L’affascinante libro di Cinzia Dal Maso: ci accompagna in un intrigante passeggiata tra lupanari, orge e festini licenziosi, che caratterizzano la vita della città licenziosa per antonomasia: Pompei.
Siamo debitori ai Borbone, che organizzarono una minuziosa campagna archeologica, per la riscoperta di una città rimasta per quasi due millenni sotto la lava del Vesuvio.
Manovali ed operai, scavando, ritrovavano in continuazione falli di ogni foggia e dimensioni, di bronzo, di pietra, di ceramica, una vera e propria invasione, mentre statuette e mosaici mostravano Mercurio, Dioniso e naturalmente Priapo con attributi virili smisurati (figg. 1-4).
I campanelli delle case: i Tintinnabula erano costituiti da una serie di falli assemblati con armonia. (fig. 5)
I costumi e la cultura erano agli antipodi della nostra, sessuofobica e repressiva, dovuta a due millenni di mortificazione del corpo, di divieti religiosi e di senso del peccato, che ci fanno sbirciare con occhio malizioso le gioiose manifestazioni di esuberanza erotica che la lava ci ha restituito intatti.
Percorrendo le vecchie case sembra che dal nulla compaiano satiri eccitati e ninfe focose, checche patrizie e giovani marchettari.
Il mito di Pompei attrasse a migliaia i viaggiatori del Grand Tour, fino a quando Francesco I di Borbone non decise di rinchiudere gli oggetti più licenziosi, dando luogo al mitico Gabinetto Segreto, deludendo le torme di archeologi e raffinati voyeurs, che dovevano contentarsi di apprezzare nella casa dei Vetti o nei pochi lupanari rimasti aperti la conturbante visione di prorompenti amplessi plurimi (figg. 6-10).
A Pompei vi erano più bordelli che panifici, tenendo conto che oltre alle esigenze degli indigeni, la città era meta di villeggiatura di ricchi patrizi dediti alla crapula e di marinai che scendevano a terra dopo mesi di astinenza forzata.
Si possono ancora leggere significative scritte: "Ballerine e danzatrici cantano tra gemiti e sussurri e si abbassano a terra agitando le natiche".
Un libro divertente ed istruttivo da leggere sotto l’ombrellone e per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di leggere "Curiosità nel Gabinetto Erotico" un mio piccolo saggio sul tema riportato di seguito.
Curiosità nel Gabinetto Erotico
Se vogliamo conoscere le antiche abitudini sessuali dei nostri antenati dobbiamo visitare il Gabinetto segreto del museo archeologico, dove sono raccolti una serie di stupefacenti reperti recuperati in gran parte durante gli scavi effettuati a Pompei a partire dal Settecento.
Questi originali materiali a sfondo erotico sono stati sottratti per lungo tempo alla fruizione del pubblico perché considerati osceni e perciò divenuti famosi ed oggetto di morbosa curiosità.
La denominazione di Gabinetto Segreto ha una ragione storica: infatti con il termine "segreto" si indicarono spesso nel Rinascimento i luoghi, le stanze, i giardini in cui venivano raccolte le speciali collezioni che si cominciavano a formare con opere d'arte, antiche e moderne, ispirate al tema dell'amore e della sensualità.
Quando cominciò la campagna di scavi, la scoperta a Pompei ed Ercolano di tanti oggetti legati alla sessualità destò sorpresa nei contemporanei, che immaginavano le due città come dei tranquilli centri abitati, in tutto dissimili dalle lussuriose Capri e Baia, invece si scoprì che nelle cittadine vesuviane esistevano più postriboli che forni e che la richiesta, e di conseguenza l’offerta di sesso, era superiore alle esigenze alimentari: più sesso che pane, fornicare altro che mangiare.
A queste imbarazzanti testimonianze del nostro passato fu riservata una sala del museo Ercolanese di Portici, che poteva essere visitata a richiesta e con permesso speciale. Dopo il trasferimento del Museo da Portici al Palazzo degli Studi, la collezione venne esposta per alcuni anni senza particolari restrizioni, ma solo fino al 1819, quando il futuro re Francesco I, in occasione di una visita con la figlia Carlotta, che rimase particolarmente colpita dalla vista di tante immagini conturbanti, suggerì al direttore di formare una raccolta separata, che fu detta prima Gabinetto degli oggetti osceni, definiti poi riservati, visitabile solo da “persone di matura età e di conosciuta morale”, e comprendente all’epoca centodue “infami monumenti della gentilesca licenza”.
Negli anni successivi, a chi chiedeva una maggiore apertura del Gabinetto ed una più larga generosità nel rilasciare permessi di visita, si opponevano gli immancabili bacchettoni, che ritenevano opportuno di dovere proibire anche la visione delle Veneri e delle altre figure, nude e seminude, delle quali era ricco il museo di Napoli. Prevalse infine lo spirito reazionario, cosicché la raccolta fu trasferita al primo piano e ne fu murata la porta, perché “se ne disperdesse per quanto era possibile la memoria”.
Da allora il Gabinetto Segreto ha vissuto sorti alterne, a seconda degli avvenimenti politici. Negli anni che seguirono all’ingresso di Garibaldi a Napoli la collezione venne aperta a tutti tranne che ai fanciulli e, con particolare permesso, anche alle donne ed al clero; fu inoltre pubblicato il catalogo della Collezione Pornografica ad opera dell’allora direttore del museo, Giuseppe Fiorelli. Ma essa fu nuovamente chiusa dal governo sabaudo che prescrisse il permesso per tutti fino al 1931. Durante il ventennio fascista, la collezione fu completamente chiusa al pubblico e si dovrà aspettare il 1967 per poterla visitare di nuovo, sebbene per soli pochi anni. Richiuso per motivi di restauro e per la necessità di reperire una adeguata sistemazione, il Gabinetto segreto è stato riaperto in via definitiva nell’aprile del 2000, organizzato secondo la selezione a suo tempo fatta dal Fiorelli, con il solo aggiornamento dell’esposizione dei materiali vesuviani divisi secondo criteri cronologici, iconografici e funzionali: i materiali di età preromana, la pittura mitologica, la decorazione dei giardini, la pittura dei lupanari, l’erotismo nel banchetto, gli amuleti.
Tra gli esemplari più famosi è il gruppo marmoreo con Pan e capra, rinvenuto nella Villa dei Papiri di Ercolano nel 1752, a lampante dimostrazione che i nostri avi contadini e pastori non disdegnavano in caso di bisogno di soddisfare gli improcrastinabili impulsi sessuali anche con gli animali.
Le pitture sono distinte tra quelle mitologiche, più raffinate, che derivano dalla tradizione della pittura erotica greca ed ellenistica, e quelle realistiche, più popolari, destinate a decorare i lupanari e le stanze particolari delle case private. Abbiamo vasi estremamente espliciti nell’indicarci le posizioni preferite dai nostri progenitori e mosaici nei quali sono riprodotte volenterose cortigiane pronte a soddisfare le esigenze più varie della propria clientela, alla quale proponevano le specialità nelle quali erano più versate ed i relativi prezzi delle prestazioni all’ingresso del postribolo.
Numerosi sono pure i bronzetti, le lucerne e gli amuleti personali, portati da uomini e donne come protettivi contro il malocchio e le malattie. Nel mondo romano infatti il membro virile era considerato simbolo di fecondità ed augurio di prosperità ed allo stesso tempo teneva lontana la cattiva sorte; anche il rumore era ritenuto un potente talismano. I due rimedi apotropaici, combinati insieme, ebbero grande popolarità nei centri vesuviani, come testimoniano i numerosi campanelli di bronzo sorretti da falli o figure itifalliche, utilizzati nelle botteghe come auspicio di buoni affari, e forse anche nelle case come divertenti arredi da banchetto per chiamare le portate: di particolare rilievo in questa serie è una splendida figurina di gladiatore da Ercolano. Nasce in questi anni l’abitudine tutta napoletana di grattarsi le parti intime in presenza di una persona ritenuta malefica o di portare in tasca un corno, rimedio infallibile contro il malocchio.
In quanto potente amuleto il fallo era inoltre posto, in tutte le città antiche, sulle mura, sui marciapiedi e lungo le strade; a Pompei era spesso usato nei cantonali delle case a scopo protettivo, ma anche sulle facciate delle botteghe, spesso dei panifici, dov’era scolpito sugli architravi dei forni. Celebre è il rilievo in travertino con fallo e scritta “hic habitat felicitas” dal panificio nell’insula della Casa di Pansa.
Una sezione del “Gabinetto Segreto” è dedicata agli oggetti erotici della collezione Borgia, tra i quali si distinguono: uno specchio di bronzo etrusco con scena erotica incisa ed una serie di piccoli nani in pietra con falli enormi tra le mani, di provenienza egizia e di età tolemaica. La sala LXII, infine, ospita alcuni reperti non pertinenti propriamente alla collezione del “Gabinetto Segreto”, tra i quali il gruppo di Pan e Dafni, il sarcofago in marmo con scena di culto dionisiaco, entrambi della collezione Farnese, il mosaico in bianco e nero con Pigmei da Roma, mentre una piccola sezione illustra la storia della collezione nei documenti d’archivio.
Numerosi sono gli esemplari raffiguranti ermafroditi e maschi superdotati al punto di necessitare di opportuni sostegni per membri elefantiaci, approcci tra satiri e ninfe e come ciliegina finale una raccolta di apparati maschili completi di testicoli.
La sezione è più conosciuta all’estero che in Italia ed infatti visitandola ci si accorge dei numerosi stranieri che affollano le sale, mentre tanti napoletani non sanno nemmeno dell’esistenza di questo scrigno prezioso di priapei, quanto mai esplicativo dell’origine delle nostre abitudini sessuali.
Pan e la capra |
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