|
tav.1 - Chiesa S. Agostino degli Scalzi (facciata)
|
La chiesa di S. Agostino degli Scalzi (fig.1), conosciuta anche come S. Maria della verità è l’edificio sacro più celebre del quartiere.
A partire da Carlo Celano si è ritenuta (erroneamente) la sua origine legata ad una piccola edicola, detta di Santa Maria dell'Oliva per via della presenza di oliveti in zona, la quale fu sostituita dalla nuova chiesa. Tuttavia testimonianze storiche c'indicano che i due edifici sacri erano posti in due luoghi diversi: Cesare d'Engenio Caracciolo riporta che questa edicola sorgeva dove oggi si erge la chiesa di San Potito.
La storia di Santa Maria della Verità comincia quando il consigliere Scipione De Curtis, accusato di gravi reati contro il Re di Spagna, si recò a pregare presso l'edicola di Santa Maria dell'Oliva affinché fosse scagionato dalle accuse promettendo in caso di grazia che avrebbe fatto erigere un edificio sacro.
Una volta ottenuta la grazia, si adoperò affinché fosse costruito un monastero, il cui luogo fu scelto di fronte al palazzo di Carlo Carafa, duca di Nocera, dove sarà ospitato il convento dei Carmelitani Scalzi. De Curtis però volle che la sacra effigie della Madonna dell'Oliva fosse collocata nel nuovo tempio, da dedicare alla Madonna della Verità in onore della verità affermatasi nella questione giudiziaria.
La chiesa fu eretta da Giovan Giacomo di Conforto (già operativo nella vicina chiesa di Santa Teresa) a partire dal 1603 e consacrata nel 1653 dall'arcivescovo di Sorrento Antonio Del Pezzo. Fu restaurata dopo i terremoti del 1688 e del 1694 da Arcangelo Guglielmelli, nella seconda metà del Settecento da Giuseppe Astarita (che nel 1751 disegnò il pavimento) e nel 1850 da Costantino Pimpinelli (autore dei fregi neoclassici dei pennacchi della cupola e delle decorazioni delle volte dei transetti). Durante il decennio francese, per costruire il nuovo corso Napoleone che avrebbe direttamente collegato il Museo Nazionale e la reggia di Capodimonte, la chiesa si trovò ad una quota superiore rispetto alla nuova strada a causa degli enormi lavori di sbancamento della ripida collina dove il monastero sorgeva. In seguito saranno costruiti anche degli edifici che nasconderanno la chiesa alla nuova strada.
La storia della chiesa si lega a quella di Giacomo Leopardi nel giorno della sua morte, il 14 giugno 1837: è in questo monastero che Antonio Ranieri - a suo dire - cercò un religioso che portasse al moribondo Leopardi i conforti sacramentali.
Giunse presso il suo capezzale frate Felice da Cerignola, ma arrivò nel momento in cui il poeta spirò. Tuttavia le vicende attorno alla morte di Leopardi sono avvolte nel mistero, a partire dalle notorie contraddizioni di Ranieri nel suo racconto.
Pochi anni dopo l'Unità d'Italia l'intero complesso venne sottratto all'ordine degli Agostiniani e incamerato nei beni dello Stato. Il convento fu destinato a scopi civili e solo in seguito una parte verrà loro data in uso.
Gli interni della chiesa vennero immortalati durante le riprese del film L'oro di Napoli, di Vittorio De Sica del 1954 e di un altro film culto, anche se si tratta di un clamoroso falso storico: Le mani sulla città di Francesco Rosi del 1963. Tali immagini sono testimonianza dello splendore della chiesa prima che, come per molte altre chiese di Napoli, anche questa pagasse il caro prezzo del terremoto dell'Irpinia del 1980 che sconvolse l'intera regione: la struttura fu gravemente danneggiata. È stata abbandonata per diversi anni, durante i quali è stata depredata di marmi, paliotti, arredi sacri. Il più efferato di questi furti avvenne nel 1985, quando fu rubato il paliotto dell'altare del transetto destro. La chiesa fu puntellata di tubi Innocenti e così fu immortalata nel documentario Vietato!, trasmesso nel 1994 su Rai Uno.
Tuttavia per sopperire alla chiusura della chiesa le celebrazioni liturgiche continuarono ad essere officiate nella sacrestia, un tempo adorna di possenti armadi in noce (oggi esposti nella Certosa di San Martino), dove fu allestita una chiesa temporanea, smantellata con la riapertura dell'edificio.
Intorno al 2000 sono iniziati i lavori di restauro architettonico della struttura e di recupero artistico delle opere in deposito. Sebbene ci siano ancora parti dell'edificio da restaurare, la chiesa dal 2008 è aperta al culto e visitabile. Già nel 2002, in occasione del Maggio dei Monumenti, fu aperta in via eccezionale.
La navata unica (fig.2-3) è ricoperta di magnifici stucchi del tardo XVII secolo, opera di Lorenzo Vaccaro il cui intervento è accertato a partire dal 1684, copre tutte le strutture portanti dell'edificio; la cupola è anch'essa opera del Vaccaro, realizzata insieme ai suoi allievi Bartolomeo Granucci e Nicola Mazzone. Sempre del Vaccaro sono le quattro statue in stucco che in coppia (fig.4) sono poste a fianco degli altari del transetto e che per stile sono simili alle statue da lui realizzate nello stesso periodo per il cappellone del Crocifisso nella basilica di San Giovanni Maggiore.
Bartolomeo Ghetti ha realizzato la balaustra e l'altare maggiore (fig.5) su disegno di Arcangelo Guglielmelli. Nella zona absidale, ridecorata sempre sui disegni del Guglielmelli, sono collocate sul fronte la Natività e l'Adorazione dei Magi (fig.6-7) di Andrea d'Aste, databili 1710, mentre ai lati sono collocate la Visitazione e l'Annunciazione (fig.8–9) di Giacomo del Po. Tra le due tele del d'Aste si nota il possente organo con sulla sommità l'icona di Santa Maria dell'Oliva.
Nelle cappelle (tre per lato) ci sono tele di Massimo Stanzion (fig.10), Domenico Antonio Vaccaro, Francesco Di Maria (fig.11), Agostino Beltrano (fig.12), Giuseppe Marullo (fig.13), Giacinto Diano ma alcune opere sono state trasferite al Museo di Capodimonte, come due tele ciascuno di Luca Giordano e Mattia Preti. Nella cappella Schipani (la prima a destra) sono presenti anche opere scultoree in marmo raffiguranti tre importanti esponenti della famiglia, opera di Giulio Mencaglia, mentre i marmi nonché l'altare sono di Bernardino Landini.
Di notevole interesse è il pulpito in noce (fig.14) che mostra alla sua base una possente aquila intagliata da Giovanni Conte, detto Il Nano.
Nella sacrestia, oggi adoperata come salone (le sue funzioni sono state trasferite nell'antisacrestia), sono presenti nelle lunette affreschi dei primi del XVII secolo rappresentanti Storie dell'ordine agostiniano. Nel piccolo cortile rettangolare, accessibile dall'antisacrestia, è presente un pozzale lavorato in piperno.
Nell'ipogeo sottostante la chiesa venivano sepolti i corpi dei religiosi.
Oggi solo una piccola parte del vasto monastero (di proprietà del Fondo Edifici di Culto) è in uso ai Padri Agostiniani, infatti in esso sono ospitati uffici comunali e due scuole (che hanno anche in gestione il chiostro adibito a cortile sportivo). È presente un campanile, anch'esso non più usufruibile dal monastero. In una stanza al di sotto di esso visse la sua fanciullezza Giuseppe Marotta.
Per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento è opportuno consultare un mio articolo più esaustivo digitando il link
http://achillecontedilavian.blogspot.com/2012/03/riapre-la-chiesa-di-s-agostino-degli.html
|
tav. 2 - Decorazioni in stucco della navata
|
|
tav.3 - Interno con decorazioni in stucco
|
|
tav.4 - Transetto sinistro
|
|
tav.5 - Altare maggiore
|
|
tav.6 - Andrea D'Aste - Visitazione
|
|
tav.7 - Andrea D'Aste - Adorazione dei magi
|
|
tav.8 - Giacomo del Po - Annunciazione
|
|
tav.9 - Giacomo del Po - Visitazione
|
|
tav. 10 - Francesco Di Maria - Pietá
|
|
tav.11 - Massimo Stanzione -Madonna col Bambino
|
|
tav.12 - Agostino Beltrano - Madonna col Bambino e San Nicola da Tolentino
|
|
tav.13 - Giuseppe Marullo - S. Anna e la Vergine |
|
|
|
|
|
tav. 14 - Pulpito in noce
|
Passiamo ora a descrivere il complesso di Santa Maria di Materdei (fig.15), una struttura conventuale ubicata nell'omonima piazzetta, fondata da padre Agostino de Juliis dell'Ordine dei Serviti (o servi di Maria) in tarda epoca rinascimentale, nel 1585; nel corso dei secoli venne ampiamente modificata. Tra i più importanti rimaneggiamenti, vi è quello barocco ad opera di Tagliacozzi Canale (1728) oggi dell'intervento si possono notare due piccoli portalini.
Nel XIX secolo, con la prima soppressione degli ordini, il complesso fu ulteriormente rimaneggiato per poter adempiere al suo nuovo ruolo di caserma. Dopo questa destinazione la chiesa venne riaperta al culto nel 1852 e proprio in questo periodo subì un ulteriore rimaneggiamento, assumendo l'aspetto odierno; tuttavia, verso la metà del XIX secolo il convento perse la sua originaria funzione al fine di ospitare una caserma ed un ricovero per le vedove dei soldati. Oggi è sede di un istituto scolastico.
I dipinti e altri valori andarono quasi tutti perduti (superstite è una Madonna del Rosario su tavola, risalente alla seconda metà del XVI secolo ed attualmente collocata sopra l'altare destro del transetto) e rimase abbandonata fino al 1848 quando fu finalmente riconsacrata per volere dei reali Borboni. Nel 1852 divenne parrocchia per concessione del cardinale Riario Sforza con il titolo di S. Maria dell'Amore e fu affidata al canonico Raffaele Serena che vi fece eseguire da Gennaro Maldarelli due tele, raffiguranti l'Annunciazione e Il Battesimo di Cristo.
La chiesa è costituita da una sola navata (fig.16) con volta a botte lunettata; le strutture sono decorate in stile neoclassico, stesso discorso per la facciata. Vi è un pseudotransetto sormontato da una cupola a scodella; ai lati ci sono le cappelle.
Particolarmente interessante vi è poi la chiesa di San Raffaele che si erge in via Amato di Montecassino (già vico San Raffaele). La struttura venne fondata nel 1759 a cura dei canonici Marco Celentano e Michele Lignola, su disegno di Giuseppe Astarita, insieme al conservatorio femminile (il Ritiro delle Pentite, accogliente le ex-prostitute) con cui divide il fronte stradale.
La facciata (fig.17) incurvata, che risulta arretrata rispetto alla strada, si articola in due ordini sovrapposti raccordati da volute e coronati da un timpano triangolare. L'interno (fig.18) è a croce greca e risulta allungato longitudinalmente dall'atrio d'ingresso e dalla zona absidale. La cupola (fig.19) è impostata direttamente sul vano centrale senza tamburo e termina in un ampio lanternino che fornisce un'eccellente illuminazione interna.
Testimonianze dell'apparato decorativo settecentesco, sono la tribuna e l'altare maggiore in marmi policromi, sovrastati da un baldacchino ligneo dorato – di artista ignoto – a forma di corona e sorretto da angeli in stucco.
Il pittore Angelo Mozzillo realizzò nelle basse volte della chiesa due affreschi rappresentanti il primo Tobia e Sara nella casa di Tobi, il di lui padre, mentre il secondo l'arcangelo Raffaele nel significato di medicina Dei del suo nome (in ebraico Rafa'el significa appunto "Dio ha guarito"). L'accesso al ritiro è su salita Porteria San Raffaele (dove porteria indica appunto l'ingresso della struttura), mentre alla sua destra è il portale della piccola cappella della Congregazione di San Raffaele, costruita nell'anno 1800 all'interno di alcuni locali del ritiro dopo che nel 1798 la congregazione fu fondata.
La statua dell'Arcangelo Raffaele (fig.20) è rappresentata con un pesce in mano, secondo un'iconografia che ha le sue origini nel racconto biblico del Libro di Tobia.
Un'antica tradizione, che fondeva reminiscenze pagane dei riti campani della fecondità con la ritualità popolare cristiana, voleva che le donne sterili e le fanciulle da marito si recassero a baciare il pesce del santo. Il mare visto come donatore di fecondità e il pesce come antichissimo simbolo cristiano rendevano accettabile il rito, nonostante vi fosse riconoscibile un riferimento sessuale nell'uso eufemistico, comune in napoletano, di pesce per "pene". La frase va' a vasà 'o pesce 'e San Rafèle ("va' a baciare il pesce di San Raffaele") era rivolta fino a qualche decennio fa alle belle ragazze, tra il serio e il faceto, in senso augurale.
La chiesa della Concezione a Materdei (fig.21) è sita in salita San Raffaele.
La struttura fu fondata nel 1743 dal padre Francesco Pepe, insieme ad un conservatorio per fanciulle. Subì modifiche nel 1789, assumendo l'attuale configurazione, e venne terminata poco tempo dopo. La direzione del conservatorio, in seguito, fu affidata a un magistrato ordinario reale. La direzione laica giovò molto al ritiro, che fu ritenuto uno dei migliori del suo tempo anche per interessamento del canonico Domenico Ventapane, poi vescovo di Teano, sepolto a lato dell'altare maggiore della chiesa.
La chiesa è ad aula unica con tre piccole cappelle laterali, articolate da paraste dalle quali si dipartono i costoloni che scandiscono la volta. Di notevole importanza è l'altare maggiore, di scuola vaccariana. È ipotizzabile un intervento di Domenico Antonio Vaccaro perché era particolarmente stimato dal gesuita che gli aveva commissionato la statua argentea dell'Immacolata per la chiesa del Gesù Nuovo. Presso la cappella destra c'è la sepoltura ipogea della famiglia Serra dei Duchi di Cassano.
L'elemento di spicco del conservatorio, prima di essere spostato, era la Guglia dell'Immacolata attribuita a Giuseppe Astarita. Prima di essere collocata nel luogo attuale, lo slargo di via Ugo Falcando (poco lontano dal luogo di culto), la guglia era posta nel cortile del conservatorio.
La chiesa versa in condizioni di degrado e non è visitabile.
La chiesa Cor Jesu (fig.22), detta anche chiesa del Santissimo Cuore di Gesù oppure chiesa di Gesù nell'orto degli ulivi è sita in via Amato di Montecassino, nella zona di San Raffaele, a Materdei, tra la chiesa della Concezione a Materdei e la chiesa di San Raffaele.
Nel 1872 padre Ludovico da Casoria acquisì l'educandato femminile della Concezione e vi instaurò la nuova sede dell'Opera degli Accattoncelli e delle Accattoncelle, da lui fondata dieci anni prima, nel 1862. La chiesa fu conclusa nel 1886.
La chiesa attuale costituisce una ricostruzione novecentesca sul sito della chiesa della Santissima Concezione al vico San Raffaele. L'annesso fabbricato per abitazioni civile rappresenta anch'esso una rielaborazione del vecchio educandato principessa Clotilde, ricostruito dai fratelli Arrigo (architetto) e Vincenzo (ingegnere) Marsiglia verso la fine degli anni Settanta del XX secolo.
La facciata della chiesa si articola in due ordini: al centro dell'ordine inferiore è presente il portale, sovrastato da un arco neogotico, al cui interno è presente un bassorilievo raffigurante Gesù che patisce nell'orto del Getsemani; l'ordine superiore presenta due coppie di piccole paraste doriche con rosone centrale.
Sempre sulla facciata una lapide in marmo riporta la seguente iscrizione datata 1885:
(LA) «COR JESU IN AGONIA FACTUM MISERERE MORIENTIUM
MDCCCLXXXV»
(IT) «Cuore agonizzante di Gesù, abbi pietà dei moribondi»
L'interno è custode di alcune tele di incerta attribuzione.
|
tav.15 - Chiesa S. Maria di Materdei (facciata)
|
|
tav.16 - Chiesa S. Maria di Materdei (interno)
|
|
tav.17 - Chiesa di San Raffaele
|
|
tav.18 -Panoramica interna della chiesa di San Raffaele
|
|
tav. 19 - Cupola
|
|
tav.20 -Statua di San Raffaele
|
|
tav. 21 -Chiesa Concezione a Materdei
|
|
tav. 22 - Chiesa Cor Jesu
|
|
tav. 23 - chiesa dell'Addolorata
|
La chiesa dell’Addolorata (fig.23) è ubicata in Salita San Raffaele.
Le origini della chiesa risalgono al 1906 circa, quando le suore dell'Addolorata acquistarono il vasto fabbricato comprensivo di giardino.
Le religiose, di fianco al palazzo, ben presto fecero erigere anche la chiesa in stile eclettico. La struttura di culto presenta una facciata (fig.24) di stampo tardo neoclassico-neorinascimentale: essa è tripartita e, in particolare nella zona centrale, che risulta più sporgente nelle ali laterali, vi è un vasto finestrone che illumina la navata e le cappelle laterali. La chiesa è priva di cupola.
Il monastero di Sant'Eframo Nuovo (fig.25) si erge in via Matteo Renato Imbriani, più nota come via Salute).
La denominazione San'Eframo "Nuovo" nasce dal fatto che bisognava distinguerlo da quello situato presso la chiesa di Sant'Eframo Vecchio, più antico, che si erge sul colle della Veterinaria, e che a sua volta ha assunto la denominazione "Vecchio".
Il monastero nacque nel 1572, su di un fondo, appartenente a Gianfrancesco Di Sangro principe di Sansevero, acquistato dai frati cappuccini grazie alle generose elargizioni della nobildonna napoletana Fabrizia Carafa. L'edificio venne ultimato nei primi decenni dei Seicento. Il progetto originario prevedeva la costruzione di un complesso vastissimo, in quanto voleva essere la sede principale dell'ordine dei frati minori cappuccini nel napoletano; tuttavia l'idea originaria di creare qui la sede dell'ordine venne abbandonata e il progetto ridimensionato. Nonostante ciò il complesso è ugualmente imponente: 160 stanze per i frati, due chiostri, vari cortili, l'orto e le varie aree comune.
Annesso al monastero vi è l'omonima chiesa (fig.26), fondata nel 1661. Inoltre i religiosi, giacché l'edificio sorge in una zona salubre, all'interno del comparto urbano una volta chiamato della Salute, utilizzarono la struttura come convalescenziario ed adibirono alcuni ambienti della struttura ad uso farmacia.
Il complesso fu gravemente rovinato da un incendio nel 1840 che distrusse quasi ogni cosa; all'interno della chiesa furono perduti gli affreschi della volta, opera di Filippo Andreoli, mentre si salvarono una statua di San Francesco d'Assisi, opera di Giuseppe Sammartino, e una statua della Madonna proveniente dal Brasile (giunta a Napoli nel 1828). Grazie all'interesse dello stesso re, Ferdinando II delle Due Sicilie, la chiesa fu restaurata in pochissimo tempo e riaperta già nel 1841. Oggi lo stile architettonico della struttura rispecchia il gusto neoclassico dell'epoca.
A seguito della politica anticlericale del Regno d'Italia, attuata tramite la liquidazione dell'asse ecclesiastico, nel 1866 il monastero fu soppresso e adattato a caserma.
Dal 1925 il complesso fu destinato a manicomio criminale e poi, dal 1975, ad Ospedale psichiatrico giudiziario; per questi motivi la struttura ha subito forti modifiche per adattarla al meglio alla sua nuova funzione. Dal 2008 l'OPG "Sant'Eframo" non ha più sede nel complesso monastico, ma è stato trasferito presso il Centro Penitenziario di Napoli-Secondigliano
Caduta in stato di abbandono, dal 2015 la struttura è occupata dal Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli, che ha dato vita a "Ex OPG occupato Je so' pazzo” con lo scopo di far riappropriare la città, e in special modo il quartiere, di un proprio bene.
Il Ritiro delle Teresiane di Torre del Greco è una struttura, ubicata in salita San Raffaele 3, nel rione Materdei, al confine tra i quartieri Stella e Avvocata.
La chiesa (fig.27) e il monastero furono fondati dalle suore teresiane a seguito dell'eruzione vulcanica del Vesuvio del 1794 che distrusse il loro originario convento, sito non molto distante dalla capitale, a Torre del Greco, e fondato nel 1685.
Grazie all'aiuto del barone di Castro in Puglia Gennaro Rossi e poi di suo nipote Giovan Battista, che gli successe nel 1804, le suore ottennero una nuova sede dove potersi trasferire.
Nel monastero fu istituito un educandato per giovani ragazze, il cui regolamento fu approvato da Ferdinando II di Borbone nel 1854.
Il monastero, lasciato in disuso, nel settembre 2009 è stato occupato abusivamente dal centro sociale di ispirazione fascista CasaPound, ma dopo una mobilitazione da parte dei centri sociali nel mese di dicembre è stato sgomberato.
Dopo un sopralluogo effettuato dal Comune nel novembre 2011, dal 2012 è la sede di un gruppo di associazioni di quartiere che gestisce la struttura, da loro ribattezzata Giardino Liberato di Materdei.
La chiesa, dedicata all'Immacolata Concezione, è a navata unica con volta a botte e cupola. L'interno, ricco di decorazioni neoclassiche, non presenta opere d'arte
La sua facciata è caratterizzata da un portale sormontato da una trabeazione, ai lati vi si trovano due coppie di paraste ioniche, posizionate sui basamenti in piperno che concludono con un timpano triangolare. Sul portale è presente una lapide che riporta l'intervento dei baroni Rossi nell'edificazione del ritiro.
Il gran portale del conservatorio è in piperno. L'intera struttura versa in condizioni non ottimali di conservazione e necessita di un restauro generale, a partire dall'esterno che non presenta più intonaco.
La chiesa di S. Maria della Salute (fig.28) si trova al limite del quartiere Arenella. Essa fu edificata per essere impiegata come cappella di un convento di monaci (si pensa di Frati cappuccini), complesso abbandonato intorno al 1534 per cause riconducibili al crollo di un solaio. Successivamente, tra il 1565 e il 1586, il convento venne ripristinato e messo a nuovo per mano dei Complateari della Concezione dei Cappuccini. Inizialmente affidato a delle monache, nel 1608 il convento passò di mano ai Frati agostiniani e, poi, tra il 1611 e il 1621, ai Frati francescani, grazie a un manoscritto.
In seguito, passò ai padri della chiesa di San Giovanni a Carbonara, ma anche quest'ordine religioso durò poco tempo.
Il 25 gennaio 1621 i fratelli Ruperto e Marco Pepe, Benigno e Ruperto Ruperti, assieme ad alcuni Complateari presentarono all'arcivescovo di Napoli una supplica affinché il complesso fosse affidato ai Francescani Minori Riformati della Croce di Palazzo; questi, durante gli anni successivi, modificarono ed ampliarono la struttura, da cui furono espulsi il 17 aprile 1865.
Il convento divenne un complesso abitativo, dapprima comprato dal commendatore Raffaele Raya e in seguito donato all'Ospedale dei Pellegrini a Napoli. Oggi questo complesso è stato racchiuso in una villa che prende nome dal commendatore, ovvero Villa Raya.
Dal 1865 ad oggi la chiesa è impiegata principalmente per funzioni religiose.
La chiesa, formata da una sola navata (fig.29), ha subito vari rimaneggiamenti che le hanno sottratto parte della bellezza originaria. Essa era arricchita da varie statue raffiguranti i santi Francesco, Nicola, Girolamo, Agata e Lucia, gli evangelisti, l'eterno Padre e vari puttini.
Sull'altare maggiore erano posizionate le statue della Vergine della Salute e dei santi Pietro e Paolo. Dietro all'altare era locata tra le varie sepolture una pregevole tomba dei Navarretto marchesi della Terza. Nell'abside era presente anche una tela raffigurante la Vergine con San Francesco, Sant'Antonio e due sante, forse della scuola di Massimo Stanzione. Ulteriori affreschi erano conservati nelle cappelle.
Oggi, nonostante tutto, sono ancora da ammirare le due cappelle di sinistra con affreschi e stucchi seicenteschi, ciò che resta delle opere di Tommaso Malvito, il monumento funebre (fig.30) del marchese Navarrete nella prima cappella a destra e i tre dipinti dietro all'altare maggiore (la centrale "Vergine della Salute" (fig.31), ritenuta di Girolamo Imparato, e le laterali "Annunciazione" e "Natività" (fig.32–33) capolavori di Onofrio Palumbo).
Nel marzo 2010 sono cominciati i lavori di restauro per consolidare le murature, dopo che alcune crepe si erano aperte sul soffitto.
Da qualche anno a questa parte, alcuni fedeli della chiesa hanno fondato l'associazione "Pietre Vive alla Salute", un'associazione che si concentra sull'informazione della parrocchia. Grazie a questa associazione, nel 2009 sono riusciti a scrivere e pubblicare un libro che s'intitola "La Salute-dall'Infrascata alle Due Porte".
Questo libro si concentra sulla zona di Materdei, e descrive l'omonimo quartiere partendo dall'Infrascata (Via Salvator Rosa) e arriva al quartiere delle Due Porte.
|
tav. 24 - Portale
|
|
tav. 25 -Monastero di S. Eframo Nuovo
|
|
tav.26 - Chiesa Sant' Eframo Nuovo
|
|
tav. 27 - Ritiro delle Teresiane
|
|
tav. 28 - Chiesa di S. Maria della Salute
|
|
tav. 30 - Monumento funebre
|
|
tav. 31 -Girolamo Imparato -Madonna col Bambino e Santi
|
|
tav. 32 - Onofrio Palumbo-Annunciazione
|
|
tav. 33 - Onofrio Palumbo-Adorazione dei pastori
|