lunedì 13 febbraio 2017

Tre capolavori di Giordano di una raccolta napoletana

fig.1 - Giordano - Crocefissione di San Pietro

Cominciamo con una Crocifissione di San Pietro (fig.1) eseguita da Luca Giordano intorno al 1660, un momento in cui palpabile è l’influsso sul giovane, ma già valente artista, della lezione di Mattia Preti nella definizione serrata delle figure in primo piano e nella tavolozza in cui prevalgono colori scuri. Il dipinto è accuratamente descritto nella monumentale monografia sul Giordano di Ferrari e Scavizzi. (vol. I, pag.268–269).
Il pittore aveva già trattato il tema in un Martirio di San Pietro (tav. 38) del museo di Ajaccio che si trovava nella collezione del cardinale Fesch. Esso appartiene alla vena riberiana, più tenebrista del Giordano, caratterizzata da una predominanza di toni scuri, di rossi violacei e bruni terrosi e da una fattura che mantiene visibili le pennellate, in particolare sul corpo del santo, sulla barba e sui capelli resi con piccoli tocchi. Alcune figure riprendono prototipi riberiani, dal boia che sostiene la croce a quello di destra dalle rughe molto marcate, il cromatismo viceversa è più giordanesco, con il rosso delle carni che assume un aspetto vinoso, dominato da toni stridenti e non ha la luminosità del
pennello del valenzano. Il dipinto in via ipotetica può essere datato intorno al 1650.
 
fig.2 - Giordano - Diogene

Passiamo ora ad un Diogene (fig.2) il cui autore va identificato, con ogni certezza, nel caposcuola della pittura napoletana seicentesca Luca Giordano e  va collocato fra le realizzazioni degli anni giovanili, accanto alle celebri serie di Filosofi eseguite quand'era ancora sotto il forte ascendente di Jusepe Ribera, del quale era stato allievo precocissimo e versatile. 
L'opera mostra una somiglianza sorprendente con il Diogene che fu esposto a Napoli alla grande mostra del 2001 (catalogo, 76 – 77).
E' importante rilevare che al paragone dei più tenebristici e affumati tra questi Filosofi e Scienziati, il Diogene si va già aprendo a una stesura apprezzabilmente più morbida e luminosa, che per un verso mostra di essersi accostata al chiaro e intriso pittoricismo naturalistico venuto in voga a Napoli per opera dei maestri attivi negli anni successivi al quinquennio cruciale 1635-1640, per un altro appare già avviato alla luminosa fragranza coloristica, neo-tizianesca e rubensiana, che caratterizzerà i dipinti del Giordano "da camera" e specialmente le grandi pale "dorate" degli anni intorno al 1657.
L'opera, che è in eccellente stato di conservazione, si fa apprezzare per una fluente e vividissima condotta pittorica, che a tratti si rischiara nel roseo inatteso degli incarnati e della mano, in altri si ricarica di una lucidissima verità, com'è sul metallo della lanterna."
fig.3 - Giordano - Trionfo di Galatea

Sempre di Luca Giordano è un Trionfo di Galatea (fig.3) pubblicato da Vincenzo Pacelli prima sul n. 17 della rivista Studi di Storia dell’Arte, scritto ripreso poi in Luca Giordano. Inediti e considerazioni – Ediart 2007
“All’attività laica e segnatamente mitologica di Luca Giordano appartengono due inediti bozzetti, il primo raffigurante un Ratto di Europa, l’altro più tardo il Trionfo di Galatea.
Tra il 1682 e il 1685 va datato questo secondo bozzetto del quale esiste una redazione pendant del Ratto di Deianira a Palazzo Pitti. Il dipinto raffigura il momento in cui Galatea trionfa sul ciclope Polifemo ed è ritratta su una gigantesca conchiglia trasportata da tritoni e delfini mentre putti dalle ali di farfalla la circondano recando evidenti simboli marini, uno un prezioso rametto di corallo, l’altro il tridente di Nettuno. Al centro languidamente appoggiata sulla valva della bianchissima conchiglia, Galatea avvolta nella sua esuberante nudità da lembi di un mantello azzurrissimo e agitato dal vento che ricorda quello più famoso della Galatea dei bolognesi, volge verso destra il suo volto purissimo.
I riflessi del corallo e la spuma di mare prodotta dal nuoto dei delfini, trovano una corrispondenza nella luminosità trasparente dell’incarnato di Galatea e nell’azzurro del panneggio.
Quasi certamente, l’opera raffigura Galatea ormai rasserenata dopo l’uccisione del suo amato Aci che lei è riuscita a far rivivere trasformandolo nel fiume sotterraneo dell’Etna. Così il dipinto segnerebbe non solo il trionfo della dea su Polifemo, ma anche allegoricamente il trionfo dell’amore sulla morte.   
Achille della Ragione

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