Prefazione
In giorni come quelli che stiamo vivendo grazie alla pandemia, quando siamo costretti a vivere tra le mura domestiche, una buona idea è stata quella di accettare il pressante invito del mio editore e di dedicare utilmente il tempo a descrivere per contemporanei e posteri il lungo periodo in cui sono stato relegato tra mura ben più tristi ed avvolgenti, quelle del carcere di Rebibbia, che ha avuto l'onore di ospitarmi per 2 anni e mezzo, dopo 3 anni e più di latitanza e prima di 2 anni e mezzo di domiciliari, che costituiranno oggetto di un altro libro.
Come si arguisce dal titolo per chi come il sottoscritto ha avuto modo di trascorrere un breve quanto intenso viaggio nell'inferno di Poggioreale (a tale proposito invito i lettori a consultare in rete il mio libro sull'argomento, digitando il titolo: Le tribolazioni di un innocente) il soggiorno nel penitenziario di Rebibbia è stato poco meno che una vacanza.
Alla fine del libro, oltre ad una trentina di foto, vi è un'appendice documentaria, che illustra, anche se parzialmente, la mia intensa attività in favore dei carcerati, attraverso interviste a giornali e televisioni, incontri scontri con ministri e parlamentari in visita ufficiale e soprattutto più di 100 lettere pubblicate dai principali quotidiani.
Pochi cenni al lungo periodo dei domiciliari, giusto per sottolineare il cattivo utilizzo delle forze dell'ordine e la vergognosa inefficienza del tribunale di sorveglianza.
Nel ricordare che mentre ero recluso ho scritto un libro illustrato da mio nipote Leonardo, dedicato ai bambini, ma anche ai grandi, consultabile in rete digitando il titolo: Le favole da Rebibbia, che ha avuto fino ad ora circa 100.000 lettori telematici, non mi resta che augurarvi buona lettura, con la preghiera di diffondere la mia fatica letteraria tra parenti, amici, collaterali ed affini
Achille della Ragione
Napoli maggio 2020
Indice
1° - La cattura, i primi giorni ed il trasferimento al G8
2° - Laurearsi in giurisprudenza
3° - Altre attività didattiche e ricreative
4° - Ospiti illustri
5° - Reclusi famosi assieme ad ergastolani
6° - Presentazione pubblica del mio libro
7° - Le ore d'aria e le serate estive
8° - Il calvario delle visite e consulenze mediche
9° - Epilogo
10°- Foto a colori
11°- Appendice documentaria
4^ copertina - Presentazione libro |
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Cap.1° - La cattura, i primi giorni ed il trasferimento al G8
Il 3 ottobre 2011 è una data fatidica del mio percorso terreno, alla pari del 1 giugno 1947, il dì della mia nascita, l'11 maggio 1972 quando partecipai a raddoppiai a Rischiatutto (fig.1), a tal proposito consulta il link https://www.youtube.com/watch?v=vwnqj9Klw7s
ed il 15 settembre 1973, giorno delle mie nozze.
A differenza degli altri, tutti lieti e giulivi, quel giorno autunnale apriva per me le porte all'inverno o meglio all'inferno.
Mi trovavo in un internet point di Roma, quando si avvicinarono al computer dove lavoravo 4 ceffi dal volto patibolare, erano poliziotti ed affermarono perentori: "La sua latitanza è finita dovete seguirci". Riuscii a salvare la pendrive, che furtivamente posi in tasca ed esclamai: "Che brutta notizia". Nella volante che ci aspettava in strada mi risparmiarono le manette ed uno dei miei angeli custodi mi confessò candidamente: "Professore sono stato un vostro cliente, mia moglie è venuta 2 volte nel suo famoso studio di via Manzoni. Finalmente potremo ritornare a Napoli, sono alcune settimane che una trentina di noi della sezione catturandi siamo qui a Roma per presidiare tutti gli internet point dove si è avuto accesso alle vostre mail posticce: Achille Capuano e Contedilavian (gli pseudomini con cui firmavo le lettere inviate ai giornali cartacei e telematici).
A sentire di questo vergognoso quanto ingiustificato dispiegamento di forze per catturarmi, a distanza di quasi 4 anni dall'inizio del mio stato di irreperibilità, rimasi basito e ricordai quanto mi era stato confidato dal mio amico Carlo, celebre quanto potente magistrato e da un generale dei carabinieri, che partecipava alle mie visite guidate, responsabile della sezione catturandi della Benemerita: "Achille non preoccuparti, in Italia vengono attivamente ricercati solo poche decine di pluriomicidi e vip delle organizzazioni criminali, gli altri li catturiamo solo grazie alle soffiate dei clan avversari".
In verità sapevo che da tempo cercavano di localizzarmi, perché facevo aprire periodicamente il mio blog da amici abitanti in tutta Italia ed anche all'estero, che mi riferivano, controllando gli accessi, che ogni giorno si leggeva tra i visitatori: Polizia di Stato e Carabinieri e non credo che volevano consultare i miei articoli culturali, che quotidianamente scrivevo.
Chiesi ai miei accompagnatori: "Mi portate a Poggioreale?". "No siete fortunato vi condurremo a Rebibbia (fig.2), ma prima dobbiamo passare per casa vostra, che deve essere perquisita".
"Casa mia state scherzando, io dormo sotto i ponti del Tevere".(In realtà possedevo in fitto un elegante appartamento di 6 stanze e giardino, dove vivevo con Tania la mia domestica ed Attila (fig.3) il mio fedele rottweiler, che dormiva la notte su un tappetino persiano vicino al mio letto).
Capirono che li stavo prendendo per culo, ma intuirono che era inutile insistere, per cui ci avviammo a Rebibbia (fig.4) dove mi consegnarono alle guardie penitenziarie e mi salutarono affettuosamente.
Appena ricevuto chiesi di poter andare in bagno con urgenza, rifiutarono e si convinsero solo dopo una sonora quanto puteolente scorreggia. Nella toilette come prima cosa tolsi la scheda dal telefonino e la ingoiai, per recuperarla dopo tre giorni tra gli escrementi. La pendrive la nascosi nell'orifizio anale, sfuggendo così alla meticolosa perquisizione che avviene completamente nudi. Potetti così salvare un immenso patrimonio di appunti quando la consegnai al mio avvocato che la diede poi a mio figlio.
Quindi fui accompagnato in una cella di transito dove passai la notte insonne in compagnia di altri 4 nuovi arrivati: 2 albanesi e 2 marocchini. All'alba fui sistemato in reparto dove presi alloggio in una cella angusta sempre in compagnia di stranieri, rapinatori e spacciatori di droga.
Nel padiglione che mi accoglieva vi erano regole rigide: un'ora d'aria al mattino ed un'ora di socialità al pomeriggio, quando si poteva andare in altre celle o usufruire di una sorta di palestra, dove era permesso compiere esercizi ginnici o giocare a carte: scopa o ruba mazzetto.
La voce che fossi medico si sparse in un attimo e la mattina vi era la fila dei detenuti che volevano consultarmi. I disturbi più diffusi: insonnia incoercibile, emicranie devastanti, depressione ingravescente, allucinazioni frequenti, disturbi intestinali con alternarsi di stipsi e diarrea, svenimenti improvvisi; tutte patologie che costituiscono la norma per un detenuto.
Nelle 2 settimane trascorse in questo padiglione di serie C ebbi modo di compiere un gesto leggendario: salvare la vita ad un detenuto. Erano le 17,30, stavo giocando a scopa ed ero ad un passo dalla vittoria, quando un urlo disperato rimbombò per il corridoio: "Achille corri subito nella cella 7 devi intervenire". Arrivai in un attimo ed a terra giaceva un detenuto che non respirava più da alcuni minuti. Tastai il polso: impercettibile, cercai di ascoltare il cuore:silenzio assoluto. Non mi persi di coraggio e cominciai a dare dei pugni violenti sul torace, al decimo pugno il cuore ricominciò a battere, ma non riprese il respiro, per cui mi decisi a praticare la respirazione bocca a bocca, il fatidico bacio della vita. Riempivo i polmoni, aprivo la bocca al morituro e lo inondavo d'aria; ripetei 5 o 6 volte l'operazione ed all'improvviso il malcapitato riprese a respirare spontaneamente e dopo alcuni minuti aprì gli occhi e balbettò alcune parole incomprensibili.
Eureka avevo salvato un uomo ed ero orgoglioso. Il giorno successivo il mio umore mutò drasticamente quando seppi che il detenuto da me salvato era affetto da Aids ed il bacio della vita poteva trasformarsi per me nel bacio della morte. Sono trascorsi 10 anni e non è successo, ma sono certo che lo rifarei, anche sapendo dei rischi da correre,non certo per deontologia professionale, ma per un amore verso il prossimo, predicato dal cristianesimo, ma che può essere attuato con entusiasmo anche da un miscredente.
Il pomeriggio durante l'ora dedicata alla socializzazione mi prodigavo ad elargire consigli legali, per poter usufruire di benefici spesso ignorati dagli avvocati d'ufficio o scrivevo lettere ai familiari, scegliendo frasi ad effetto adeguate a secondo se la destinataria della missiva era la moglie, la madre o una ragazza da conquistare.
Questa attività di leader indispettì la direttrice del reparto che mi ammonì: "Qui gli intellettuali non sono graditi, domani si trasferirà al G8, un luogo più adatto per lei. Ed infatti il giorno successivo 2 guardie carcerarie mi accompagnarono nel nuovo soggiorno, dove ad accogliermi trovai Sergio Boeri, noto trafficante internazionale di droga e Salvatore Cuffaro (fig.5), già governatore della Sicilia, accusato di collusione con la mafia.
fig.01 - Partecipazione a Rischiatutto |
fig.02 - Rebibbia |
fig.03 - Attila in copertina |
fig.04 - Rebibbia |
fig.05 - Totò Cuffaro |
fig.06 - Corriere del Mezzogiorno |
fig.07 - Il Mattino |
Cap.2° - Laurearsi in giurisprudenza
Il fior e all'occhiello del carcere di Rebibbia è costituito dal collegamento con l'università di Roma, offrendo così la possibilità ai detenuti in possesso del titolo di scuola media superiore, di iscriversi a Giurisprudenza ed eventualmente laurearsi.
Il gruppo è stato fatto nascere dal nulla da Sergio Boeri, il primo a laurearsi, ed è frequentata da alcune decine di detenuti che studiano sotto la guida di illustri luminari, che forniscono, pagandoli di tasca loro, anche i libri di testo. Fianco a fianco senza problemi siedono famosi politici e medici pluri laureati (fig.1) con efferati assassini e trafficanti internazionali di droga. Obbligatorio l'uso del tu anche fra professori e studenti ed insieme si trascorrono molte ore del giorno in ambienti estremamente accoglienti, dotati di aria condizionata, computer, stampanti ed una fornitissima biblioteca. Studiare vuol dire libertà ed il gruppo universitario costituisce una sorta di tempio del sapere.
fig. 1 - Achille con Salvatore Cuffaro |
La casa circondariale possiede una spettacolare aula magna, adoperata, oltre che per studiare e sostenere gli esami, anche per incontri con ministri, rettori e personalità della cultura, ma soprattutto si giova della collaborazione come volontari di prestigiosi professori, che dedicano il loro tempo prezioso ad insegnare ai galeotti. Faccio solo qualche nome, scusandomi con tanti altri che non cito: Federico Sorrentino (fig.2), il re dei costituzionalisti, Rodolfo Murra (fig.3) capo dei servizi legali del comune di Roma, Nuccia Cappuccio (fig.4), somma docente ed Elio Florio, unico professore di diritto penitenziario d'Italia, che veniva da Perugia per acculturarci.
Per lo studio facoltativo della lingua inglese vi era come docente una celebre artista contemporanea, Anna Di Fusco (fig.5), brava ma anche e soprattutto affascinante, come mostrano le due foto che presentiamo ai lettori, nella seconda (fig.6) in compagnia dell'insigne professore di storia dell'arte Pietro Di Loreto.
fig. 2 - prof. Federico Sorrentino |
fig.3 prof. Rodolfo Murra in udienza papale il 18 gennaio 2012 |
fig. 4 prof. Nuccia Cappuccio |
fig. 5 prof. Anna Di Fusco |
fig. 6 - La prof Anna Di Fusco in compagnia del celebre studioso Pietro Di Loreto |
A questo corpo docente si affiancavano decine di tutor, facendo si che il rapporto docente-discente surclassi celebri università come Cambridge ed Oxford.
Tra queste dottorande che ci aiutavano di pomeriggio nello studio ve ne erano alcune veramente bellissime, appartenenti a blasonate famiglie, le quali cambiavano ogni giorno abito, sempre rigorosamente firmato, adoperavano soltanto calzature con tacco 12 e costosissimi profumi francesi, che si spandevano a distanza.
Più volte, in assenza di testimoni, ho provato a chiedere loro: "Ma invece di passeggiare per strade eleganti o frequentare circoli esclusivi, perché dedicate i pomeriggi ad istruirci?". La risposta era lapidaria ed univoca: "Il fascino di stare a tu per tu con un assassino è irresistibile, una sensazione indescrivibile, che a volte conduce ad un passo dall'orgasmo!".
Fra i compagni di studio, a parte i già citati Boeri e Cuffaro, mi limito a ricordare "Peppino o siciliano", che mi ha pregato di non citarlo col suo vero nome, perché nel frattempo è divenuto un imprenditore stimato e riverito e Marco Costantini, che di recente mi ha inviato una lettera commovente (fig.7), attualmente in regime di semi libertà, di giorno braccio destro di Rita Bernardini e motore pulsante del Partito radicale e di notte di nuovo in cella.
Durante la mia permanenza forzata ho sostenuto oltre metà degli esami previsti dal programma, alternando una serie di 30 e lode ad una serie di 30 (solo una volta che volevano conferirmi un 28 rifiutai sdegnato).
Quando vi erano gli esami io, per rompere il ghiaccio, ero il primo ad offrirmi in pasto alla commissione esaminatrice, che affrontavo baldanzoso. Era l'unica occasione in cui era permesso di indossare la cravatta ed io ne possedevo una di Marinella, che sfoggiavo vanitoso.
Racconterò ora 3 degli oltre 15 esami da me superati, per spiegare come si svolgevano.
Il primo in assoluto lo sostenni con la professoressa Giovanna Razzano, la quale, oltre che preparata era anche molto bella (fig.8), per cui quando mi conferì il 30 e lode reclamai il bacio accademico, che mi fu pudicamente rifiutato; cercai di convincerla regalandole una copia del mio libro Favole da Rebibbia, ma l'unica cosa che ottenni fu un suo libro (fig.9) in cambio, con una bella dedica (fig.10), che era destinato al direttore, ma lei giustamente affermò: "Meglio che lo regalo a Lei, sarà in migliori mani".
Per l'esame di diritto comunitario si presentò un professore che era la prima volta che veniva a Rebibbia e nonostante la nutrita scorta era visibilmente terrorizzato. Appena accomodatosi in cattedra mi presentai al suo cospetto con i libri di testo sotto al braccio, pronto a rispondere alle sue domande. Trascorse oltre un minuto e lui temporeggiava, per cui gli dissi spavaldo: "La vedo nervoso, ma non deve preoccuparsi, se non rispondo ai suoi quesiti lei può tranquillamente bocciarmi; le assicuro che non le invierò una coppia di comparielli per darle una lezione".
Lo vidi impallidire ai limiti dello svenimento, evidentemente mi aveva scambiato per il capo di un clan e cercava coraggio, guardando intensamente negli occhi gli uomini della sua scorta, uno dei quali gli disse: "Ma non vede che la sta sfottendo, non si preoccupi, colui che ha davanti è più professore di lei"
fig. 7 - Lettera da Marco Costantini |
fig. 8 - Giovanna Razzano |
fig. 9 - Libro regalato |
fig. 10 - Dedica |
fig. 11 - prof. Oliviero Diliberto |
Il terzo episodio riguarda un illustre docente di diritto romano (fig.11), già senatore ed accanito bibliofilo, il quale appena mi accomodai esordì: "Cominciamo con una domanda a piacere".
"Grazie, così avrò modo di correggere una serie di errori che sono contenuti nei tre blocchi di appunti, scritti da lei, sui quali abbiamo studiato".
Il primo riguarda il rapporto tra Romani e schiavi, che viene indicato con una cifra tre volte diversa, ma sempre vistosamente errata, che se fosse vera ogni cittadino, patrizio o plebeo che fosse, aveva al suo servizio da 100 a 300 schiavi.
Il secondo svarione riguarda la costante posizione sottomessa della donna nella società, quando da tempo sappiamo che, soprattutto nel I secolo d.C. il numero di imprenditrici era quasi pari a quello di oggi.
Il terzo più grave e per correggere il quale è opportuna un'attenta lettura del mio saggio, disponibile in rete: L'usura nelle tre religioni monoteiste, riguarda l'affermazione che nell'antica Roma il denaro veniva prestato senza interesse. I "cravattari" dell'epoca escogitarono un trucco ingegnoso per aggirare la legge. Se io volevo in prestito 100 sesterzi per tre mesi, loro da un lato compilavano un contratto che alla scadenza prevedeva la restituzione della cifra pattuita, ma a parte me ne facevano firmare un altro, che simulava un prestito di 10 sesterzi, che costituivano l'interesse.
Il professore rimase sbalordito e sentenziò: "Inutile continuare 30 e lode"
Nel congedarmi sentenziai: "Professore visto che l'esame è terminato e non posso essere accusato di concussione, posso regalarle un mio libro, una raccolta di saggi, tra cui anche quello che lei deve approfondire?". Acconsentì volentieri e mentre compilavo la dedica mormorò: "Ma lei è una faccia conosciuta, ci siamo già incontrati?".
"Complimenti ha una buona memoria per una persona della sua età, si è ricordato di un evento degli anni Novanta, quando partecipò ad una mia visita guidata al museo di Capodimonte con un gruppo di celebri e facoltosi bibliofili: Umberto Eco, Giulio Andreotti, Marcello Dell'Utri e molti altri".
"Ma lei che è un famoso intellettuale che ci fa qui a Rebibbia?".
"Sto trascorrendo un periodo di vacanza".
Cap.3° - Altre attività didattiche e creative
Il penitenziario di Rebibbia è dotato di un ampio teatro da far invidia alle strutture pubbliche, nel quale, con cadenza bi o tri settimanale, si esibiscono i nomi più illustri dello spettacolo, dai cantanti ai comici ed a turno 700-800 detenuti possono trascorrere alcune ore liete.L'elenco di coloro che si sono esibiti è lunghissimo e per non tediare il lettore mi limito a ricordare il giorno dello spettacolo applaudissimo di Serena Autieri, la quale, alla fine della sua esibizione, mi riconobbe in prima fila e scese dal palcoscenico per salutarmi; un momento immortalato mentre le regalo una copia del mio libro Favole da Rebibbia (fig.1) foto che ha fatto da copertina al II tomo della mia collana Quei napoletani da ricordare (consultabile in rete digitandone il titolo), nel quale dedico alla bella quanto brava attrice un capitolo dal titolo esplicativo: "Serena dagli occhi devastanti".
Abbiamo parlato di teatro e perciò non possiamo non ricordare un momento di gloria internazionale per Rebibbia, quando, uno spettacolo girato da attori detenuti: "Cesare deve morire" (fig.2) è stato insignito dal prestigioso Orso d'oro assegnato a Berlino nel 2012. Un lavoro che ha reso celebre Salvatore Striano (fig.3-4) e che si avvalse della regia dei fratelli Taviani (fig.5-6), mentre una lapide (fig.7) ricorda ai posteri dove si è svolto l'evento.
fig.1 - Achille con Serena Autieri |
fig.2 - Locandina del film |
fig.3 -Salvatore Striano |
fig.4 - Salvatore Striano con altri detenuti attori |
fig.5 - I fratelli Taviani ritirano il prestigioso premio |
fig.6 - I fratelli Taviani sul palcoscenico del teatro del carcere di Rebibbia |
fig.7 - Lapide |
Alla fine del libro, nell'appendice documentaria, si possono consultare numerosi articoli sull'argomento, che ha costituito una vera punta di diamante per la scuola di recitazione del penitenziario, che ha prodotto negli anni successivi molti altri lavori di elevato livello artistico.
Si deve a Peppiniello o siciliano la creazione di un cineforum che, grazie all'abità delle tutor di giurisprudenza, in grado di procurarsi le copie pezzotate dei film in prima visione, permetteva con cadenza settimanale di assistere alle proiezioni su schermo gigante delle pellicole di successo di cui si parlava sui giornali. Quindi seguiva un acceso dibattito con il pubblico e si terminava solo quando scoccava l'ora di cena.
Ricordo con emozione , durante la proiezione del capolavoro La grande bellezza di aver riconosciuto nella villa dove si svolgevano periodicamente delle grandi feste, dalle quali Andreotti andava via intorno alle 23, mentre i bagordi duravano fino all'alba, la sfarzosa dimora del ministro Cirino Pomicino, posta sull'Appia antica, dove si svolgevano e mi risulta si svolgano ancora quelle feste libertine alle quali alcune volte ho partecipato.
Oppure vedendo il film cult di Tornatore La migliore offerta ho riconosciuto nel personaggio che interpretava il battitore di fama internazionale, la figura di Marco Semenzato, alle cui aste, che si tenevano a Venezia, ho acquistato gran parte della mia collezione, spendendo allegramente poco più di un miliardo.
Un'altra attività molto seguita era un corso di buddismo, tenuto dal figlio di Mario Riva, il mitico presentatore del Musichiere e da altri intellettuali di alto rango. Nonostante mi fossi sempre dimostrato scettico accolsi l'invito a scrivere un articolo sul periodico nazionale Buddismo e società, che incredibilmente all'epoca vendeva quasi 100.000 copie ogni due mesi.
Presi in esame, senza alcuna preclusione ideologica, la meditazione trascendentale e la ricerca della fede, lo yoga e l’ipnosi al fine di creare un utile vademecum, da pubblicare e distribuire nei penitenziari, che costituisse una bussola alternativa al metodo adoperato attualmente come unico mezzo per tenere calmi i bollenti spiriti di molti, che sconfina costantemente nella somministrazione massiccia di psicofarmaci che, in breve, trasformano tante, troppe persone da uomini, cui è stata tolta, oltre alla libertà anche la dignità, in pallidi ectoplasmi, automi disarticolati, marionette impazzite.
Con l’aiuto di un docente universitario di fisica, esperto in acustica, esaminammo accuratamente la lunghezza d’onda delle litanie lauretane e scoprimmo che era identica a quella del ritmo incalzante del “nam myoho renge kyo”, parola d’ordine della Soka Gakkai, la corrente buddista più seguita in Italia, la stessa insegnata a Rebibbia.
Proprio in questi ultimi anni, recenti studi di neurobiologia, utilizzando la PET, hanno dimostrato che questi suoni, riprodotti in laboratorio, fatti ascoltare a volontari, stimolano “loci cerebrali” specifici, deputati al raggiungimento dell’estasi e dell’orgasmo.
fig.8 - Un'astronave a Rebibbia |
fig.9 - Achille con Veronica Pivetti |
Vi era poi una scuola di scrittura creativa, che seguivo sporadicamente, sia per la coincidenza oraria con altre attività, ma soprattutto perché uno scrittore di successo come il sottoscritto non aveva niente da imparare. Partecipai ad un concorso nazionale intitolato a Silvio Pellico, vincendo il 1° premio di 2000 euro devoluti in beneficenza con un racconto tra fantasia e realtà "Un'astronave a Rebibbia" (fig.8), consultabile in rete digitandone il titolo.
Spesso nella biblioteca Papillon avvenivano presentazioni di libri di autori di fama internazionale e quasi sempre ero io a fare da moderatore come nel caso del libro "Ho smesso di piangere" di Veronica Pivetti (fig.9) con la quale sono rimasto in contatto e spesso ci scriviamo.
Il libro, una sorta di via crucis, nella quale racconta i sei anni vissuti nella più profonda depressione, come ci é caduta e come é riuscita ad uscirne fuori.
Più che una presentazione tradizionale si é trattato di una botta e risposta con i presenti, molti affetti dallo stesso male oscuro, speranzosi di trovare attraverso la sua esperienza un modo per uscire da uno stato di malessere, che ti toglie la gioia di vivere.
Un'ora e mezzo conclusa con pasticcini ed aranciata e con un arrivederci nel teatro del carcere per assistere al suo prossimo spettacolo teatrale, una performance sul tema della morte, giusto per rimanere in allegria.
Nell'ambito della rassegna "Scrittori in gabbia" fu presentato con successo il libro "Cronistoria di un amore folle" (fig.10) del mio compagno di cella Pasquale Gissi, un rapinatore incallito, ma nello stesso tempo un amico verace, come si evince dalla toccante dedica del suo libro (fig.11).
E concludiamo in bellezza con i due libri di Cuffaro (fig12-13), che hanno venduto decine di migliaia di copie, partecipando anche alla cinquina finale del Premio Strega.
Nel secondo "Le carezze della nenia", oltre ad una dedica commovente (fig.14), Totò mi ha dedicato 6-7 pagine, che vorrei proporvi integralmente tanto sono emozionanti, ma per non tediarvi vi propongo solo un brano che lui riportò da una mia lettera pubblicata da 12 quotidiani.
Il problema dell’integrazione tra Italiani ed il fiume di stranieri che, anno dopo anno, sempre più affluiscono nel nostro paese, in un solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari, soprattutto delle grandi città: Roma, Napoli, Milano, nei quali oramai "gli alieni" (ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza.
Nel buio delle celle vigono regole di solidarietà sconosciute nel mondo esterno, cosiddetto civile e tutti si considerano membri di una grande famiglia, chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale.
Un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire, perché non si può andare contro il corso della storia, Noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi per tanti la Terra promessa.
fig.10 - Copertina del libro di Pasquale Gissi |
fig.11 - Dedica del libro di Pasquale Gissi |
fig.12 - Copertina di un libro di Cuffaro |
fig.13 - Copertina di un altro libro di Cuffaro |
fig.14 - Dedica nel libro di Cuffaro |
Cap.4° - Ospiti illustri
A differenza di Poggioreale, dimenticato da Dio e dagli uomini, Rebibbia è meta di visite quasi quotidiane da parte di ospiti illustri: da una miriade di parlamentari a rettori di università pubbliche e private, fino ai vertici della commissione europea ed a ministri di dicasteri strategici come la salute e la giustizia.
Ma la visita più importante, da cui cominceremo il nostro racconto, è senza dubbio quella del rappresentante di Dio sulla terra: il Papa, che, il 18 dicembre del 2011, si recò nel carcere di Rebibbia a celebrare la Santa Messa ed ad ascoltare, reparto per reparto, le esigenze dei detenuti. Un gesto nobile e carico di significato simbolico, a pochi giorni dal Natale che diede agli ultimi tra gli ultimi la forza si sopportare la sofferenza di trascorrere il giorno più lieto dell’anno nella solitudine e nella tristezza, lontano dai propri cari.
Nelle sue ultime encicliche il Pontefice aveva saputo parlare con estrema saggezza non solo ai credenti, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà e la sua visita non può essere vista solo nel quadro della sua missione di Pastore, il quale ha a cuore le sue pecorelle smarrite, bensì si carica di pregnanti significati simbolici.
Sicuro di interpretare le richieste di tutti i compagni di pena, anche se non fui io ad avere il privilegio di parlargli, gli inviai una breve lettera pubblica, che fu ripresa dai principali quotidiani nella quale semplicemente dicevo: “Santità, le sue preghiere sono ben più potenti delle nostre. Faccia che l’infallibile Giustizia Divina illumini quella terrestre, spesso fallace, e che la sua invocazione venga ascoltata non solo nell’alto dei Cieli ma anche nelle sorde e grigie aule del Parlamento, il quale, pur preso da pressanti problemi di natura economica, trovi il tempo e la volontà di varare al più presto un improcrastinabile provvedimento di clemenza, che permetterà di sfollare le carceri e di restituire ai detenuti, ridotti al rango di bestie, la dignità di uomini".
fig.1 - Il papa a Rebibbia |
fig.2 - Il Papa nella chiesa di Rebibbia |
fig.3 - Albertone il gladiatore |
fig.4 - La domanda di Albertone al Papa |
Il pontefice venne ricevuto come un trionfatore nella chiesa gremita in ogni ordine di posti (fig.1-2) e dopo una benedizione generale cominciò a rispondere alle domande di alcuni detenuti che erano stati prescelti con varie motivazioni. Tra i fortunati che poterono porre un quesito Albertone, soprannominato il gladiatore per la sua forza erculea (fig.3), il quale fungeva senza alcuna reale necessità come mia guardia del corpo ed in cambio di questo servizio mi chiese di formulare la domanda ed io acconsentii volentieri:“Santità, Lei pensa che i nostri governanti che ci costringono a vivere in 6, ma anche in 8 e 16 in celle di 15 mq., mentre le normative europee prevedono che per un maiale vi siano 10mq. a disposizione, saranno condannati alle pene dell’inferno?”. Non essendo stato presente all’incontro mi sarebbe piaciuto ascoltare la risposta del Santo Padre, che mi raccontareono rimase molto imbarazzato dal quesito (fig.4).
Dopo si passò alla toccante cerimonia della lavanda dei piedi, che vide l'anziano pontefice impegnato a cercare di pulire alla meno peggio dei piedi sporchi e puzzolenti (fig.5).
Finalmente si passò al rinfresco e come cameriere di alto rango fu prescelto Salvatore Cuffaro (fig.6) che servì in maniera impeccabile dei cannoli, farciti con crema e cioccolato, che andarono a ruba, per cui chi non era presente alla cerimonia rimase a bocca vuota come illustra una divertente vignetta (fig.7), uscita il giorno dopo su un quotidiano.
Nei giorni successivi vi fu la consueta gara per il presepe più bello ed io con un gruppo di napoletani riuscii a vincere il primo premio (fig.8).
fig.5 - Il Papa lava i piedi ai detenuti |
fig.6 - Cuffaro serve i cannoli al Papa |
fig.7 - Vignetta sui cannoli al Papa |
Il pontefice nella sua visita era accompagnato, tra le altre autorità dal ministro Severino, che poco tempo dopo venne in visita ufficiale a Rebibbia, ma io non potetti partecipare all'incontro perché costretto a letto con febbre a 39°, per cui mi vidi costretto a comunicare attraverso una lettera aperta. a lei indirizzata, che suscitò enorme scalpore perché pubblicata da 8 quotidiani ed una quarantina di testate telematiche.
Eccone il testo:
Lettera aperta al Ministro Severino
Gentile Signora Severino, (fig.9)
sono napoletano come Lei, medico e scrittore attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia, ed ho molto apprezzato il Suo toccante discorso in occasione della visita del Santo Padre, per cui desidero ringraziarLa, anche a nome dei miei compagni di sventura. Lei non ha potuto vedermi perché la mia domanda (cattiva), per quanto condivisa dai cappellani, è stata censurata dalla segreteria del Pontefice.
Le Sue lodevoli proposte di sfollamento delle carceri saranno insufficienti, perché potranno interessare poche migliaia di detenuti per cui La invito ad un atto di coraggio ed a proporre al Parlamento un più ampio provvedimento di clemenza: un indulto di tre anni, accompagnato da un’amnistia, in grado di sfoltire una marea di procedimenti destinati in gran parte alla prescrizione.
Colgo l’occasione per sottoporLe una mia proposta che, nonostante abbia prospettato da tempo alla direzione, non ha finora ricevuto risposta.
Ho la fortuna che mia figlia e mio genero siano commissari europei e, dopo aver consultato tutti i presidenti delle commissioni, mi hanno assicurato, in tempi brevissimi, la disponibilità di 100.000 euro per una o più iniziative a favore dei reclusi di Rebibbia.
Il mio sogno è che si possa permettere – a costo zero – l’opportunità di ricevere ed inviare mail a parenti ed amici, grazie al finanziamento della Comunità Europea.
Oggi viviamo in un villaggio globale, le informazioni circolano in tempo reale, anche nel terzo mondo, ma evidentemente i nostri penitenziari appartengono al quarto mondo.
I telegrammi costano tanto (ben pochi possono permetterseli) ed arrivano dopo giorni. I colloqui sono per molti impossibili. Pensiamo agli stranieri (sono nostri fratelli), che costituiscono ormai il 40% della popolazione carceraria e sono in continuo aumento, essi non vedono da anni la moglie e i figli, mentre potrebbero vedersi e dialogare attraverso Skype con le famiglie lontane migliaia di chilometri.
Naturalmente la posta elettronica in arrivo ed in partenza, a differenza di quella tradizionale che gode della segretezza, potrebbe avere un filtro censorio.
Quante volte vi è la necessità improcrastinabile di contattare un legale o si vive nell’angoscia per un familiare gravemente ammalato.
Rimanere in contatto costante con i propri cari è l’unico rimedio che conosco per sopportare la sofferenza, la solitudine, la malinconia.
Se non si ha l’energia per la realizzazione di un’iniziativa del genere, che ci porrebbe una volta tanto all’avanguardia in Europa, avanzo una seconda proposta: quella d’invitare i maggiori esperti internazionali del settore a tenere un ciclo di conferenze sulle metodiche più avanzate per meglio tollerare la detenzione, dall’ipnosi alla meditazione trascendentale, senza alcuna preclusione (ricorda la Signora Ministra la scena relativa di “Arancia meccanica”?) e raccogliere poi i risultati in un
volume da diffondere agli istituti di pena di tutto il mondo.
Attualmente ho constatato che l’unica tecnica ampiamente attuata consiste nell’uso generoso di psicofarmaci, sconfinante nell’abuso, che trasforma i detenuti in pallidi ectoplasmi, in automi, molto spesso in marionette impazzite.
Non mi dilungo, Gentile Signora, ma sarei onorato di un Suo riscontro.
Tutti coloro che hanno avuto il privilegio di nascere all’ombra del Vesuvio hanno il cuore generoso.
Non deluda il grido disperato che Le arriva dagli ultimi degli ultimi.
Roma, 11 gennaio 2012Mi giunse ufficiosamente la risposta che sarebbe stata nominata una commissione di 5 esperti per valutare la fattibilità della proposta e se non vi erano problemi il primo carcere italiano che avrebbe potuto utilizzare internet sarebbe stato Rebibbia.
Sarà stata una combinazione, ma dopo pochi mesi i detenuti hanno potuto usufruire di un servizio mail, a costi ridottissimi e con la possibilità di dialogare in tempi brevissimi con i propri cari, anche se questi si trovavano a migliaia di chilometri di distanza.
Il mio exploit più eclatante fu in occasione della visita del ministro Balduzzi (fig.10), quando, alla presenza di giornalisti e televisioni, fui incaricato, nell'aula magna universitaria di ricevere e dialogare con l'illustre ospite. Il mio sermone che ora vi proponiamo fu poi pubblicato, sotto forma di lettera al direttore dai principali giornali del Paese.
DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DELLA VISITA DEL MINISTRO DELLA SALUTE BALDUZZI AL GRUPPO UNIVERSITARIO DI REBIBBIA
Signor Ministro, direttore, professori, colleghi, sono Achille della Ragione, divenuto qui più semplicemente: 90159, sono medico, specialista in Ostetricia e Ginecologia ed in Chirurgia Generale, già docente di Fisiopatologia della riproduzione nell’Università di Napoli. Nello stesso tempo sono gravemente ammalato, affetto da una ventina di patologie, per cui costituisco l’osservatorio ideale per tracciare un quadro della situazione sanitaria nel penitenziario, di cui sono ospite da 18 mesi.
Prima di entrare nel merito dei numerosi disservizi, comuni, ma qui aggravati, a quelli di tutti i cittadini, in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo attraversando, vorrei fare una precisa denuncia dell’abuso di psicofarmaci, i quali vengono elargiti in cospicua quantità, pur di tenere calmi i detenuti e che in breve tempo trasforma gli stessi in automi disarticolati, in pallidi ectoplasmi, in marionette impazzite.
Un altro prodotto che viene distribuito a richiesta è la tachipirina, un antipiretico, che viene utilizzato per curare le più svariate affezioni: dal raffreddore al mal di testa, dai dolori muscolari alle bronchiti, una vera panacea se non si trattasse di un semplice placebo.
I tempi di attesa per una visita specialistica interna sono di mesi, per un’indagine esterna, superano spesso un anno.
Le procedure burocratiche per far entrare un consulente esterno sono macchinose e defatiganti e durano costantemente molti mesi.
La permanenza in carcere peggiora tutte le patologie, anche nei più giovani, immaginiamo gli effetti devastanti che possono avere in pazienti, spesso anziani, affetti da cardiopatie gravi, crisi ipertensive, Aids in fase terminale, diabete scompensato e tante altre affezioni che conducono in breve tempo al decesso.
Un discorso a parte meritano i numerosi tossicodipendenti, che dovrebbero essere, prima che puniti, curati in apposite strutture.
Potrei dilungarmi, ricordando i tanti morti, l’ultimo meno di un mese fa e l’epidemia di suicidi, che andrebbe contrastata con un’inesistente assistenza psicologica. Ma vorrei trattare brevemente dei non meno importanti mali dell’anima: la solitudine, la malinconia, la sofferenza, la nostalgia. Conosco un rimedio infallibile per combatterli: rimanere in contatto con i propri familiari, anche solo per telefono. In tutta Europa i detenuti (a loro spese) sono liberi di fare quante telefonate desiderano. Perché dobbiamo costantemente essere il fanalino di coda della civiltà?
Signor Ministro le auguro di far parte del nuovo governo e La invito, in accordo col nuovo Ministro della giustizia di cercare di ovviare ai gravosi problemi che Le ho brevemente esposto, i quali, se trascurati, più che alla giustizia terrestre, gridano vendetta davanti a Dio.
Grazie da Achille della Ragione
Voglio concludere in bellezza il capitolo ricordando la compianta figura di Marco Pannella (fig.11), il più assiduo visitatore, in grado di portare a tutte le ore conforto e speranza ai detenuti più disperati.
fig.8 - Premiazione per il presepe più bello |
fig.9 - Renato Balduzzi ministro della sanitá |
fig.10 - Il ministro Paola Severino |
fig.11 - Marco Pannella |
Cap.5° - Reclusi famosi assieme ad ergastolani
Questo capitolo è dedicato prevalentemente agli ospiti del G8, ritenuto un reparto di lusso, sia per l'orario di apertura delle celle, la metà singole, dalle 8 alle 20, sia per gli ospiti, prevalentemente ergastolani, a cui viene offerta una sistemazione decente, dovendo trascorrere tutta la vita dietro alle sbarre.
Partiamo con questa nostra panoramica tra i personaggi più in vista citando per l'ennesima volta Salvatore Cuffaro (fig.1), l'ex governatore della Sicilia, meta di un pellegrinaggio quotidiano di parlamentari, che venivano ad riverirlo. Proseguiamo con una foto del sottoscritto, prima in compagnia di Padre Pio (fig.2), poscia con l'adorata moglie Elvira (fig.3). Passiamo poi ad un ergastolano: Petrit Kastrati (fig.4), maestro internazionale di scacchi, col quale trascorrevo almeno un'ora sulle 64 caselle in memorabili partite, che mi vedevano quasi sempre vincitore. Vi erano poi altri 2 maestri internazionali , uno ucraino ed uno cubano, sempre ergastolani, con i quali trascorrevo ogni 3-4 giorni un tempo piacevole battagliando sulla scacchiera.
Ed a proposito di ergastolani voglio rammentare che, appena arrivato in reparto, tramite le guardie carcerarie, mi arrivò la notizia che se qualcuno mi avesse minacciato o dato fastidio, non avevo che segnalare l'evento alla direzione ed il delinquente sarebbe stato immediatamente trasferito altrove, in un carcere del nord se era un meridionale e viceversa. La stessa reverenza mi era stata riservata dai capi dei vari clan presenti a Rebibbia, tenendo presente la sostanziale differenza rispetto a Poggioreale, dove comanda solo la camorra, mentre a Roma vi erano varie cosche in condominio, dalla ndrangheta, alla mafia, sia siciliana che cinese ed un certo potere era riservato agli zingari, che facevano capo alla famiglia dei Casamonica, che contava centinaia di adepti, anche nella sezione femminile.
Una sola volta ho dovuto approfittare di questa situazione di pseudo potere, quando dovetti pubblicamente, durante l'ora d'aria, punire un disgraziato che aveva cercato di uccidere barbaramente dei micetti appena nati.
fig.1 - Cuffaro arbitro |
fig.2 - Achille con Padre Pio |
fig.3 - Achille con Elvira |
fig.4 - Achille con l'ergastolano PETRIT KASTRATI avversario in interminabili partite di scacchi |
fig.5 - Albertone il gladiatore |
fig.6 - Torta |
Parleremo dell'episodio in un prossimo capitolo, per i momento presenteremo uno dei protagonisti: Albertone, la mia guardia del corpo dalla forza erculea, che compare mentre mi tiene sulle spalle (fig.5) sulla prima pagina del mio profilo facebook, che invito tutti a condividere. Egli, pochi mesi dopo il mio ingresso, uscì dalla gattabuia, usufruendo di una misura alternativa e mi confidò che per sopravvivere avrebbe dovuto riprendere la sua attività di spacciatore. Per fortuna invece seguì il mio consiglio e non smette di ringraziarmi con lettere commoventi. Gli dissi: "Procurati una divisa da gladiatore, diventa Spartaco, collocati vicino al Colosseo e guadagnerai soldi a palate, facendo foto ricordo con le turiste desiderose di immortalarsi". Egli mi racconta che recupera 200-300 euro al giorno e ne guadagnerebbe il triplo se assecondasse alle richieste erotiche delle forestiere più attempate, ma lui è diventato onesto e poi non tradirebbe mai Alessia, la sua compagna, con la quale ha creato una famiglia, allietata dalla nascita di Gaia, una bimba bellissima e vive ora in una bella casa.
Nel frattempo Il 1° giugno nonno Achille ha compiuto 65 anni ed ha ordinato una torta Mimosa da 60 euro per festeggiare con i compagni di reparto il giorno fatidico, con sopra una scritta eloquente (fig.6).
La mattina è venuto a trovarlo Gian Filippo, il figlio prediletto ed assieme hanno spento le candeline di legno, un sei ed un cinque, a simboleggiare l’età, poste su un ciambellone farcito di marmellata ed hanno brindato con dell’aranciata Fanta. Il resto della torta lo hanno offerto alla nipotina di un altro detenuto, una simpatica ed educata bambina, che ha detto: “Grazie signore”.
La sera, dopo una cena prelibata, preparata da Rudy, il cuoco personale di nonno Achille, che conosceremo meglio fra poco, alla quale hanno partecipato nella piccola cella, oltre ai quattro occupanti, alcuni amici più intimi, tutti si sono poi trasferiti nella sala del ping pong, dove alla presenza di tutti i prigionieri del braccio, circa 50 persone, si è consumata la grande torta, brindando con aranciata, coca cola e chinotto.
In carcere non si fanno gli auguri, ma molti hanno augurato a nonno Achille di ritornare presto libero, perché sanno che è innocente.
La sera prima di addormentarsi il festeggiato ha pensato alla sua famiglia lontana ed in sogno si è ritrovato con tutti: la diletta Elvira, i tre cari figli, gli amati nipoti, le tre zie vegliarde, il fratello Carlo ed il nipote Mario ed Attila, il fedele rottweiller, che aspetta il suo ritorno a casa.
fig.7 - Rudy |
fig.8 - Alì |
Parliamo ora di un altro forzuto Rudy (fig.7) conosciuto quando capitai in una cella di tutti Napoletani, che mi volevano bene e mi rispettavano. Erano tutti molto giovani, intorno ai trenta anni!!
Vi era Alicella un ragazzo sfortunato, che ha perso da bambino la mamma e non riesce che raramente a vedere il padre, mentre nessuno gli scrive. Deve scontare una lunga pena, non riesce a lavorare e cerca di sfogare la sua rabbia giocando a pallone dove è un abile attaccante.
Vi era Pasquale, napoletano acquisito, in quei giorni molto depresso perché la fidanzata, per la quale aveva addirittura scritto un libro da pubblicare a giorni "Cronistoria di un amore folle" (di cui abbiamo parlato in precedenza) dopo anni di promesse e di colloqui, di punto in bianco con un telegramma, era stato lasciato dalla fanciulla, che gli aveva preferito un altro.
Ma la figura di spicco, il capocella per anzianità di detenzione era Rudy, soprannominato il colosso, il quale per me svolgeva varie funzioni, da guardia del corpo, a cuoco (preparandomi i piatti che preferivo), a cameriere personale. Mi faceva il letto ogni mattina e mi consolava nei momenti di sconforto, abbracciandomi e trasmettendomi così la sua energia.
Ha un bel bambino ed una moglie affettuosa che ogni settimana lo conduce da lui e solo così riesce a non pensare ai tanti anni di carcere che deve ancora scontare
E' un bonaccione anche quando strilla e vuole sembrare rude, non per niente si chiama Rudy.
Poche parole per descrivere Alì (fig.8), un marocchino accusato di aver ucciso una celebre nobildonna famosa in tutto il mondo. Egli ufficialmente era iscritto all'università, senza però aver mai sostenuto un esame, ma solo per usufruire di un locale ampio, dotato di aria condizionata. Si era autonominato mio cameriere personale ed appena mi vedeva chiedeva con premura:"Come sta dottore?" e mi preparava un caffè. era soprattutto abile nei massaggi; con poche ma decise manipolazioni sul collo ed alcune abili rotazioni del capo era in grado di mitigare i terribili dolori reumatici che mi affliggevano.
Del Frate era un architetto imbroglione, affetto da depressione e specializzato nelle truffe ad alto livello, caratteristica che non aveva dimenticato e che perseverava, facendosi prestare sigarette e francobolli da altri detenuti, che poi si dimenticava di restituire. La sua specialità era costituita dal prendere in fitto un appartamento di lusso con il proprietario residente altrove e dopo qualche mese lo poneva in vendita a prezzi convenienti ed intascava, presentando documenti falsi, la caparra da 4-5 potenziali acquirenti, per poi scomparire nel nulla e ripetere la stessa operazione in altre città.
Un truffatore di ben altro livello era Lorenzo Mazza, un giovane di bella presenza, abituato a frequentazioni altolocate; era amico del principe Alberto di Monaco, al quale prestava il suo elegante appartamento di Montecarlo, per le sue non rare scappatelle extra coniugali.
Amedeo P. compagno di cella di Marco Costantini mi sfidava spesso a scopa ed era un lettore accanito dei miei libri, di alcuni dei quali conosceva interi brani a memoria.
Il signor X, lo chiameremo così perché appartenente ad una delle più famose famiglie di Verona. 40 anni, era uno degli hacker più abili del globo, in grado di entrare in qualsiasi conto corrente ed asportare denaro. Faceva parte di una banda internazionale, assieme ad un cubano e ad un bulgaro ed era riuscito ben tre volte nei cervelli elettronici del Pentagono ed a carpire informazioni vendute a peso d'oro ai sovietici. Non si preoccupava della detenzione, fra 2 o 3 anni sarebbe ritornato libero e trasferitosi all'estero si sarebbe goduto i 40 milioni di dollari messi al sicuro in un paradiso fiscale.
fig.9 - Achille con Mohamed compagno di cella egiziano |
fig.10 - Achille con i compagni di cella MOHAMED TORKEY a sinistra e PASQUALE GISSI al centro |
Quando Rudy ed Alicella per motivi disciplinari furono trasferiti in un altro reparto giunsero due nuovi compagni: Tonino Vicedomini, napoletano e nullatenente, di cui purtroppo non ho foto e Mohamed (fig.9), al quale sarò sempre grato per una lettera elogiativa: Achille il re di Rebibbia, che venne pubblicata integralmente da Natalia Aspesi nella sua rubrica su il Venerdì di Repubblica ed il cui testo potrete leggere nell'appendice documentaria.
In suo onore ogni estate in occasione del Ramadan per la cena attendevamo il tramonto, rispettando simbolicamente la tradizione, anche se lui, a differenza di mio genero Soufiane, che durante il giorno non beve un goccio d'acqua, mentre il mio compagno non solo beveva a volontà, ma fumava 40 sigarette e consultava avidamente per ore riviste pornografiche.
A cucinare ed a pulire la cella ci pensava Tonino, per farsi perdonare che non partecipava alle spese non avendo soldi, nonostante mia figlia Marina, periodicamente, fingendosi un suo familiare, gli faceva pervenire un vaglia di 500 euro.
Pasquale (fig.10) frequentava la scuola e lavorava come scopino.
Ritornando al tema degli ergastolani voglio segnalare una notizia che meraviglierà i miei lettori. Tutti i detenuti a metà pena, se hanno tenuto una condotta ineccepibile, possono usufruire di 45 giorni ogni anno di vacanza premio da trascorrere dove ritengono più opportuno ed anche gli ergastolani dopo 8 anni possono usufruirne, dividendo i giorni a disposizione in 4-5 periodi a scelta. Con mia grande meraviglia nessuno approfittava di quei giorni per non far più ritorno in cella. Ho rivolto ad una decina di loro, quasi tutti quarantenni, la stessa domanda: " Scusa tu devi passare il resto dei tuoi giorni in carcere perché sei tornato?".
Prima di citare le risposte debbo sottolineare che gli ergastolani quasi tutti lavoravano alla mensa del carcere e percepivano uno stipendio mensile di 800 euro, a differenza di Pasquale che come scopino ne percepiva solo 200.
Andiamo alle risposte:" Ma qui sto bene, ho tanti amici, gioco a calcio ed a carte, mangio e bevo gratis e poi se scappassi, prima o poi mi acchiapperebbero e passerei all'ergastolo ostativo, che non permette di godere di alcun permesso, sarebbe la fine". "La mia famiglia ha bisogno di soldi per andare avanti, mia madre è sulla sedia a rotelle". "Non voglio che i miei tre figli facciano la mia stessa fine, debbono studiare e ci vuole denaro ed un domani lavorare onestamente".
fig.11 - Due transessuali si guardano |
fig.12 - Un transessuale si trucca |
Concludiamo con un argomento imbarazzante parlando di transessuali, precisando che Rebibbia ha una sezione femminile dove alloggiano coloro che si sono fatti amputare l'attributo virile, sostituendolo con una rudimentale neo vagina, mentre dove mi trovavo io vi erano quelli che si erano conservati l'apparato genitale integro.
Tutti erano dotati di mammelle perfette, frutto di costose mastoplastiche additive, capelli biondi e fluenti, profumi francesi e rossetti debordanti (fig.11-12).
In tutte le manifestazioni pubbliche, inclusa la messa domenicale partecipavano, ma erano sempre tenuti in disparte.
Il prof. Paolo Valerio, docente nell'università di Napoli, mi chiese di scrivere un articolo sull'argomento da pubblicare sulla rivista italiana di antropologia.
Ottenni il permesso di intervistare qualcuno di quelli che per me erano da definire, non pomposamente transgender, ma semplicemente ricchioni.
Tra coloro con cui parlai vi era anche colui che aveva avuto come cliente il famoso politico Marrazzo.
Rimasi meravigliato dalla unanimità delle confessioni: gli uomini si recavano da loro , pagando cifre cospicue, non per fare sesso, ma unicamente per essere ascoltati e compatiti, una qualità che non posseggono più le donne di oggi, che pensano solo a lavorare e ad affermarsi nella società.
Cap.6° - Presentazione pubblica del mio libro
Il 31 maggio del 2013 è una data fatidica non solo del mio percorso da galeotto, ma anche della storia del regolamento penitenziario, perché per la prima volta in Italia è stato permesso ad un detenuto di recarsi all'esterno per presentare un suo libro. A me è stato concesso questo raro privilegio e sono stato più che contento, ma ho raggiunto il culmine della felicità quando mi sono accorto che ad ascoltarmi, oltre a giornalisti e televisioni, erano accorsi da tutta Italia oltre un centinaio di amici del cui affetto me ne ricorderò finché vivrò.Il libro da presentare era il I tomo di Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli (fig.1), Editore Clean, un volume disponibile ancora oggi in tutte le librerie e per chi volesse consultarlo gratuitamente, come sempre, basta digitarne in rete il titolo.
La sede prescelta era più che prestigiosa: Palazzo Odescalchi, dove agisce la celebre casa d'aste Minerva Auctions, diretta dalla nota storica dell'arte Valentina Ciancio.
L'orario della presentazione le 17; arrivai scortato dall'ispettore capo Giannelli (fig.2) con tre guardie elegantemente vestite con tanto di cravatta.
Mio figlio Gian Filippo si preoccupò di informare la moltitudine di amici che accorsero in massa e dei quali a fine articolo ne ricorderò alcune decine di nomi, scusandomi con tutti gli altri che non cito per non allungare eccessivamente lo scritto.
Un altro grazie particolare lo debbo all'amico fraterno Dante Caporali, che preparò una corposa quanto esaustiva introduzione al libro ed aiutò nell'impaginazione l'editore Gianni Cosenza, intervenuto personalmente con la moglie e che per fortuna portò con se un nutrito numero di libri: tutti venduti.
fig.1 - Copertina Napoletanitá, arte e miti I tomo |
fig.2 - Ispettore capo Giannelli |
Il parterre dei presentatori era di alto livello (fig.3-4-5), l'ispettore capo Giannelli, che nel presentarmi affermò convinto: " Abbiamo il raro privilegio di ospitare un intellettuale di livello nazionale. Vi era il napoletanista Dante Caporali, il quale curerà poi una recensione per la stampa, che potrete consultare nell'appendice documentaria. Il professor Pietro Di Loreto, docente universitario di storia dell'arte e mia moglie Elvira, che indossava un elegante quanto costoso abito blu di Zara, regalatogli per l'occasione da nostro figlio Gian Filippo.
Quando presi la parola, visibilmente emozionato, parlai sia del libro, che della mia esperienza di vita, per rispondere poi alle domande del pubblico.
fig.3 - Parterre dei relatori presentazione libro |
fig.4 - Elvira legge dei brani del libro |
fig.5 - Achille comincia la sua discettazione |
Grazie a Lia posso offrire a tutti un breve filmato di quell'indimenticabile pomeriggio, nel quale molti si riconosceranno, basta digitare il link https://www.youtube.com/watch?v=MSr37Cp0sSs
In conclusione voglio rammentare il nome di qualcuno dei tanti amici del cuore, che vollero onorarmi con la loro presenza: coniugi Speranza, Tarallo, Cerrato, Triunfo, Letticino, Verde ed inoltre uno staff di amiche di mia figlia Tiziana capitanato da Mara e poi: Diego De Bellis, Aurelio De Rose, Wanda Imbimbo, Lucio Carbone, Marianna Verde, Marisa Carino, mia nipote Barbara e mio fratello Carlo e tanti, tanti, tanti altri. Grazie vi porterò sempre nel cuore.
Cap.7° - Le ore d'aria e le serate estive
La possibilità di poter uscire alcune ore al giorno all'aria aperta è molto importante per i detenuti, in gran parte giovani, i quali, oltre che passeggiare e poter parlare con gli amici, possono fare ginnastica o giocare a pallone. Io personalmente per via dei miei infiniti impegni intellettuali usufruivo poco di queste occasioni salvo, improcrastinabile, alle 13,portare il mangiare a Lucia (fig.1), una gatta anziana che viveva a Rebibbia ed alla quale ero particolarmente affezionato; naturalmente non portavo il rancio che ci veniva distribuito e che lei sdegnosamente rifiutava, ma solo e soltanto ciò che cucinava Tonino Vicedomini, il nostro cuoco, utilizzando alimenti che compravamo ad un prezzo di gran lunga superiore a quello praticato dai supermercati.
Prima di scendere davo da mangiare a centinaia di uccelli, lanciando dalle finestre delle celle residui di cibo e soprattutto panini che recuperavo dalla spazzatura, dividendoli ognuno in 8-10 parti, per fare in modo che oltre ai gabbiani, anche volatili di minori dimensioni potessero nutrirsi.
Oltre a Lucia vi erano altre gatte più giovani, una delle quali aveva da pochi giorni partorito una nidiata di micetti, che miagolavano continuamente.
Ed arriviamo così a raccontare un episodio di cui ho accennato in un capitolo precedente: l'unica volta che ho usufruito delle mie guardie del corpo per punire un disgraziato, un albanese che, credendo di fare una bravata, aveva messo in un sacco di plastica due gattini e li aveva gettati nel bidone della spazzatura. Fortunatamente il suo barbaro gesto non sfuggì allo sguardo attento di alcuni reclusi, che si precipitarono a salvarli ed avvertirono il malvivente che mi avrebbero segnalato il suo comportamento indegno.
La mattina successiva, quando mi misero al corrente dell'episodio, il responsabile prudentemente era rimasto nella sua cella, dalla quale mandai a prelevarlo Albertone, il futuro gladiatore (fig.2) e Mario, un gigante di due metri, ex campione italiano di pugilato, di mestiere buttafuori, lavoro che svolgeva accuratamente, a tal punto che una sera per cacciare via dal locale che presidiava un ubriaco, con un pugno gli ruppe il fegato uccidendolo. Essi portarono al mio cospetto il gatticida ed io, circondato da una folla di reclusi, dopo averlo apostrofato. "Figlio di puttana", lo giudicai ed applicai seduta stante la punizione, consistente in uno schiaffo impetuoso, in un violento calcio nei testicoli ed in un debordante sputo sul viso, oltre all'ammonimento:"Per tre settimane ti è vietato scendere nel cortile, se trasgredisci la punizione sarà molto severa".
fig.1 - Albertone il gladiatore |
fig.2 - La gatta Lucia |
La messa domenicale è un'occasione unica per potersi incontrare con detenuti di altri reparti e nessuno vuole perderla, anche se la fede vacilla ed il vero desiderio è quello di incontrarsi con amici e parenti nella grande chiesa (fig.3-4), capace di contenere quasi 1000 persone e scambiare abbracci e parole di conforto reciproco prima dell'inizio della funzione. Spesso confusi con i galeotti vi erano volontari di varie associazioni, che volevano rappresentare la loro sentita partecipazione al dolore altrui.
La messa durava a lungo ed un momento culminante era costituito dalla distribuzione della comunione, alla quale costantemente partecipavo, senza necessità di confessarmi preventivamente, essendo notoriamente alieno a peccati sia mortali che veniali.
Un altro privilegio che mi era riservato consisteva nella lettura di una pagina del Vangelo, nel cuore centrale della cerimonia ed il parroco sceglieva sempre me, nonostante la fama di miscredente, perché giustamente mi riteneva un lettore ineccepibile, capace di variare il tono della voce, assecondandolo al racconto, di rispettare le pause delle virgole e di essere in grado di trasmettere una profonda emozione al pubblico che mi ascoltava, rispettando con riverenza un silenzio assoluto.
Un altro conforto per i detenuti è costituito dalla possibilità (a proprie spese) di fare ogni settimana una telefonata di 10 minuti ai parenti in un giorno ed un'ora prestabiliti.
Io ne usufruivo il mercoledì alle 19 e dividevo equamente il tempo a disposizione: 3 minuti con mia moglie, 3 minuti con Tiziana, 3 minuti con Marina e l'ultimo minuto con i miei nipoti, che mi ripetevano sempre: "Nonno quando torni a casa?". I miei cari si riunivano assieme con grande anticipo ed attendevano trepidanti che il telefono squillasse.
fig.3- Rebibbia chiesa |
fig.4 - Via Crucis |
fig.5 - Con Gian Filippo |
fig.6 - Con Leonardo e Matteo |
fig.7 - Bacio |
fig.8 - Con Tiziana e nipoti |
I rapporti epistolari servono a non interrompere i rapporti verso l'esterno. Io personalmente ricevevo non meno di 20 lettere al giorno, solo Salvatore Cuffaro ne riceveva più di me. A parte i miei familiari, tra le mie più affezionate corrispondenti voglio ricordare Marisa Carino, Elvira Passeggio, Loredana Pica e Marianna Capasso.
Le visite con i parenti rappresentano il vero conforto per i detenuti, in grado di combattere efficacemente malinconia, tristezza e solitudine.
6 ore al mese che si possono godere isolate o raggruppando il tempo a disposizione in 2-3 incontri. Io sono uno dei pochi, forse l'unico che in 2 anni e mezzo non ha perso un solo minuto a disposizione.
Mio figlio Gian Filiippo era il più assiduo, abitando a Napoli, mentre mia moglie e le mie due figlie, risiedendo a Bruxelles, venivano ogni mese e pernottavano per vederci più volte.
Mio fratello Carlo veniva ogni mese e quasi sempre lo accompagnava Giorgio Pollio, un amico magistrato, che veniva con la qualifica di persona terza per distinguersi dai parenti entro il 4° grado, che avevano diritto agli incontri. Un giorno in barba a tutti i severissimi quanto ottusi regolamenti, che vietano di portare alimenti che possano contenere droga, si trovò a venire con un pacco contenente una ventina di sfogliatelle destinate ad un familiare che risiedeva a Roma e festeggiava il suo onomastico. Gli venne l'idea di consegnarle a me e l'ispettrice addetta ai controlli alla vista del velo di zucchero allibì, pensando potesse trattarsi di cocaina, ma poi riconobbe nel mio amico il celebre quanto incorruttibile magistrato ed acconsentì alla consegna. Inutile dire che i miei compagni di reparto ne fecero una scorpacciata in piena regola, lasciandomi solo le briciole.
Le visite si svolgevano in ambienti chiusi, solo una volta al mese ci si poteva incontrare nell'ambita aria verde, prospiciente le scale di accesso alla chiesa e la statua di Padre Pio.
Se venivano dei bambini si aveva diritto all'esterno, e le foto (fig. da 5 a 10) che mostro ai lettori con emozione sono state tutte scattate alla luce del sole.
fig.9 - Con Marina |
fig.10 - Achille sorride a Marina |
L'ultima ora era dedicata a trattare l'argomento richiesto dagli ascoltatori: dai Templari alla storia del fascismo ed al termine rispondevo alle domande degli astanti.
Al dibattito assistevano con interesse le guardie penitenziarie, le quali intorno alle 22,20 mi ricordavano:" Professore cercate di accelerare perché questi delinquenti debbono andare a dormire". Spesso sforavamo l'orario, anche se di pochi minuti.
Ricordo con nostalgia queste mie improvvisate dissertazioni e l'attenzione con cui venivo seguito, a differenza di ora, che sia nelle settimanali visite guidate e sia nelle conferenze e presentazioni di libri, che tengo periodicamente, ho un pubblico qualificato di docenti universitari, presidi e professionisti, ma meno entusiasta di quello che ho avuto per tanto tempo nel carcere di Rebibbia.
Cap.8° - Il calvario delle visite e consulenze mediche
Prima di passare al racconto della mia esperienza personale, vorrei riproporre una fase del mio contraddittorio con il ministro della sanità, che fu pubblicato dai principali quotidiani:Molti penitenziari, anche di primaria importanza, si trovano per lungo tempo sforniti di figure fondamentali quali il chirurgo, l’ortopedico, il neurologo per cui i pazienti vengono inviati all’esterno per la consulenza medica necessaria che dovrebbe avvenire presso l’ambulatorio, riservando solo ad indagini strumentali, quali TAC o risonanza magnetica (per le quali vi è un’attesa media di un anno) i pazienti che ne hanno bisogno.Io, appena giunto a Rebibbia, segnalai che le mie condizioni di salute erano gravi ed incompatibili con il regime carcerario ed entro pochi giorni avrei depositato, tramite il mio avvocato, il compianto principe del foro Ivan Montone, una corposa documentazione sanitaria a conferma della mia dichiarazione e chiedevo con urgenza la visita di un cardiologo.
Spesso si tratta di pazienti che versano in gravi condizioni di salute e qui comincia l’odissea, ma sarebbe più opportuno parlare di inferno, del trasferimento del detenuto verso il nosocomio.
Si appongono le manette e si viene stipati in blindati con uno spazio a disposizione inferiore al mezzo metro quadrato dove si trascorrono ore ed ore in condizioni disumane per raggiungere l’ospedale, eseguire l’accertamento ed attendere che tutti terminino i propri.
Tra partenza ed arrivo spesso trascorrono 4-5 ore durante le quali si è costretti ad attendere in una scatola di ferro priva di luce dove la temperatura a volte supera i 40 gradi.
E si tratta di cardiopatici, malati anziani, a volte incontinenti.
Quale giudizio si può esprimere: nessuno, se non rabbia, indignazione, impotenza.
Un discorso a parte è la partecipazione dei detenuti alle udienze: sveglia alle 6, alle 7 si viene smistati nelle celle di attesa, quindi, ammanettati a due a due, si comincia il lungo viaggio, a volte di ore, stipati in quattro in cubicoli sempre di un metro quadrato. Ancora nuova, interminabile attesa di ore prima di essere ammessi davanti alla corte, senza nemmeno il tempo di potersi consultare con l’avvocato, né, tanto meno, consegnare importanti documenti processuali.
L’udienza dura pochi minuti ed a quelle del tribunale di sorveglianza non può assistere il pubblico: una vera e propria caricatura della giustizia che, in nome del popolo italiano, in pochi minuti, decide il destino di una persona.
Il tribunale di sorveglianza si è trasformato in un vero e proprio 4° grado di giudizio che, applicando con insindacabile severità ogni questione, ha vanificato i provvedimenti sfollacarceri emanati dal precedente governo con detenuti a pochi mesi dal fine pena che non hanno mai usufruito di un permesso perché giudicati pericolosi o bisognevoli di ulteriore osservazione che dovrebbe durare sei mesi, ma spesso copre tutto il periodo da espiare
Per tale consulto dovetti attendere alcune settimane e fu effettuato presso la struttura sanitaria del penitenziario da un pseudo specialista che ora vi descrivo.
Dopo un'attesa snervante di alcune ore seduto in corridoio e senza che si consultasse il corposo dossier sanitario che era sulla scrivania, fui sottoposto ad un veloce elettrocardiogramma e ad una rapida auscultazione dei battiti cardiaci. Quindi ci sedemmo ed il medico mi disse sicuro di quanto dichiarava: "La situazione del suo cuore non desta preoccupazioni, vi sono soltanto leggere alterazioni del ritmo, che si possono controllare con dei farmaci".
"Dottore lei mi da una bella notizia, perché ero molto avvilito dalle conclusioni del mio cardiologo, che affermava perentoriamente che, se non mi sottoponevo con urgenza ad un by-pass, non avrei vissuto a lungo".
"E chi è il suo cardiologo?".
" Il professor Attilio Maseri (fig.1), forse lo ha sentito nominare?".
"Certo mi sono specializzato con lui".
"Ma credo che non abbia appreso nulla dal suo insegnamento, perché non ha nemmeno consultato la mia cartella clinica, dove avrebbe potuto visionare una coronarografia (fig.2), nella quale si evidenzia la totale occlusione delle arterie, un eco doppler, che segnala che il ventricolo sinistro pompa meno del 40% e due holter che mettono in mostra un ritmo da rock and roll ed una pressione che fa le bizze".
Quindi mi alzai e ritornai nel corridoio sbattendo la porta.
fig. 1 - Il professor Attilio Maseri |
fig. 2 - Coronarografia prima dell'angioplastica |
Oltre al cuore malandato le altre patologie principali dalle quali ero affetto, documentate da analisi, ecografie e radiografie erano: una steatosi epatica in fase terminale, un'artrosi diffusa sacro lombare e cervicale, che quasi mi paralizzava e mi procurava dolori intollerabili, un diabete di media gravità (2,14), una vistosa alterazione dei parametri del colesterolo e dei trigliceridi, un'allergia al polline ed alla polvere che mi provocava continui episodi di asma soffocante, una cataratta all'occhio sinistro che mi rendeva simile a Polifemo ed infine, last but not least, un'ernia inguinale protrudente nel testicolo, che rischiava di strozzarsi da un momento all'altro, per intenderci per chi conosce perfettamente il napoletano "una paposcia diventata una guallera".
Oltre a queste patologie vere, per aggravare la situazione, ne avevo create altre, partendo da una serie di coliche renali inesistenti, dopo essermi procurato un grosso calcolo da un detenuto che lo aveva espulso e che io tenevo nascosto tra i libri di filosofia. Fu richiesta per me un'ecografia da praticare in un ospedale esterno, per la quale attesi circa 10 mesi e quando il medico di reparto mi annunciò che il giorno successivo sarei stato sottoposto all'accertamento, trionfante gli consegnai il calcolo alieno:"lo ho espulso stanotte, fatelo esaminare, mi pare sia di ossalato".
Ogni volta che dovevo sottopormi ad esami di laboratorio, la mattina, invece di osservare un doveroso digiuno, mi svegliavo presto ed ogni 30 minuti bevevo un bicchiere di latte con 4 cucchiaini di zucchero per un totale di 16 ed ingurgitavo 7-8 tuorli di uovo sodo, per cui i valori della glicemia e dei grassi raggiungevano valori altissimi, al punto che il medico di reparto mi avvertì che stavo per cadere in coma diabetico.
E poi il trucco più spettacolare era costituito da una serie di allucinazioni, sia notturne che diurne. Nelle prime compariva Satana nella mia cella e mi invitava ad uccidere i miei compagni: "Prendi un coltello e puniscili sono dei delinquenti". Seguivano urla sguaiate, che svegliavano l'intero reparto, facendo accorrere le guardie carcerarie. Nelle seconde, durante l'ora d'aria, fingevo di avere delle visioni e parlavo ad alta voce con persone inesistenti, sbalordendo i presenti tra cui le guardie carcerarie che si affrettavano a comunicare gli episodi alla direzione.
Per questo disturbo fui sottoposto ad una tac cerebrale, eseguita presso il policlinico, la quale diede un esito che non mi aspettavo: una serie di devastanti calcificazioni che interessavano tutta la materia cerebrale, a tal punto che il radiologo esclamò: "Lei ha il cervello di un uomo di 90 anni, riesce ancora a parlare ed a ricordare qualcosa?".
"Caro collega" gli risposi" la testa è l'unica cosa che mi funziona ancora, provi a scandagliarmi tra le gambe e si chiederà, ma chi è Matusalemme?".
Un'altra visita che feci al policlinico fu dall'oculista, che confermò nell'occhio sinistro una cataratta che mi privava del 100% del visus. "Bisogna operare sentenziò, da noi l'attesa media è di 18 mesi, ma lei è un recluso e la situazione cambia". "Sarò operato prima?". "No nel suo caso i mesi che debbono trascorrere sono il triplo dei pazienti normali".
Anche il Tribunale di sorveglianza di Roma ha delle attese estenuanti, ma finalmente giunse, dopo tante udienze e rinvii, il giorno fatidico in cui stabilì che, quando sarebbero mancati 4 anni dal fine pena, avrei potuto usufruire dei domiciliari per le mie condizioni di salute e rinviava al giudizio della direzione sanitaria di Rebibbia, se si doveva applicare la sospensione della detenzione, in attesa che maturasse il periodo in cui potevo usufruire della misura alternativa.
Purtroppo il medico responsabile valutò le mie condizioni gravi, ma non gravissime, per cui pazientemente dovevo attendere ancora molti mesi.
Inviai al collega una lettera nella quale specificavo che in copia era indirizzata anche al DAP, alla Procura della repubblica di Roma ed al Presidente della repubblica, oltre alla redazione di una cinquantina di giornali cartacei e telematici. Eccone il testo:
"Ha dichiarato che le mie condizioni di salute sono mediocri, Le auguro, non mi auguro, che abbia ragione, perché altrimenti i miei familiari gliela faranno pagare cara, sia in sede penale che civile".E finalmente giunse la data tanto attesa: il 31 marzo 2014, quando l'ispettore mi consegnò copia della decisione del Tribunale di sorveglianza che potevo tornare a casa, ma dovevano venire a prelevarmi dei familiari, perché ero malato. Come potevo avvertirli, potendo telefonare solo in un giorno prestabilito? Ci pensò Suor Ancilla che chiamò mio figlio Gian Filippo, il quale con mia moglie, il giorno dopo, venne a prelevarmi intorno alle 13, dopo aver trascorso l'intera mattinata ad abbracciare centinaia di compagni, finalmente divenuti ex.
Cap.9° - Epilogo
Sono finalmente giunto a casa e come ho accennato nella prefazione il lungo periodo dei domiciliari costituirà argomento di un prossimo libro, ma non posso accomiatarmi dai lettori senza sottolineare alcuni scandalosi episodi avvenuti fino a quando il 10 dicembre del 2016 sono finalmente ritornato ad essere un libero cittadino.Voglio precisare che i domiciliari mi sono stati concessi per gravissimi motivi di salute, con il permesso dalle 10 alle 12 di potermi allontanare da casa per motivi personali, mentre, se dovevo recarmi da un medico, dovevo avvertire il commissariato di quartiere al momento dell'uscita, dicendo dove mi recavo ed informarlo appena tornato a casa, portando con me la certificazione del sanitario consultato.
Voglio sottolineare che i rapporti con il commissariato Posillipo sono stati sempre corretti, cordiali ed improntati a rispetto reciproco; in particolare l'ispettore Di Perna, con il quale mi incontravo periodicamente per consegnare i certificati medici, ha mostrato sempre nei miei riguardi la massima comprensione, mentre un agente, addetto alle denunce, mi salutava sempre educatamente, essendo un assiduo lettore dei miei libri, di cui ne ha divorato più di venti.
I domiciliari sono durati poco meno di mille giorni e quotidianamente venivo controllato 2 anche 3 volte al giorno, come pure di notte, quando lo squillo del citofono interrompeva un sonno già agitato, che spesso non riprendeva fino all'alba, con conseguenze devastanti sulla mia già precaria salute. Per effettuare questi controlli serrati, dobbiamo ipotizzare un uso maldestro delle forze dell'ordine, che potevano essere più utilmente impiegate a reprimere una criminalità diffusa, che costituisce a Napoli un cancro ubiquitario? Lascio al lettore la risposta.
Io ripresi subito le mie attitudini intellettuali, riprendendo ogni fine settimana le visite guidate a chiese, monumenti e mostre, anche se, arrivati alle 11:30, cedevo il bastone di comando ad un mio amico: Geppino Lombardi, esperto quanto appassionato napoletanista e correvo in taxi verso casa. Come pure ripresi il cenacolo culturale, che si teneva ogni settimana nei saloni della mia villa con la partecipazione di illustri relatori, che venivano seguiti mediamente da una quarantina di ascoltatori tra amici ed amici degli amici.
E qui veniamo al punto dolente che voglio denunciare a voce alta e che grida vendetta anche a distanza di anni.
Un pomeriggio, verso le 18, un celebre giornalista de Il Mattino stava presentando il suo ultimo libro, irrompono nei saloni della mia villa una miriade di agenti, che chiedono a tutti i presenti , circa 50, i documenti di identità, accertandosi che tra i presenti vi erano 2 magistrati, un onorevole, un ex presidente del Napoli, 3 presidi, 5 avvocati, 4 ingegneri, mischiati a medici, noti imprenditori, e tante tante professoresse.
Andati via credevo che tutto fosse finito, viceversa, alle 19:30, terminata la riunione,mentre accompagnavo gli ospiti verso il cancello, mi accorgo della presenza di ben 4 volanti nella piazza con un nugolo di agenti, che volevano di nuovo visionare i documenti a tutti.
Mi accorgo che il controllo non è partito dal commissariato, ma dalla sede centrale della questura e chiedo di parlare con il responsabile di questa spedizione intimidatoria, al quale dichiaro perentoriamente: "Non fatevi più vedere, questa volta ho convinto il celebre giornalista de Il Mattino a non uscire con la notizia in prima pagina l'indomani e l'onorevole a non farne oggetto di un'interrogazione parlamentare, ma se l'episodio si dovesse ripetere mi scatenerò nella denuncia all'opinione pubblica."
Il colmo fu che di tutti gli intervenuti fu chiesto al casellario giudiziario la fedina penale e si scoprì che un professore di lettere, che non conoscevo e che era intervenuto alla riunione, avendo letto la notizia sulla rubrica de Il Mattino, nel 1990 aveva subito una condanna ad 8 mesi con la condizionale per abuso nell'utilizzo dei diritti d'autore, per cui venne considerato a tutti gli effetti un pregiudicato, personaggi che io non potevo incontrare; di conseguenza il magistrato di sorveglianza per quel semestre stabilì che non potevo godere dei 45 giorni di liberazione anticipata, non avendo osservato una condotta illibata. Incredibile ma vero, ho scontato 45 giorni in più di detenzione per le mie frequentazioni poco raccomandabili.
Abbiamo accennato al Tribunale di sorveglianza e continuiamo a parlare dell'argomento e della vergognosa attesa di circa 2 anni trascorsi prima che venisse accettata la mia richiesta di usufruire dell'affidamento al volontariato nei servizi sociali.
Appena tornato a casa presentai subito la domanda ed indicai tra le tante associazioni che ambivano alla mia collaborazione il centro anti usura, diretto dal famoso padre Rastrelli, con sede nel monastero della chiesa del Gesù nuovo e la struttura dell'Asl di Poggioreale, che si interessava al recupero dei tossicodipendenti.
Credevo di ottenere subito una risposta, invece il Tribunale di sorveglianza, dopo una defatigante istruttoria, fissò un'udienza dopo circa 8 mesi, la quale si concluse con un nulla di fatto, perché il giudice affermò laconicamente che avevano dato incarico ai carabinieri di visionare le strutture, per valutarne l'affidabilità e l'assenza di precedenti penali da parte dei responsabili, ma oberati da altri impegni non avevano potuto adempiere all'impegno, di controllare se il celebre sacerdote, da poco scomparso in odore di santità, fosse uno sfruttatore o il dirigente di una struttura sanitaria pubblica facesse parte di un clan della camorra.
Rinvio di 6 mesi dell'udienza, che coincise con uno sciopero dei penalisti, per cui fu fissata una nuova data dopo l'estate.
Alla seduta autunnale, quando venne il mio turno ed il collegio giudicante lesse la parola usura una delle componenti affermò: "Ma questo detenuto probabilmente non conosce neanche il significato della parola e poi curare i tossicodipendenti, assurdo, ci vorrebbe un medico".
Chiesi ed ottenni la parola per il contraddittorio, un diritto inalienabile, che nessuna autorità può impedire. " Gentili signore della giuria, se volete approfondire il termine usura non avete che da andare in rete e consultare il mio esaustivo saggio sull'argomento: "L'usura nelle tre religioni monoteiste" e per quel che riguarda la terapia dei tossicodipendenti vi informo che posseggo la laurea in medicina, ottenuta con il massimo dei voti, corroborata da 2 specializzazioni una di 5 anni ed una di 4 anni. Ho detto tutto".
Il collegio si guardò sbalordito e concluse: "Controlleremo se quello che ha detto è vero e ci riserviamo la decisione".
Dopo soli 5 mesi arrivò il verdetto che mi concedeva il passaggio al volontariato, che per me significava, a fronte di un pomeriggio da trascorrere tra le vittime dell'usura ed un altro tra i tossicodipendenti, potere, negli altri giorni uscire da casa alle 7 e ritirarmi alle 21. Un importante miglioramento fino a dicembre, quando scoccherà il fine pena.
Il racconto è finito, ma voglio ricordare che non ho mai finito di pensare ai detenuti, che grazie ad un mio ricorso, stilato personalmente senza assistenza legale, possono godere di cospicui vantaggi.
Per chi vuole approfondire l'argomento può leggere nell'appendice documentaria il mio articolo: Finalmente risarcita una truffa ai detenuti ed agli ex, con le foto dei quotidiani che hanno dato risalto al mio lavoro, sfociato in una sentenza della Cassazione di 7 pagine che si onora di portare il mio blasonato nome e cognome.
Continua.....
Caro prof,
RispondiEliminagrazie sempre per i suoi coinvolgenti racconti.
Un caro saluto
Luciana Serappo
RispondiEliminaQuesti racconti sono affascinanti!
La tua capacità di scrivere e raccontare, caro Achille, fa considerare quasi divertente un'esperienza di detenzione.
Certo sarebbe auspicabile per alcuni di noi, forse ne usciremmo migliori.
Infine ma non in ultimo le persone detenute e fotografate hanno l'aspetto di persone perbenissimo. Sia nella fisionomia sia nelle espressioni dei volti. Debbo testimoniare che spesso si incontrano in giro persone libere con caratteristiche somatiche e comportamenti più idonei a risiedere in un Istituto di reclusione che a circolare liberamente in societa.
Patrizia D'Amato
Grazie Achille,
RispondiEliminanon solo per la citazione della mia presenza in quella occasione ma anche per la tua ultima fatica. (Gemito).
Un abbraccio,
Aurelio De Rose
Caro Achille
RispondiEliminaforse ricorderai i molti pomeriggi passati a Rebibbia praticare nam myo ho renge kyo.
Antonello Riva, io , a volte con altri venivamo con tanta speranza.
Volevo dirti che Antonello non c'e più, da fine Maggio quando un grave episodio della sua malattia lo ha vinto, portandocelo via.
Sono contento di leggere che tutto è passato e tu stai bene
Maurizio.guidoboni@dbdg.it