mercoledì 27 aprile 2022

Mostra di Andy Worhol a Napoli

 


 
 Andy is back (Andy torna a Napoli) è il titolo più appropriato per la mostra attuale al Pan di Napoli, concernente una figura fondamentale dell'arte contemporanea. Andy Warhol è di casa in questa città per il suo stretto rapporto, grazie a Lucio Amelio, contratto già prima del 1975 in visita a Napoli e potenziato in seguito al terremoto dell'Ottanta. La mostra curata dal milanese Edoardo Falcioni presenta 130 opere dalle numerose serigrafie alla Silver Factory, allo studio 54 e in conclusione la gigantografia "Fate presto" del Mattino. 
 
 

 
 
In che cosa consiste la rivoluzione artistica contenuta nella "Pop Art"? Andy nasce a Pittsburg nel 1928 da genitori slovacchi immigrati e dopo aver compiuto i suoi studi, nel 1950 si trasferisce a New York, la quale nel frattempo aveva distanziato di gran lunga Parigi come culla dell'arte. Qui lavora in qualità di grafico pubblicitario. Dopo la guerra la veloce ripresa economica dei Paesi Occidentali in genere e in particolare gli Stati Uniti si basava sulla produzione industriale. Più si produceva e più si consumava. La pubblicità, invenzione felice dell'infelice Henri Toulouse-Lautrec, attraverso la TV, il cinema e il ritmo incalzante della vita moderna costituiva il miglior mezzo di comunicazione. I nuovi idoli non sono solo le star di Hollywood, ma tutti i beni di consumo dalle lattine di Coca Cola a quelle della zuppa di fagioli. L'arte popolare è quella che si riproduce in serie e quindi spersonalizza, riducendo tutto ad un'immagine, quello che la gente desidera. Andy è un osservatore della realtà quotidiana. La sua arte è vita. 
 
 

 
 
Ha completamente demitizzato l'arte classica intesa come opera assoluta e fruibile da pochi eletti. L'immagine mitica di Marilyn Monroe, prelevata da una foto del film "Niagara" viene prima elaborata, accentuando con colori vivaci e vibranti le varie parti del volto e successivamente, ottenuta in serie, come una catena di montaggio. La serigrafia rende l'arte popolare accessibile a tutti, alla pari di qualsiasi bene di consumo. Se la vita è consumismo, anche l'arte lo è. Si tratta di una critica velata alla superficialità della gente. "Comprare è più americano di pensare ed io sono americano come qualsiasi altro". Naturalmente siamo nei folli anni Sessanta. Il massimo della notorietà di Warhol. Proprio nel 1964 il tedesco Herbert Marcuse pubblica: "L'uomo a una dimensione", in cui riduce l'uomo a semplice consumatore dei beni materiali. E' inoltre l'anno in cui alla Biennale di Venezia si festeggia la nascita della Pop Art. Con Andy era presente Roy Lichtenstein, consacrato "Il re dei fumetti" per la straordinaria diffusione di un nuovo messaggio artistico tratto ugualmente dal consumismo di un prodotto di massa, vedi la sorprendente "Donna che annega". Arcinota è la Silver Factory, che Andy tappezza con la comune carta argentata, un importante luogo d'incontri per artisti, cantanti, manager, curiosi ed emarginati. Tra le donne famose c'erano Yoko Ono e Paloma Picasso. Era la fabbrica delle sue opere, detta anche una fucina di sogni, dal momento che s'interessava di tutto: dalla moda alla musica e al cinema.Andy usava come supporti artistici qualsiasi superficie dalle cover di ogni genere alle T-shirt, perfino una moneta cartacea. L'uso della polaroid era per lui come il disegno preparatorio dei pittori del passato. Spettacolare sempre a Manhattan c'era lo studio 54, ex discoteca, dove primeggiava Bianca Jagger, vestita da Yves Saint Laurent. Entrambi tali luoghi sono rappresentati con qualche oggetto nella mostra. Degna di essere menzionata è l'ultima sua opera. Andy Warhol nel 1987, un anno prima di morire, sfida il genio di tutti i tempi: Leonardo da Vinci con un immagine monumentale in bianco e nero della celebre "Ultima cena". Il padre della Pop Art ripete 60 volte la foto da lui personalizzata su di un pannello di 10 metri x 3. L'inaugurazione avvenne a Milano proprio in un luogo accanto alla chiesa di S.Maria delle Grazie, sede del celebre" Cenacolo". Il sentimento religioso dell'artista era molto forte. Le icone di cui era autore sono un ricordo di quelle di origine bizantina che da piccolo era solito baciare quando entrava in chiesa. Non abbandonò mai le sue radici, figlio com'era di una madre religiosissima. 
 
 ELVIRA BRUNETTI 
 
 



 
 


 
 
 
 

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