mercoledì 9 novembre 2016

La sindrome di Caravaggio

Giuditta

Non vi è mostra che si rispetti che non esponga almeno un Caravaggio e questa regola caratterizzerà anche l’esposizione di Brera a partire dal 10 novembre, quando il museo milanese esporrà, con l’obbligo di attribuirla al Merisi imposto dai proprietari, la Giuditta che decapita Oloferne, al centro mesi fa di uno scoop internazionale condito dalla favola del suo ritrovamento in una soffitta, che ci rammenta le scene più esilaranti di un film di Totò nelle vesti di un abile falsario di quadri famosi.
Perché escludo categoricamente questo ritrovamento rocambolesco? Semplicemente perché nel 2015 dalla Francia mi giunse via mail la foto del dipinto con la richiesta di un parere sulla paternità dell’opera. Consigliai categoricamente di sottoporre il quadro ad esame radiografico, alla ricerca dei “pentimenti”, che caratterizzano tutte le tele del grande artista, il quale lavorava di getto senza disegni preliminari. Indagine di cui più nulla ho saputo.                                                 
Sull’autografia si sono espressi cautamente i più celebri specialisti del pittore, Mina Gregori in testa e quasi tutti hanno messo in dubbio che sia il prodotto del suo celebre pennello.                         
Che sia una realizzazione di Caravaggio o di un suo imitatore, ad esempio il Finson, di cui si conserva a Napoli una copia del quadro in esame, non è questione da poco. Il valore dell’opera scenderebbe da oltre 100 milioni di euro a meno di centomila.                                                        
Ai posteri l’ardua sentenza

 Passiamo ora ad esaminare una diatriba che riguarda non solo Napoli, ma anche la fiumana di turisti che la visitano: Il Seicento napoletano negato                                                                         
In questi giorni è stata avanzata la proposta di spostare i dipinti del Seicento napoletano conservati a Capodimonte nelle sale di Palazzo Reale, più facilmente raggiungibili da turisti e napoletani.  L’idea ha fatto infuriare il direttore, che ha difeso, e giustamente, l’unità delle raccolte, ma bisognerà decidersi ad assumere nuovi custodi, perché attualmente il percorso è negato alla fruizione dei visitatori, essendo aperto solo per poche ore al giorno e subito, dopo pochi minuti, ne è vietato l’accesso: chi è dentro è dentro, chi è fuori si arrangi.


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