sabato 18 febbraio 2017

Da Ribera a Stanzione, il trionfo della pittura

fig.1  - De Simone -Entrata di Gesù a Gerusalemme

Niccolò de Simone, “geniale eclettico” dalle molteplici componenti culturali, fu pittore e frescante, operoso per oltre venti anni sulla scena napoletana e, pur con le difficoltà di classificare il suo pennello multiforme, in grado di recepire le più diverse influenze, può rientrare ragionevolmente nella cerchia falconiana, in parte per il racconto fantasioso del De Dominici, che ce lo descrive partecipante alla Compagnia della morte, ma precipuamente per un evidente rapporto stilistico con la produzione di Aniello Falcone, di Andrea De Lione e di Domenico Gargiulo, da cui prendono ispirazione molte delle sue opere.
Oggi la critica, grazie ai contributi prima della Novelli Radice e poi, più volte, della Creazzo e dopo la pubblicazione della mia monografia sull’artista: “Niccolò de Simone un geniale eclettico” conosce più che bene i caratteri distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, evidentissimi nel dipinto in esame: Un’entrata di Gesù a Gerusalemme (fig.1), folle in preda ad un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci.

  
fig.2 - Francesco Fracanzano -Santo in meditazione

Figlio di Alessandro ed Elisabetta Milazzo, Francesco Fracanzano, fratello minore di Cesare, nacque a Monopoli, in terra di Bari, il 9 luglio 1612. Trasferitosi a Napoli con la famiglia nel 1622, si sposò nel 1632 con la sorella di Salvator Rosa, Giovanna. Sempre a Napoli, secondo la testimonianza del De Dominici, si formò con il fratello nella bottega del Ribera, aderendo a quella svolta nella pittura napoletana dell’epoca alla quale partecipano artisti come Guarino ed il Maestro dell’annuncio ai pastori con il quale è stato spesso confuso. Si pensa possa essere scomparso con la peste del 1656, anche se alcuni documenti di pagamento lo mostrano ancora al lavoro nel mese di maggio.
La rappresentazione di mezze figure di santi e filosofi, investigati con crudo realismo, fu una moda nata nella bottega del Ribera a Napoli ed affermatasi poi anche in provincia grazie ai suoi discepoli, tra i quali, con una rilettura originale, si annovera anche il sommo Luca Giordano, che più volte ritornerà sul tema nel corso della sua lunga carriera, dilatando oltre misura la sua fase riberesca, identificata erroneamente dalla critica con un periodo unicamente giovanile.
Tra i più convinti seguaci del valenzano si distingue Francesco Fracanzano, il quale lavorando con il Ribera ne recepì la stessa predilezione per la corposità della materia pittorica e ripropose spesso i soggetti più richiesti dalla committenza: studi di teste e mezze figure di filosofi e profeti su fondo scuro.
Un omaggio al Ribera più che una copia da un originale perduto va considerato il poderoso Santo in meditazione (fig.2) della collezione privata in esame, che mostra ancora una volta la funzione del Fracanzano nella bottega del grande spagnolo: creare dipinti talmente perfetti da poter agevolmente essere venduti come autografi del maestro e questa consuetudine può spiegare l’assenza di firme sotto le infinite mezze figure di santi e filosofi prodotti da Francesco nel corso di vari anni, che, dopo aver adornato le austere sale di notabili ed eruditi, invadono da tempo il mercato antiquariale e le aste internazionali, cercando ancora una volta di passare col nome del Ribera.

fig.3 - Domenico Coscia - Deposizione

Il Giordanismo costituì per decenni una realtà vera e pulsante nel patrimonio artistico napoletano, perché, all’ombra del grande maestro e della sua affollata bottega, partorì una quantità sterminata di dipinti di diversa qualità, che, per decenni, sono stati confusi o contrabbandati sotto il nome del Giordano e che ora la critica, avendo cominciato a distinguere la non sempre netta linea di demarcazione tra i lavori di Luca e l’opera dei suoi allievi più dotati, riesce a definire con sempre maggiore precisione.
Una piacevole eccezione è costituita dalla scoperta, nel 2007, sul mercato antiquariale napoletano di tre dipinti su vetro, di notevole qualità, chiaramente giordaneschi, da me pubblicati, uno dei quali siglato DC  P (inxit), raffigurante un angelo che porge dell'acqua a Cristo. Ed ecco ricomparire dopo un oblio secolare un allievo del sommo Giordano, Domenico Coscia, citato dal De Dominici, quale specialista nella pittura su cristallo e mai ricomparso all'attenzione degli studiosi, autore della palpitante Deposizione (fig.3) presente nella raccolta in esame.
Un piccolo passo verso una maggiore conoscenza del glorioso secolo d'oro della nostra pittura.

fig.4 -Vitale -Giuditta ed Oloferne

Alla fase luministica del caravaggismo appartiene l’attività giovanile di Filippo Vitale, un artista di rilievo, quasi completamente trascurato dalle fonti antiche e la cui personalità è stata ricostruita solo negli ultimi decenni.
Egli è imparentato con Annella e Pacecco De Rosa di cui è patrigno, con Giovanni Do, Agostino Beltrano ed Aniello Falcone di cui è suocero. Un tipico esempio di quella ragnatela di parentele che lega molti altri pittori napoletani del primo Seicento, i quali abitarono quasi tutti nella zona delimitata tra piazza Carità e lo Spirito Santo, vera Montmartre dell’epoca. Su tanti intrecci ci ha illuminato la ricerca durata un’intera vita di un benemerito erudito, il Prota Giurleo, il quale con certosino lavoro di spulcio di processetti matrimoniali, testamenti, fedi di battesimo, polizze di pagamento ed inventari, ha fornito ai critici una mole enorme di dati e di documenti sulla quale lavorare per ricostruire la personalità di tanti artisti.
Giuditta ed Oloferne (fig.4), intrisa di fiera crudeltà con il particolare del collo mozzato, inondato da un fiotto di naturalistico sangue arterioso, che gronda  a zampilli, vera scena da film dell'orrore, fu tra le tele più ammirate alla grande mostra Ritorno al barocco tenutasi a Napoli nel 2009 (pag.76-77). La tela era stata presentata l'anno precedente alla grande mostra monografica su Filippo Vitale organizzata dalla galleria Napoli Nobilissima di Vincenzo Porcini e commentata magistralmente nel catalogo da Giuseppe Porzio: "Soggetto caravaggesco per eccellenza l'efferatezza con cui esso è interpretato nell'inedita tela (proveniente da una raccolta inglese) non può non serbare il ricordo dell'originale disperso del Merisi, ovvero l'Oliferno con Giuditta che Franz Pourbus vide a Napoli, nello studio di Finson e Vinck, nel 1607 di cui la derivazione più fedele è riconosciuta nel dipinto oggi nella collezione del Banco di Napoli, nel quale si tende a ravvisare la mano del Finson medesimo.

fig.5 - Stanzione - Giuditta ed Oloferne

La Giuditta con la testa di Oloferne (fig.5), nonostante la concorrenza di tanti capolavori presenti nella collezione, a mio parere può vantare la palma del quadro più bello e più importante.
L'autore è un nome prestigioso nel panorama artistico del secolo d'oro: Massimo Stanzione, nella fase meno nota della sua attività, quando subisce l'influsso del naturalismo caravaggesco, che riesce però a mitigare delineando con estrema dolcezza il volto della fanciulla e le sue mani dalle dita affusolate, che reggono con fierezza ed orgoglio il capo reciso di Oloferne.

fig.6 - Ignoto caravaggesco - Sacrificio di Isacco
fig.7 - Ignoto stanzionesco -San Sebastiano

Di difficile attribuzione è Il sacrificio di Isacco (fig.6), che ha messo in imbarazzo anche numerosi ed emeriti esperti che ho consultato al fine di identificarne l'autore.
Il nome più gettonato è stato quello di Filippo Vitale, ma alcune figure, in particolare il volto del fanciullo in alto a sinistra della composizione, richiama a viva voce il pennello di Giuseppe Vermiglio, un caravaggesco lombardo attivo anche a Roma.
Il San Sebastiano (fig.7) trafitto dalle frecce dall'epidermide delicata è attribuibile ad un ignoto stanzionesco, che mi rammenta i modi pittorici di Giuseppe Marullo, un'artista a me caro avendogli dedicato anni fa un'esaustiva monografia.
L'Ecce Homo (fig.8) ci guarda con cipiglio severo e sembra ammonirci a non sbagliare nell'attribuzione.
Assegnato con certezza al Ribera dal compianto prof. Pacelli, riconosciuto esperto dell'opera del valenzano, trovandosi l'originale presso un museo spagnolo, la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, deve viceversa ritenersi replica autografa con partecipazione della bottega nella definizione di alcuni particolari.
Anche la Santa Cecilia al cembalo (fig.9) è replica autografa di un dipinto del Vouet, il cui originale è conservato nel museo del Texas. L'eleganza del panneggio e l'eterea sensualità della mano, che fa desiderare un'amorevole carezza, sono il segno ineludibile di una qualità altissima.

 Achille della Ragione


fig.8 - Ribera - Ecce homo

fig.9 - Vouet - S. Cecilia al cembalo

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