Umberto Scapagnini |
Le vicende della vita lo avevano condotto in giro per il mondo: era divenuto docente a Baltimora e si era occupato di tumori con Bob Gallo, lo scopritore del virus dell’AIDS, per trasferirsi poi a Catania, dove, oltre ad esercitare la professione ed insegnare all’Università, divenne Sindaco e, ad abundantiam, dal 1994 deputato ed eurodeputato.
Da sindaco, la sua allegra amministrazione delle casse comunali aveva provocato un pauroso buco in bilancio che aveva lasciato i dipendenti per mesi senza stipendio.
Tra le bestemmie della Lega, che da sempre avrebbe desiderato che tutte le risorse dello Stato fossero destinate alla Padania, dovette intervenire il premier per appianare l’ammanco.
Bello d’aspetto e sempre vestito come se si trovasse nella piazzetta di Capri, conservava l’ironia e la galanteria dei napoletani doc.
Gli amici lo denominarono “Sciampagnino” per il suo carattere frizzante, ilare e giocoso.
Invidiato per le belle donne cui si accompagnava, un po’ gagà ed un po’ fascinoso, era il Gastone della situazione per la fortuna che a lungo lo ha accompagnato.
Poi l’incontro fatale col “Sovrano di Arcore”, di cui fu per 25 anni il medico di fiducia.
Fu lui nel 2006 a soccorrerlo prontamente sul palco di Montecatini, quando fu colto da un lieve malore.
Li accomunava un motto: “andare a letto è meglio che stare a letto”.
Pochi anni li separavano ma il Berlusca era un’icona della chirurgia plastica mentre Umberto, sempre abbronzatissimo, alternava settimane bianche a Cortina e soggiorni alle Maldive.
Il suo intruglio segreto permetterà al suo “Grande Capo” (vedremo)di arrivare all’età di 120 anni e di avere sei rapporti sessuali alla settimana (secondo i giudici milanesi ne aveva sei ogni sera).
Di converso, Silvio gli diceva che avrebbe dovuto cambiare il suo cognome in “Scopagnini”.
Negli ultimi anni era stato colpito da una grave malattia che aveva affrontato con coraggio, ritrovando il dono della fede.
La sua triste esperienza è racchiusa in un libro commovente:”il Cielo può attendere”, nel quale, con sottile ironia, ci racconta di sette metastasi, quaranta giorni di coma, due estreme unzioni, sei mesi di ospedale, un blocco renale, una polmonite, una demielizzazione con paralisi di tronco e arti etc..
Ma, alla fine, la Vecchia Signora se lo è portato via e solo allora è ritornato nella sua Napoli per l’ultimo saluto agli amici e dagli amici, nella chiesa della Santissima Trinità a via Tasso, e per riposare in pace nella tomba di famiglia.
Di Umberto, come di tanti altri personaggi famosi napoletani, ho una conoscenza diretta ed una successiva corrispondenza protrattasi nel tempo.
Ci incontrammo una ventina di anni fa alle Mauritius dove trascorremmo Natale, Capodanno ed Epifania in un vero e proprio paradiso terrestre costituito da un villaggio Valtur.
Eravamo in compagnia delle nostre famiglie e con noi vi era costantemente, anche lui con moglie e due figli, un trascinatore formidabile verso il divertimento che esordiva sempre con “Viva le belle donne”: Tonino Cirino Pomicino, fratello di Paolo, allora ministro del bilancio.
Abbiamo parlato di famiglie: già allora Umberto, irresistibile tombeur de femme, stava con una seconda moglie e con due figli avuti da un precedente matrimonio; un maschio, irresistibilmente attratto da mia figlia Tiziana, ed una femmina.
La nuova moglie, bellissima e soprattutto elegantissima emula di Imelda Marcos, aveva portato con sé, oltre ad un’infinità di foulardes e bikini, che sfoggiava con impettita classe, ben 50 paia di scarpe con tacchi stratosferici, che adoperava, cambiandone tre al giorno, in qualunque occasione, unica eccezione in spiaggia.
Le nostre discussioni partivano dalla medicina per sfociare inevitabilmente sulle donne e sul sesso.
Avevamo tanto da raccontarci ed, in epoca pre-viagra, lui riteneva di aver scoperto potenti afrodisiaci dalla formula segreta, che in futuro, divenuto il medico del Cavaliere, avrà consigliato all’instancabile “satiro”, a smentire la voce che le sue performances erotiche siano frutto di quotidiane punture in loco (nei corpi cavernosi) di una dose di Caverjet, in grado di tenere alzato costantemente il vessillo per 3 e più ore.
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