Errori madornali e boiate pazzesche a volontà
01 - Il Mattino, giovedì 28 settembre 2017 |
Partiamo da una mia lettera (fig.1) pubblicata su Il Mattino il 5 settembre intitolata: Le tante bufale su Napoli, dall’università alla pizza, di cui riportiamo il testo e la risposta di Pietro Gargano.
Tra tanti primato negativi Napoli ne annovera anche uno positivo; infatti su tutti i libri di storia leggiamo che nel lontano1224, l’imperatore Federico II (fig.2), non avendo di meglio da fare, fondò all'ombra del: Vesuvio la prima università laica del mondo (fig.3). Un record mai messo in discussione e una data precisa: 5 giugno.
Peccato che se proviamo a chiedere ai massimi storici del periodo, da Feniello a Galasso, non tanto il nome dei primi professori, me dove avesse sede la prestigiosa istituzione, nessuno è in grado di rispondere, a dimostrazione evidente che si tratta di una bufala, alla pari di tante altre che circolano sulla nostra storia, dalla presenza di decine di ampolle di santi, che fanno concorrenza al prodigio di San Gennaro, alla nascita della pizza margherita in epoca post unitaria in onore di una regina sabauda, quando la prelibata specialità è descritta accuratamente in famosi libri settecenteschi.
Achille della Ragione
Sull’argomento nulla so di preciso e quindi non intendo confutare le certezze del dottor della Ragione, però aggiungo qualche elemento di ricerca.
Federico fondò lo Studium con una lettera circolare (generalis lictera) inviata da Siracusa, lo dice perfino wikipedia. Napoli fu scelta pure perché accessibile via mare, per il clima dolce e per la posizione baricentrica nel Regno.
Di almeno due intellettuali che affiancarono l’imperatore i nomi si conoscono, quelli di Pier delle Vigne reso immortale da Dante e di Taddeo da Sessa.
A proposito della mia città sono fazioso, ho fede in San Gennaro e mi piace la leggenda della regina Margherita.
Pietro Gargano
02 - Federico II |
03 - La sede dell'università al Rettifilo |
Per un primato messo seriamente in dubbio, Napoli ne può vantare due poco noti: la nascita del futurismo e la scoperta della penicillina.
Pochi sanno, neanche tra gli specialisti, che il battesimo del movimento futurista (fig.4) avvenne a Napoli, dove il Manifesto di Marinetti venne pubblicato sul periodico La Tavola rotonda il 14 febbraio del 1909 dell'editore Bideri, famoso per le sue copie delle canzoni di Piedigrotta, 6 giorni prima della sua comparsa sulle pagine del Figaro di Parigi (fig.5).
E dopo pochi mesi, il 29 aprile 1910, vi fu il battesimo del fuoco al teatro Mercadante davanti ad un pubblico battagliero ed interessato con poltrone e palchi presidiate dalla intellighenzia partenopea, da Croce a Scarpetta, da Scarfoglio a Matilde Serao, oltre a politici, professionisti ed un plotone di giornalisti, i quali variamente commentarono l'evento sui loro giornali.
Tra i paladini del nuovo movimento Marinetti, Palazzeschi, Boccioni e Carrà (fig.6), i quali erano andati nell'antica capitale, inebriati da quella atmosfera avvolgente della Belle Epoque, accoppiata ad un momento esaltante di creatività culturale ed artistica, testimoniata da un numero senza eguali di Teatri e giornali, in stridente contrasto con una fase di severa crisi economica e di degrado morale del ceto dirigente.
Durante la presentazione al Mercadante, come ci racconta Generoso Picone dal palco dove sedeva donna Matilde giunse sulla scena, al posto del fatidico pomodoro, un'arancia che Marinetti, impassibile, prese al volo, sbucciò e mentre continuava a parlare cominciò a mangiarla.
il pubblico da un lato applaudì per il gesto coraggioso, ma continuò a far piovere di tutto su quei personaggi originali che apparivano come degli alieni e nello stesso tempo a manifestazioni di approvazione si alternavano fischi e pernacchie.
Un posto particolare se lo ritagliò Vincenzo Gemito(fig.7) con la sua barba lunga, i capelli scompigliati, il volto spiritato, si affacciava dal suo palco inneggiando ai futuristi, al punto che Marinetti interruppe la sua lettura per andargli a baciare la mano. Lo scultore rimase talmente colpito dal nuovo verbo, che volle invitare Boccioni e Marinetti a casa sua e volle apporre una corposa dedica al loro Manifesto tecnico della pittura futurista: "Ai cari amici un augurio per la loro nobile missione di promozione di un nuovo ideale di arte in Italia, da parte di un amico che ha avuto la fortuna di applaudirli".
Da quella sera memorabile per settimane nei circoli intellettuali e nei cenacoli letterari si parlò solo di Futurismo (fig.8), alternandosi adesioni incondizionate e critiche feroci, sguardi perplessi a sorrisi ammiccanti "I terribili provocatori futuristi, gli strambi apostoli di nuove dottrine, gli avanguardisti irriverenti che volevano uccidere il chiaro di luna, potevano anche trascorrere l'intera giornata a dettare i loro programmi d'intenti belligeranti: poi però la sera non rinunciavano alla passeggiata sul lungomare di Posillipo, continuando a discutere, gustando del buon pesce nei migliori ristoranti.
La prima adesione napoletana al gruppo futurista fu quella di Francesco Cangiullo (fig.9), fino ad allora autore di canzonette e musiche, tra cui "Mastrottore", una cantilena composta nel 1904 molto apprezzata da Igor Straviskiy, che la inserì nel suo Pulcinella e da Tzara Ball che la introdussero nel cabaret Voltaire del 1916, con cui lanciarono il movimento Dadaista.
Nel 1912 Cangiullo dedicò a Marinetti "La cocotta Futurista", un divertisment da leggere nei cafè chantant, che ricevette un premio durante la Piedigrotta. Compose anche una canzone pirotecnica (fig.10) si sole lettere e note ed a Roma fu autore di un gesto eclatante quanto irriverente, portando in processione la testa di Croce scolpita a colpi schiaffi. Il sommo filosofo godeva viceversa dell’ammirazione di Carrà, il quale, si recò più volte a casa di Don Benedetto, discorrendo amabilmente di estetica e di impressionismo, timorosi che i quadri alle pareti, rigorosamente figurativi, stessero ad ascoltare.
Nel 1914, sempre Cangiullo, nel nobile Palazzo Spinelli in via dei Mille interpretò con Marinetti, Balla e Depero un poema che parodiava la Piedigrotta, al frastuono assordante di putipù, scetavajasse e triccaballacche e davanti ad un pubblico partecipe che non si fermò un attimo dallo scompisciarsi dalle risate.
Non contento Cangiullo condusse Marinetti in trasferta a conoscere Capri, l’impareggiabile isola delle sirene ed a ripercorrere gli ectoplasmi di Diefenbach, Cerio, Gorkij, Lenin, Cocteau e tanti altri spiriti eletti che lì avevano soggiornato. Il padre del futurismo rimase talmente colpito dalla bellezza di albe e tramonti da comporre un dimenticato romanzo: “L’isola dei baci”.
I futuristi, impegnati nella loro missione dirompente verso il solenne, il sacro, il sublime e tutto ciò che fino ad allora era stato l’obiettivo dell’arte si accorsero che sabotaggio, presa in giro e parodia irriverente costituivano da tempo la miscela esplosiva del teatro di varietà che da anni furoreggiava a Napoli e sbalorditi approfondirono le più antiche tradizioni popolari, soprattutto la Piedigrotta, che in quegli anni assunse aspetti scoppiettanti con l’utilizzo di artifici pirotecnici (fig.11).
Al carattere trasgressivo le edizioni della festa affiancarono ascensioni aerostatiche e sorprendenti giochi di luce, culminati nell’edizione del 1895 con un corteo di due chilometri che mise assieme orologi e fiori, telefoni ed animali, telescopi e macchine fotografiche, In un turbinio di effetti di luce, che rappresentò uno dei momenti più alti del futurismo.
Passiamo ora a diffondere un altro primato napoletano misconosciuto, facendo tesoro di un articolo del celebre studioso Antonio Piedimonte pubblicato tempo fa sulle pagine del Corriere e che riportiamo parzialmente.
04- Quadro futurista |
05 -Manifesto futurismo sul Figarò |
06 -Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni, Severini |
07 - Vincenzo Gemito, autoritratto |
08 - Futurismo napoletano |
09 - Francesco Cangiullo |
010 - Manifesto declamazione |
011 - Fuochi di Piedigrotta |
Uno scienziato incompreso, un amore sofferto, una morte precoce. Si può forse riassumere così l’incredibile storia dell’uomo che scoprì il potere delle sostanze antibiotiche trent’anni prima di Fleming, la vicenda di un geniale studioso finito nel dimenticatoio della storia. Lui si chiamava Vincenzo Tiberio (fig.12) ed è ancora sconosciuto ai più, persino all’interno della comunità medico-scientifica, e solo da qualche anno a questa parte si sta cercando di restituirgli il posto che è suo.
Arzano 1895: il segreto del pozzo
Un anno speciale per la storia della medicina il 1895: Roentgen scopre i raggi X, Freud apre il vaso di Pandora della psicanalisi e ad Arzano, paese alle porte di Napoli, Vincenzo Tiberio individua il primo antibiotico. Dunque con decenni di anticipo sul famoso Fleming (fig. 13), che per la stessa scoperta (nel suo caso fortuita) vincerà nel 1945 il Nobel insieme ai due studiosi di Oxford: Ernst B. Chain e Howard W. Florey (fig.14). Gli scienziati anglosassoni, va ricordato, furono aiutati anche dalle autorità militari Usa, che dichiareranno la penicillina “Top secret”. Molti anni prima, invece, il neo laureato Tiberio aveva fatto tutto da solo, partendo dall’osservazione delle muffe nel pozzo della casa dove viveva ad Arzano (in via Zanardelli), dove si era trasferito dalla natìa Sepino (Campobasso) per studiare all’università di Napoli. Il giovane infatti fece caso a una strana coincidenza: tutte le volte che si ripuliva il pozzo dalle muffe l’intero nucleo familiare era colpito da enteriti e altri disturbi; intuì dunque che doveva esserci un nesso tra la scomparsa dei miceti e l’improvvisa esplosione dei batteri patogeni, così cominciò a studiare le muffe in laboratorio e, soprattutto, a sperimentare.
E’ il 1895 quando su una prestigiosa rivista scientifica italiana, gli “Annali d’Igiene Sperimentale”, diretta dal professor Angelo Celli ed edita a Roma dalla casa editrice Loescher, il giovane medico pubblica - con la supervisione dell’Istituto d’Igiene della Regia Università di Napoli, diretto da Vincenzo De Giaxa - gli esiti dei suoi studi con il titolo “Sugli estratti di alcune muffe”. E nell’articolo si legge tra l’altro: “… nella sostanza cellulare delle muffe esaminate sono contenuti dei principi solubili nell’acqua forniti di potere battericida… per queste proprietà le muffe sarebbero di forte ostacolo alla vita e alla propagazione dei batteri patogeni”. Insomma, il ricercatore mostrando di essere anche un ottimo microbiologo ha isolato e classificato i ceppi delle muffe, quindi ha studiato la loro azione battericida e chemiotattica sperimentandone gli effetti benefici, sia in vitro sia in vivo, su cavie e conigli, sino ad arrivare alla preparazione di una sostanza con effetti antibiotici. Quella che sarebbe stata chiamata penicillina e avrebbe cambiato la storia dell’umanità. L’articolo però finì tra la polvere delle biblioteche e fino agli anni Quaranta del Novecento si continuerà a morire per banali infezioni.
012 - Vincenzo Tiberio |
Il cuore infranto e l’arruolamento in marina
La geniale intuizione del Tiberio non fu compresa né dalla comunità medico-scientifica italiana né da quella internazionale. Tutto si arenò, anche perché il medico abbandonò i suoi studi per arruolarsi nella Marina militare. Una scelta radicale che si può spiegare solo in parte con il patriottismo (oggi pressoché sconosciuto ma all’epoca molto diffuso), c’era infatti anche un altro buon motivo per imbarcarsi: il giovane voleva mettere la massima distanza possibile tra se e l’oggetto del suo impossibile amore: la cugina Amalia Teresa Graniero (che aveva conosciuto ad Arzano). In realtà la signorina contraccambiava pienamente ma il problema, apparentemente insormontabile, era proprio la consanguineità (per le temute conseguenze sulla prole). Come è facile intuire, però, la soluzione scelta - la forzata lontananza - produrrà esattamente l’effetto contrario: il legame divenne ancora più forte e la sofferenza più grande.
La prestigiosa carriera militare
La carriera militare porterà il brillante medico campano in giro per il mondo e lo vedrà sempre in prima linea: per placare la conflittualità greco-turca, per fronteggiare epidemie (come a Zanzibar) o per portare soccorso agli abitanti di Messina dopo il micidiale terremoto del 1908. Tiberio, poi, imporrà le vaccinazioni nella Regia Marina salvando tanti marinai. Nel 1912 gli affidano il laboratorio biochimico dell’ospedale militare alla Maddalena. Infine, il rientro a Napoli, con l’incarico di dirigere il Gabinetto di Igiene e Batteriologia dell’ospedale della Marina (a Piedigrotta). Il 45enne scienziato può riprendere i suoi studi sugli antibiotici, ma gli Dei hanno deciso altrimenti: il 7 gennaio del 1915 è stroncato da un infarto. Dietro una foto dell’adorata moglie lascerà scritto: «Lunga e difficile è la via della ricerca, ma alla base di tutto c’è sempre l’amore».
La lenta riscoperta
Bisognerà aspettare il 1946 perché qualcuno si accorga della grandezza dello studioso. Sulla rivista “Minerva Medica” il farmacologo Pietro Benigno scrive che “le sue ricerche sono condotte con tale accuratezza di indagine da meritare un posto fondamentale nella ricerca dei fattori antibiotici”. Un anno dopo l’ufficiale medico Giuseppe Pezzi ritrova l’articolo del 1895 e rende pubblica la vicenda. Non sarà sufficiente a restituire a Tiberio il suo posto nella storia ma almeno la sua figura comincerà lentamente a uscire dall’oblio. Nel corso del tempo gli sarà intitolata qualche strada (a Fuorigrotta), a Sepino una lapida ricorda (fig.15) che fu «Primo nella scienza, postumo nella fama», l’università del Molise darà il suo nome a un Dipartimento, e nel 2006 i nipoti Vincenzo Martines e Anna Zuppa Covelli pubblicheranno il libro “La vita e i diari di Vincenzo Tiberio”; infine il 9 febbraio del 2011 sul “Corriere della Sera” esce un articolo intitolato “La penicillina? Una scoperta italiana”. Un po’ di luce in fondo al pozzo (fig.16).
013 - Alexander Fleming |
014 - Penicillina |
015 -Lapide cimitero |
016 - La grande scoperta |
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