A giorni andrà in onda su una importante televisione italiana una lunga intervista ad Achille della Ragione da parte di Donatella Alonzi. Ne anticipiamo per i visitatori del blog le domande principali.
Partiamo da un argomento che sembra scontato, ma purtroppo è sempre attuale in Italia: il sovraffollamento delle carceri. Quale la situazione e che cosa si dovrebbe fare per evitare questa che ormai è una piaga per il nostro Paese?
Il sovraffollamento delle carceri italiane è fenomeno di vecchia data, che si è acuito negli ultimi anni, per cui l’Europa ci ha posto un ultimatum che scade a maggio di adeguare il numero dei detenuti alle strutture disponibili. Dovrebbero uscire almeno 20mila reclusi e l’evento potrebbe essere possibile solo con un provvedimento di indulto più volte caldeggiato dal Presidente della Repubblica Napolitano. Così come ho scritto in una lettera pubblicata il 31 dicembre dal "Corriere della Sera: «Il recente decreto svuota carceri non sortirà alcun risultato fino a quando non si supererà lo scoglio del Tribunale di Sorveglianza, divenuto un anomalo giudizio di quarto grado, che fa sì che la maggioranza dei detenuti, nonostante ne abbia diritto, arriva a fine pena, senza aver usufruito di un permesso, dell’affidamento in prova, della semilibertà, dei domiciliari. Ne esce incattivito e pronto di nuovo a delinquere».
Una domanda banale, il problema del sovraffollamento esiste, senza dubbio. Se non in carcere, in che modo deve pagare una persona che ha compiuto un reato?
Una persona che ha commesso un reato deve pagare, non vi è dubbio. A parte i domiciliari, però, esistono molte altre possibilità: ad esempio essere utilizzati in lavori socialmente utili. Bisogna poi considerare che il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio, per cui secondo la nostra Costituzione innocente, ed il 30% di questi alla fine del procedimento risulta innocente del tutto, dopo che lui e la sua famiglia sono stati distrutti per sempre.
Prima di Rebibbia, lei ha vissuto l’esperienza di detenuto nel carcere di Poggioreale. «Anche per stare in piedi nella cella, bisognava fare i turni»: questa una sua dichiarazione. Che ricordi ha di quel periodo?
Nel 2008, prima che il Tribunale del Riesame mi liberasse, ho vissuto per quindici giorni l’esperienza allucinante di Poggioreale, che ho raccontato in un libro “Le tribolazioni di un innocente”, consultabile in rete sul mio sito www.achilledellaragione.it, che in questi anni ha avuto quasi 100mila lettori. In alcuni padiglioni, in celle di pochi metri quadrati, sono costretti a sopravvivere 16 detenuti, stipati come bestie, con letti a castello a quattro piani. Parlare di trattamento inumano è pleonastico.
Quali differenze fra il carcere romano e quello della sua città, Napoli?
Nel carcere di Rebibbia, dove mi trovo, ed in particolare nel reparto 68, di cui sono ospite, si può godere di un trattamento più decente. Le celle hanno quattro ospiti e vi sono una serie di attività: scuola, università, corsi di giornalismo, di scrittura creativa, teatro, che permettono di far passare la giornata. Le celle sono aperte per molte ore al giorno e si può passeggiare per i corridoi o giocare a ping pong in una sala apposita. Diverso è il discorso per gli altri reparti, dove le celle hanno 6 ospiti e sono chiuse a volte 22 ore su 24. Anche la mia permanenza a Rebibbia mi ha ispirato un libro: “Favole da Rebibbia”, anche questo consultabile su Internet, sul mio sito.
Come si trascorre una giornata dietro le sbarre?
Dietro le sbarre, quando si è chiusi 22 ore su 24, come capita al 90% dei reclusi italiani, la giornata è interminabile, con la televisione sempre accesa.
Oltre al sovraffollamento quali sono i problemi che un detenuto si trova ad affrontare dietro le spesse mura delle prigioni italiane?
Il detenuto ha mille problemi. Il 70% che non ha fondi deve sopravvivere con un vitto che sarebbe disdegnato da un maiale, non può fumare, non può spedire una lettera a casa, non può lavarsi col sapone, gli manca anche la carta igienica.
Parliamo di lei, della sua condanna. Si è sempre proclamato innocente e ha definito la pena che gli è stata inflitta «degna di un killer». Perché? Che cosa è successo?
Sedici anni fa una mia vecchia cliente tentò di estorcermi 200 milioni, dicendo che, in caso contrario, mi avrebbe denunciato di averla sottoposta ad un aborto contro la sua volontà. Non diedi peso alla cosa, anche se ho sempre denunciato i tentativi di estorsione. Negli anni Settanta feci arrestare il nucleo napoletano delle Brigate Rosse, condannato poi a 30 anni di carcere. Dopo un anno mi trovai in un processo basato unicamente sulla parola della donna e su delle registrazioni telefoniche manipolate, fomentato dalla stampa cattolica ed alla fine una condanna spropositata: dieci anni!
È stato anche fatto ricorso a Strasburgo… Che cosa è cambiato?
Ho fatto ricorso a Strasburgo e la Corte dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato ricevibile il mio ricorso (capita in meno del 3% dei casi), ma sono 4 anni che aspetto e poi l’Europa si permette di richiamare l’Italia per la lentezza della giustizia. Ho maggiori speranze sulla revisione del processo che pende davanti alla Corte di Appello di Roma, dove ho presentato prove inconfutabili della mia innocenza: dalla perizia fonica, che dimostra la falsificazione delle registrazioni telefoniche, ad una autorevole perizia medico legale su una ecografia eseguita dalla donna dal suo ginecologo dove si apprezza chiaramente la presenza di un embrione vivo pochi giorni dopo la data che lei dichiara di essere venuta da me. Tutti i miei testimoni furono accusati di falsa testimonianza ed in seguito sono stati tutti assolti, oltre ad un documento della Questura di Potenza in cui il mio coimputato, amante della donna che mi accusa, dichiara di essere a conoscenza dell’estorsione di 200 milioni. Documento fondamentale che il Gup ritenne superfluo ed escluse dagli atti.
In carcere, però, lei ha «incontrato Dio»…
Sì, in carcere “Ho incontrato Dio”, anzi sarebbe meglio dire “Dio ha incontrato me”. In carcere le funzioni religiose nella chiesa centrale con la partecipazione di 300-400 persone sono l’unico momento di aggregazione, l’unica occasione di incontrare un compagno di un altro reparto, un momento di grande emozione e commozione, soprattutto in alcuni momenti quando ci si scambia la pace abbracciandosi e piangendo. Credevo già nel Dio creatore, ho conosciuto il Dio misericordioso.
Torniamo all’attualità. Una sua opinione sul caso Di Sarno, il detenuto di Poggioreale affetto da un tumore al midollo spinale che si è rivolto al presidente della Repubblica chiedendo l’eutanasia piuttosto della morte in cella.
Credo che Napolitano, se avesse polso, dopo il suo appello, vedendosi disatteso dal Giudice di Sorveglianza, dovrebbe spegnere la vergognosa vicenda, concedendo la grazia. Dovrebbe essere la soluzione per centinaia di casi simili con detenuti affetti da gravi patologie: tumori, Aids terminale, cardiopatie, costretti sulla sedia a rotelle, ultrasessantacinquenni per i quali la permanenza in carcere equivale ad un’inesorabile condanna a morte. Vorrei concludere invitando leghisti e ben pensanti ad immaginare un cubo di pochi metri e doverci stare non un anno, non dieci anni, non fine pena mai, ma una sola ora: ne uscirebbero inorriditi e diventerebbero subito paladini dell’amnistia e dell’indulto.