martedì 8 aprile 2014

LA SEZIONE DI ARTE MODERNA DEI MUSEI VATICANI

un mirabile connubio tra impressionismo, cubismo e cristianità.


Bernard Buffet: Il battesimo di Cristo (1961)

Dopo essere rimasti in estasi davanti alle stanze di Raffaello ed il capolavoro della Cappella Sistina, entrare nella sezione di arte religiosa moderna dei musei vaticani provoca sconcerto e stupore per la improvvisa discontinuità nell'espressione artistica. Soltanto dopo il visitatore percepirà che questi dipinti fanno parte di un vasto progetto culturale che ha per oggetto il dialogo della Chiesa con la modernità scaturito dal concilio Vaticano II. Nella sua storia due volte millenaria il rapporto della chiesa con le arti è stato fecondo e fruttuoso. Tutto quello che è possibile vedere attraversando i musei vaticani; Raffaello nelle stanze e Michelangelo alla Sistina, i sarcofagi paleocristiani e il Beato Angelico, Botticelli e Caravaggio; è gloriosa dimostrazione di quella felice alleanza plurisecolare. Per gran parte del suo percorso la storia dell'arte in Occidente è la storia di un equilibrio mirabile fra autonomia e libertà espressiva degli autori e valori spirituali, dottrinali e politici di una religione che si affidata alle figure per dare efficacia al suo messaggio. Mi pare che il bisogno di realtà, di fisicità nella cultura cristiana sia sempre vivissimo. Se io penso che per ricomporre l'universo nella sua totalità e giustizia, Dio ha detto che l'anima riprenderà il suo corpo solo quando, dopo la pausa che intercorre dalle innumerevoli morti particolari al giudizio universale, l'uomo riacquisterà la sua completa realtà, alla sua esatta conferma.
Ma il demonio con il nostro consenso e aiuto, ha capovolto questo bisogno di realtà fisica da lucente in oscuro e perverso: in peccato. Così facendo ci siamo poi messi di fronte alla incompletezza del nostro considerare l'uomo solo materia. La morte ci ha lasciato il suo terribile interrogativo tra le  mani. E per esempio, non conosco scrittore marxista che abbia risolto per sé e per gli altri uomini questo interrogativo, a meno che non l'abbia scavalcato o dimenticato. Ma la sua allora è una pace provvisoria, una tregua. Tutta la Bibbia, tutto il Nuovo e Vecchio testamento, e, quel che più conta, tutta l’Apocalisse parla per realtà: il loro discorso si muove per via di immagini fisiche. Quando Giovanni ha la visione della fine del mondo è esplicito: "... e scese fuoco dal Cielo e li divorò. E il diavolo loro seduttore fu gettato nello stagno di fuoco ... e vidi un gran trono bianco e quelli che c'erano seduti sopra ... ". Ma anche venendo avanti nella storia, è un continuo esempio di realizzazione fisica dello spirito che la cultura cristiana ci offre, ben sapendo come sapeva che la condizione fisica dell'uomo è invalicabile. Quando la Chiesa cercava di darsi uno stile si attestava su quelli più tradizionali e consolatori, ora affidandosi a forme di generico spiritualismo, ora tentando nostalgici revival neoprimitivi, ora (è il fenomeno di cui tutti ai nostri giorni siamo testimoni) aprendosi alle forme di un caotico eclettismo che cerca di tenere insieme astrazione e figura, novità e tradizione, liturgia e funzione, segno e messaggio.
Per decenni i tesori di spiritualità del cristianesimo sembravano dissertare il mondo dell’arte. 
Nei tardi anni Cinquanta, sotto Pio XII cominciarono ad entrare nei Musei Vaticani Rouault, Morandi, Carrà, De Pisis, Rodin, De Chirico.
Partendo da quelle premesse più di trent’anni dopo, nel discorso agli artisti tenuto nella Cappella Sistina il 7 maggio 1964, Paolo VI elabora e propone una dottrina estetica che rimarrà una delle pagine più alte nella storia del cattolicesimo novecentesco. 
Partendo dalla consapevolezza della frattura fra la Chiesa e il mondo delle arti e offrendo le condizioni per un nuovo statuto di amicizia, il papa afferma la libertà dell' artista e il rispetto per la forza innovativa dei linguaggi espressivi; e lo fa con parole di dura, radicale critica nei confronti dell’istituzione da lui rappresentata: «Vi abbiamo imposto come canone primo l’imitazione, a voi che siete e creatori, sempre vivaci [...], di mille idee e di mille novità [...]. Vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’ oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa [...] e siamo andati anche noi) per vicoli traversi, dove l'arte e la bellezza e - ciò che è peggio per noi - il culto di a Dio sono stati mal serviti». E ancora ritorna, papa Paolo VI, sulla "missione" dell’artista chiamato a rendere visibile, nella pienezza della sua libertà espressiva e quindi nell'esercizio della sua responsabilità di creatore, ciò che è trascendente, inesprimibile, "ineffabile". 
Più tardi, nel 1973, nel discorso di inaugurazione del Museo di Arte religiosa moderna, Paolo VI afferma ulteriormente la sua riflessione distinguendo fra arte sacra e arte religiosa. Se la prima ha una precisa connotazione di ruolo e di funzione perché è destinata a qualificare il culto divino, la seconda offre all'artista uno spettro di possibilità creative virtualmente infinito. Tutto ciò che esprime l'umana spiritualità (stupore di fronte al miracolo della natura, culto degli affetti, ascolto e riflessione di fronte ai supremi interrogativi della vita, della morte, dell'assoluto e dell’altrove) può essere argomento di arte religiosa. 
La collezione che quel giorno di giugno del 1973 papa Paolo VI consegnava alla gestione dei Musei Vaticani, dopo averla personalmente e amorosamente costruita insieme al suo segretario monsignor Pasquale Macchi, era destinata a testimoniare la religiosità presente nell’arte moderna e contemporanea, ora affidata a iconografie tradizionali (crocifissioni, natività ecc.) ora sottesa a soggetti secolari quali paesaggi, nature morte, ritratti, composizioni informali. 
Partendo dal riconoscimento della religiosità immanente alle forme figurative della modernità sarebbe stato possibile - era questo il pensiero ultimo di Paolo VI - avviare la ricomposizione del divorzio fra Chiesa e artisti .
E grazie a questa illuminata apertura alla modernità il visitatore dei Musei Vaticani ha la sensazione di vivere nel suo tempo.

Salvador Dalì:  Crocefissione (1954)
Marc Chaghal:  Cristo e il suo pittore (1951)
Vincent Van Gogh:  Pietà (1890)

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