santa Maria la sanità 

Il secondo chiostro, invece, nato sul finire del Cinquecento  assieme all'edificazione della parte conventuale e tutt'oggi  esistente, è a pianta ovale e costituisce tra le più interessanti  opere dell'architettura sacra realizzata tra il Cinquecento e il  Seicento; il progetto fu affidato al frate Giuseppe Nuvolo, che  di fatto fu la prima figura napoletana che seppe sfruttare la  pianta ellittica in un luogo claustrale. Sebbene sia stato in  parte distrutto dal ponte della Sanità voluto dal re Gioacchino  Murat, per collegare via Toledo alla Reggia di Capodimonte,  dell'originario chiostro ellittico permangono le arcate e le sezioni di architravi che sovrastato i capitelli di piperno, sulla  quale sono scolpiti angeli alati, e gli affreschi delle volte del  portico, lavorati in graffiti monocromi nel 1624 da Giovan  Battista di Pino e raffiguranti alcuni episodi della vita di illustri  domenicani. Il connubio tra il di Pino e fra Nuvolo si ripeterà  con il medesimo risultato anche per il chiostro di San  Tommaso d'Aquino, andato poi distrutto durante la terribile  alluvione del 1656.

Chiostro della Veterinaria 

Il Chiostro della Veterinaria (fig.8) si trova in Via Federico  Delpino, accanto alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli alle  Croci. 

La struttura, detta così perchè sede della facoltà di  Veterinaria, fu costruito nel 1581 dai Francescani Osservanti e,  poi, ampliata da Cosimo Fanzago nel XVII secolo quando vi si  insediarono i Francescani Riformati. Il chiostro, a pianta  quadrata con sette arcate per lato, presenta dei bellissimi  affreschi sulle volte a crociera raffiguranti episodi biblici,  attribuibili alla scuola di Belisario Corenzio. 

Fig.8 Il chiostro della veterinaria 

La struttura della Trinità delle monache  fu costruita nel quartiere di Montecalvario e confina con la  Certosa di San Martino, il Castel Sant'Elmo e il complesso di  Santa Lucia Vergine al Monte. La fondazione della struttura si  deve alla nobildonna Vittoria de Silvia (XVII secolo). 

Ha assunto vari ruoli, da quelli religiosi a quelli pubblici e, già  prima dell'Unità d'Italia, sotto Giuseppe Bonaparte, assunse la funzione di ospedale militare e lo restò fino al secondo  dopoguerra. 

Il complesso, attualmente, è un insieme eterogeneo  caratterizzato da edifici di valore architettonico e storico; non  sono mancate le costruzioni recenti, che hanno danneggiato,  e, in alcuni casi, alterato l'impianto. L'intera struttura ha una  superficie complessiva di circa 25.000 mq (la superficie utile di  9.000mq, più altri 16.000mq distribuiti in aree verdi e cortili). Nella parte bassa dell'edificio, si trova la chiesa della  Santissima Trinità delle Monache. 

Nel 1808 il complesso venne soppresso ed adibito ad ospedale  militare fino al 1992, quando i militari lasciarono il  monastero. Tuttavia, a causa della scarsa manutenzione, nel  1897 si registrano i crolli della volta e della cupola, elementi  che vennero sostituiti con una modesta copertura a falde. Tra  il XIX e il XX secolo i corpi di fabbrica furono alterati con  l'aggiunta di nuovi volumi. Oggi la chiesa e l'omonimo complesso necessiterebbero di una  vasta opera di riqualificazione. Di notevoli dimensioni (fig.9), ha solo un lato porticato da  ventotto arcate, mentre i tre lati non sono circondati da  alcuna struttura e quindi è possibile godere del maestoso  belvedere. Esso poteva contenere un piccolo lago artificiale,  una fontana e un rigoglioso giardino.

Fig.9 Il chiostro della Trinità
 delle monache,
ex ospedale militare di napoli 


Il Chiostro di Materdei è  un chiostro monumentale di Napoli, (fig.10-11) collocato  nell'omonimo rione, alla Calata delle Fontanelle. 

Di epoca settecentesca, è a pianta quadrata con sei arcate per  lato. Antitetico a quello di Santa Chiara per la sua austerità, il  chiostro è forse uno dei pochi esempi di architettura claustrale  giunto a noi quasi intatto, grazie alla cura delle monache  stanziatesi qui dopo la prima soppressione. 

Da ammirare è la soluzione delle volte a cupola e il pozzale in  piperno. Costruito nelle vicinanze della chiesa, fu affidato ai  Padri Serviti che lo tennero fino alla prima soppressione. Espulsi i padri divenne per breve tempo una caserma e  successivamente fu acquistato dalle religiose. 

Durante il governo borbonico venne acquistato dalle "Figlie  della Carità", che lo destinarono a educandato femminile. Attualmente è sede dell'istituto scolastico che prende il nome  delle monache che vi risiedono. 

Fig.10 Complesso di Santa Maria di Materdei

 Fig.11 Pozzo in piperno posto nel cortile del chiostro a Materdei

La chiesa di Donnalbina è ricca di dipinti di Francesco Solimena ed Andrea Malinconico, che fanno cadere in secondo ordine il chiostro (fig.12) che funziona da sede del piccolo Cottolengo.

Fig.12 Chiostro Chiesa di Donnalbina 

Sant'Antonio a Posillipo  è una chiesa santuario di Napoli; ubicata nel quartiere  omonimo, è raggiungibile sia dalle rampe di Sant'Antonio  (dette anche Tredici discese di Sant'Antonio), sia dalla via  Minucio Felice. Si può raggiungere la chiesa anche con la  funicolare da Mergellina, scendendo alla prima fermata ed è nota per il panorama che si può ammirare dal suo Sagrato. Presenta un chiostro (fig.13) molto interessante che merita di  essere visitato.


Fig.13 Chiesa di Sant’Antonio a Posillipo

La chiesa di San Francesco è un luogo di culto cattolico di grande interesse storico; nel quartiere del Vomero. La chiesa, il convento ed il chiostro (fig.14), vennero costruiti  tra il 1892-94, grazie ad un progetto di un ingegnere italiano,  ma, sotto la direzione di un frate tedesco. 

La facciata della chiesa, in stile neoromanico, è caratterizzata  da due campaniletti a forma di pinnacolo disposti alla  sommità. Più in basso si apre una trifora, mentre nel registro  inferiore è presente il portale d'accesso impreziosito da una  grande lunetta, la cui cornice, sostenuta da due coppie di  colonne, risulta particolarmente aggettante. L'interno è caratterizzato da un'alta navata, voltata a crociera,  con finestroni dalle vetrate istoriate, tre cappelle per lato e  abside. Le sei cappelle laterali presentano degli altari  sormontati da quadri del frate pittore Andrea Beer. Vi si ammirano anche due scarabattoli lignei contengono due  pregevoli sculture lignee ottocentesche di San Francesco  d'Assisi e Sant'Antonio di Padova. Annesso alla chiesa è il  convento di due piani con chiostro a pianta quadrata. Vi si  conserva una ricca collezione di dipinti, statue lignee   devozionali e arredi.

Fig.14 Chiesa di San Francesco d'Assisi al Vomero


domenica 1 settembre 2024

I chiostri più belli di Napoli


Santi Severino e Sossio

Nel complesso dei Santi Severino e Sossio, diventato nel 1835 sede dell'Archivio di Stato di Napoli, ci sono tre chiostri monumentali tra i più importanti della città sia sotto il profilo artistico che storico: il chiostro del Platano; il chiostro grande (o di Marmo); ed il chiostro piccolo (o del Noviziato).


Fig.1 Chiostro del Platano;
al centro è l'albero secolare

Il primo chiostro edificato nel complesso risale al X secolo ed è quello del Platano (fig.1). Il nome deriva da un bosco di platani che sarebbe stato donato a san Benedetto dal padre di san Mauro, Anicio Equizio. Alcuni ampliamenti risalgono già agli inizi dell'XI secolo e modifiche più importanti, ad opera di Giovanni Francesco Mormando, si ebbero nella seconda metà del XV secolo. Contemporaneamente a questa fase, venne poi costruito un secondo chiostro, quello "del Noviziato" (fig.3).

Tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo venne costruito invece il chiostro di Marmo, destinato a giardino, con ingresso sulla via.

Nel corso del XVIII secolo l'area del chiostro del Platano venne in parte occupata da nuove celle e nuovi ambienti di servizio, necessari per la crescita della comunità e nel 1715 pilastri in piperno sostituirono le originali colonnine.

Nel 1803 il piano superiore del chiostro del Noviziato (fig.3) venne modificato per ricavarne due piani di ambienti, in parte destinati ad ospitare un istituto scolastico. Nel 1835 ospitò gli archivi del regno e il monastero venne abbandonato. Nel 1901 il chiostro del Noviziato fu dedicato a Bartolomeo Capasso.

Fig.2 Scorcio delle Storie della vita di san Benedetto, di Antonio Solario (1515 circa)

Il chiostro del Platano è costituito da un quadrato con i portici sui lati a otto arcate, sorrette da pilastri in piperno e un piano superiore a loggia. Al centro è un platano che secondo la leggenda sarebbe stato piantato dallo stesso san Benedetto e le cui foglie possiederebbero virtù terapeutiche. La pianta venne abbattuta nel 1959 quando il fusto misurava 8,45m di circonferenza e poi fatta ricrescere sulla sua stessa radice.

Due delle quattro pareti dei porticati sono decorate con un ciclo di affreschi di scuola umbro-marchigiana di Antonio Solario e aiuti (fig.2) risalenti all'inizio Cinquecento con scene della vita di san Benedetto. Nel corso della prima metà dell'Ottocento le arcate del chiostro furono chiuse con porte di vetro, con lo scopo di proteggere il ciclo del Solario.

Fig.3 Chiostro grande o di marmo

Il Chiostro di Marmo è rinascimentale ed  è limitato sui quattro lati da 24 arcate sorrette da colonnine di marmo di Carrara, con capitelli dorici decorati da motivi floreali, mentre il giardino centrale è suddiviso da vialetti pavimentati in cotto in quattro aiuole. Su esso affacciano diverse sale, tra cui il refettorio e la sala del capitolo, entrambe affrescate da Belisario Corenzio intorno alla prima metà del Seicento, e in origine vi si trovava inoltre la cisterna. Il piano sovrastante è invece caratterizzato da ampie finestre ad arco su pilastri incastrati in una cornice.

In occasione dell'insediamento dell'archivio del regno nell'edificio venne eretta al centro del chiostro una statua raffigurante La Teologia, in marmo, scolpita da Michelangelo Naccherino.

Fig.4 chiostro del Noviziato

Il chiostro del Noviziato si presenta a pianta rettangolare, con portici a trenta arcate su pilastri di piperno; il centro dello spazio è ornato con il busto di Bartolomeo Capasso di Salvatore Cepparulo, sovrintendente dell'archivio dell'ultimo ventennio dell'Ottocento, al quale il chiostro fu dedicato agli inizi del Novecento. Gli ambienti di questo chiostro erano destinati essenzialmente ai novizi, mentre altre sale costituivano invece gli appartamenti del priore. Nel 1803 il piano superiore venne trasformato in un edificio a due piani, destinato in parte all'alloggio dei religiosi e in parte a scuola.


I Girolamini

Fig.5 Prospetto del complesso monumentale dei Girolamini su via Duomo
(ora interessato a lavori di restauro)

A Napoli nel convento dei Girolamini, nel centro storico proprio di fronte al Duomo, ci sono  due chiostri monumentali: il Chiostro piccolo, detto anche "maiolicato" o "della Porteria"; ed il Chiostro grande, detto "degli Aranci".

Dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980, i due chiostri furono abitati da famiglie rimaste senza dimora. Ora però il luogo è stato oggetto di restauro che ha riporto l'intera struttura al suo antico splendore, con particolare accortezza ai giochi geometrici dei giardini.

Fig.6 Il pozzo cinquecentesco
del chiostro piccolo con il pavimento maiolicato

Il chiostro piccolo, detto anche "della Porteria" (Fig.6), è il più antico del complesso ed insiste sull'area occupata un tempo dal rinascimentale palazzo Seripando. Venne costruito verso la fine del XVI secolo su disegno di Giovanni Antonio Dosio, il quale seppe trasformare una porzione dell'edificio nobiliare in un chiostro conventuale. La pavimentazione, di fine Ottocento, è costituita da un'alternanza di mattonelle in cotto a piastrelle in maiolica con fondo bianco e decorazioni blu.

A pianta quadrata, è circondato da colonne in marmo; queste, sorreggono le arcate, quattro per lato, mentre, ai quattro angoli, vi si trovano pilastri di piperno con due semicolonne. Al centro si trova un pozzo del tardo Cinquecento in raffinato marmo bianco ed un tempo alimentato dalle acque della Bolla.

Il chiostro è inoltre dominato da un torrino settecentesco con orologio decorato con un altorilievo raffigurante una Madonna con il Bambino. Dal punto di vista iconografico la scultura rimanda al modello "classico" della Madonna della Vallicella, tipica rappresentazione della Vergine con il Bambino in un cerchio fiammeggiante sorretto da angeli, riprodotto anche in un fregio metallico decorativo del pozzo. 

Fig.7 il chiostro grande

Una grande scala in piperno conduce al secondo chiostro, detto il chiosco Grande o degli Aranci (fig.7). Edificato negli anni Trenta del XVII secolo su progetto di Dionisio Nencioni di Bartolomeo e Dionisio Lazzari, è più grande ed imponente del precedente e custodice la celebre oasi verde del complesso dei Girolamini.

Le aiuole, che ospitano soprattutto alberi di agrumi, sono poste ad un livello inferiore rispetto a quello del portico a cui vi si accede con due scale con corrimano in ferro battuto poste sui lati lunghi del chiostro. I pilastri, otto da un lato e nove da un altro, circondano l'intero ambiente claustrale e sono decorati con lesene culminanti con un motivo con ghirlanda e mascheroni ispirato all'architettura toscana del Cinquecento. Anche le grandi finestre in corrispondenza delle arcate sono di derivazione toscana e illuminano gli ambienti del cosiddetto "corridoio dei monaci"; al di sopra e al di sotto si trovano le piccole finestre delle celle.

Fig.8 L'orologio con la cupola
 della chiesa dei Girolamini vista dal chiostro.

Sul lato che separa i due chiostri è collocato un orologio a sei ore (fig.8) con quadrante in maiolica. Sul lato che dà su vico Girolamini, un'imponente scala a chiocciola conduce agli ambienti superiori e ad un loggiato che affaccia sulla chiesa monumentale. Dal chiostro è possibile raggiungere altre sale del convento dei Girolamini, tra queste la storica biblioteca monumentale e la quadreria.


San Pietro a Majella

Fig.9 Scultura del Beethoven di Francesco Jerace
 nel chiostro grande

Nel  complesso religioso di San Pietro a Majella,  sede del Conservatorio di Napoli dal 1826, ci sono due chiostri monumentali.

Il chiostro maggiore (fig.9) fu realizzato nel 1684 per volontà di padre Celestino, il quale aveva portato a termine l'idea del suo predecessore di ampliare e restaurare il complesso celestino che, insieme alla chiesa, faceva parte di un più vasto intervento edilizio dell'insula, partito a metà del XVII secolo e che trasformò il tutto in stile barocco.

Il complesso esisteva sin dalla fondazione delle strutture religiose, avvenuta nel XIII secolo su probabile progetto Giovanni Pipino da Barletta e su commissione di Carlo II di Napoli. Nel 1407 un grave incendio distrusse tutti i corpi di fabbrica del monastero con gravi danni alla struttura religiosa, ma nello stesso secolo furono avviati i lavori di rifacimento in stile rinascimentale.

Agli inizi del XVII secolo la sede dell'Accademia degli Infuriati aveva sede all'interno delle sale del monastero, dove si riunivano i nobili napoletani. Nei lavori del 1684 vennero realizzati apparati in legno e una balaustra di coronamento sul cornicione in Pietra di Sorrento, realizzata da Mariano Figliolino su disegno dell'architetto Antonio Galluccio.

L'accesso al chiostro grande è servito da una porta posta nel lato corto della chiesa; il portale fu realizzato nel XV secolo dai pipernieri Tagliaferri e Coda ed è racchiuso tra colonne ioniche. Le decorazioni alle finestre del chiostro risalgono al XVIII secolo e sono interamente in stucco; al centro è invece collocata la scultura di Beethoven di Francesco Jerace datata 1895. 

Il chiostro minore (fig.10) invece è pressoché uguale alla sua struttura originaria ed era destinato a uso dei frati. Le decorazioni sulla volta sono in stucco bianco e grigio, mentre le arcate di piperno sono slanciate e denunciano la loro origine medioevale. Al centro è infine collocata una vasca in piperno. 


Fig.10 Chiostro piccolo


Santa Maria la Nova

Santa Maria la Nova è stato un convento, dei Frati Minori, tra dal 1279 al 1811; e fa parte del complesso monumentale di Santa Maria la Nova.

Fig.11 il convento ed chiostro minore

Il convento è stato costruito a partire dal 1279, anno in cui iniziano i lavori di edificazione della chiesa di Santa Maria la Nova, dopo la donazione del terreno da parte di Carlo I d'Angiò, a seguito dell'abbattimento della chiesa di Santa Maria ad Palatium, con annesso monastero dei frati minori, per far posto al Maschio Angioino. Nel corso degli anni il convento ha ospitato la congregazione del Monte de' Musica, una scuola per formare cantori, calligrafi e poeti, hanno lavorato copisti, nel XV secolo, ed è stato sede di studi scientifici e teologici, soprattutto nel XVII secolo, oltre ad ospitare un'infermeria, attiva anche dopo la sua chiusura. Con l'arrivo dei francesi a Napoli, Gioacchino Murat decreta lo scioglimento degli ordini monastici nel regno e il convento viene chiuso nel 1811.

L'ingresso del convento è posto sul lato sinistro della chiesa di Santa Maria la Nova poco dopo il termine della muratura del cappellone di San Giacomo della Marca, in quella che precedentemente era la cappella dedicata a sant'Onofrio: questo verte su due chiostri, quello minore, appartenente al complesso monumentale di Santa Maria la Nova, e quello maggiore, destinato agli uffici della provincia.

Fig.12 L'ambulacro del chiostro minore

Il chiostro minore (fig.11-12), detto anche di San Giacomo, risale alla fine del XVI secolo, opera di Giovanni Cola di Franco, è di forma rettangolare, circondato sui quattro lati da un colonnato con colonne ioniche che poggiano su un muretto interrotto in quattro punti, dove un cancelletto in ferro battuto permette l'accesso alla corte centrale, nella quale è presente un puteale in marmo. L'ambulacro è arricchito con un ciclo di affreschi su san Giacomo della Marca, attribuiti ad Andrea De Lione ed aiuti, realizzato alla fine del XVII secolo; nella stessa zona inoltre sono poste diverse tombe, custodite precedentemente nella chiesa prima dei lavori di ricostruzione alla fine del XVI secolo: lapide di Pascale Diaz Garlon del 1487, monumento sepolcrale Macedonio, monumento sepolcrale di Costantino Castriota Scanderberg del 1500, realizzato da Jacopo della Pila, monumento di Gaspare Siscaro, sepoltura di Porzia Tomacelli, sepolcro di Matteo Ferrillo del 1499, sempre del della Pila e ritenuta essere da alcuni studiosi la tomba di Dracula[6], monumento di Sanzio Vitagliano su cui è applicato un Cristo risorto, attribuito a Jacopo della Pila, e della consorte Ippolata Imperato del 1496, sepoltura Trecastelli e sepoltura Vena.

Sul lato opposto dell'ingresso al chiostro è posta la sagrestia e il refettorio; quest'ultimo, con volta a conchiglia realizzata nel XVI secolo, è stato diviso in due con una parte che verte nella zona del complesso monumentale ed una in quella degli uffici della provincia: nella prima zona è custodito un affresco di Andrea Sabatini o di Bramantino Salita al Calvario, oltre ad un pulpito scolpito con bassorilievi raffiguranti san Michele, san Francesco e crocifisso, mentre nella seconda zona affresco di Francesco da Tolentino con parte centrale ritraente Adorazione dei Magi tra i santi Francesco e Bonaventura, nella parte inferiore Annunciazione e Natività e nella lunetta Incoronazione della Vergine; sulla parete di fondo un tondo in marmo con Madonna e Bambino di ignoto dei primi anni del XVI secolo Tutte le stanze dei piano superiore che vertono sul chiostro minore sono occupate dal museo d'arte religiosa contemporanea, mentre quelle chi si aprono intorno al chiostro, compreso il refettorio, sono utilizzata dall'università telematica Pegaso, per eventi congressuali e cerimonie. 

Fig.13 Il chiostro maggiore

Il chiostro maggiore (fig.13), detto anche di San Francesco, a cui si accede da un'entrata alla sinistra dell'ingresso del convento, si presenta a pianta quadrata e in stile toscano: ha nove arcate su ciascun lato, con colonne in marmo bianco e capitelli in granito. Fino al 1747 possedeva un ciclo di affreschi, Storie della vita di San Francesco dipinto da Luigi Rodriguez, poi cancellato a causa del cattivo stato di conservazione; tra le opere d'arte, custodisce due statue, una nell'androne, Astronomia, di Girolamo D'Auria, e Diritto, di Francesco Cassano; in una sala, che in passato era in comunicazione con la cucina, si conserva un medaglione raffigurante Madonna con Bambino del XVI secolo.

Annessa al convento era anche un'infermeria, esistente già dal 1575 ed attiva fino alla fine del XIX secolo: i locali occupati sono andati in parte perduti, in parte inglobati nelle abitazioni circostanti; da disegni del 1868 ritrovati presso la sede della provincia di Napoli, questa doveva presentarsi con un cortile, su cui si affacciavano diversi locali, a due piani e con una sorta di ponte che la metteva in diretta comunicazione con la chiesa di Santa Maria la Novam Nell'infermeria inoltre c'era una chiesa, in origine dedicata a sant'Erasmo, poi profanata e sconsacrata agli inizi del XVI secolo, per poi essere riconsacrata, questa volta alla Santissima Immacolata, di cui ne ospitava la congrega: questa si presentava a navata unica, con due cappelle su ogni lato; subì inoltre lavori di restauro nel 1773, ospitò la sepoltura di Giovanni Paisiello dal 1816, per poi essere abbattuta alla fine del XIX secolo