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venerdì 31 ottobre 2014

Una monografia su Andrea Vaccaro



Da anni si sentiva la necessità di una monografia completa ed aggiornata su Andrea Vaccaro, uno dei più noti e prolifici pittori del Seicento napoletano e siamo certi che quella preparata da Achille della Ragione incontrerà, in egual misura l’interesse e l’attenzione di studiosi ed appassionati, antiquari e collezionisti, soprattutto grazie al poderoso corredo di circa 300 foto, la maggior parte a colori, che documentano il suo lungo percorso artistico, che lo portò ad essere uno degli artisti più richiesti, dalla committenza sia ecclesiastica che laica e come rammentava Raffaello Causa il più esportato in Spagna.
Il libro si divide in 10 capitoli, partendo da un esame della sua biografia e della sua fortuna artistica, proseguendo poi con il commento dei dipinti nelle chiese napoletane e del viceregno, dei quadri più importanti, delle immagini di santi e madonne, di soggetti biblici e mitologici, della produzione conservata all’estero, della grafica, per concludere con la trascrizione di tutti i documenti di pagamento e con una sterminata bibliografia, nella quale, con un asterisco, sono segnalate le voci più autorevoli da consultare per chi volesse approfondire lo studio del pittore.
Un libro che non potrà mancare nella biblioteca di chi si interessa al secolo d’oro e per i primi 50 lettori è previsto un vistoso sconto: 30 euro invece di 50 ed un libro dell’autore in omaggio del valore di 50 euro.

per ordinazioni
a.dellaragione@tin.it
081 7692364 oppure 329 3233706     Elvira Brudetti

lunedì 27 ottobre 2014

Una splendida pala d'altare di Cesare Fracanzano

tav. 1 -S. Ignazio di Antiochia e S. Bibiana - Gravina di Puglia, chiesa del Gesù


Una pala d’altare di grandi dimensioni, raffigurante Sant’Ignazio di Antiochia e santa Bibiana (tav. 1), già nella chiesa del Gesù a Gravina ed oggi conservata nella sala dei Paramenti della cittadina pugliese fu presentata e commentata ampiamente dalla Pasculli Ferrara alla mostra su Angelo e Francesco Solimena due culture a confronto, che si tenne tra Pagani e Nocera Inferiore nel 1990.   In precedenza Lucatuorto aveva identificato i documenti riguardanti la committenza dell’opera voluta da Magnifica Balsama Ioanna Lupi, che, nel suo testamento del 10 luglio 1645, istituiva erede dei suoi beni la erigenda chiesa del Gesù, la quale venne rapidamente costruita ed inaugurata il 9 settembre 1646, con il dipinto specificamente richiesto:”un quadro di S. Bibiana e S. Ignazio martire, ma sopra detto quadro ci haverà da essere il predetto nome di Gesù”. La Pasculli Ferrara evidenzia strette analogie con la Vergine dell’Apocalisse di Barletta(databile agli anni 1633 – 1639) sia nella figura dell’imponente S. Ignazio che richiama il San Nicola per lo stesso volto estatico, colto dal basso verso l’alto con gli occhi trasognati al cielo e il fitto panneggio bianco della dalmatica, sia nei putti che reggono il monogramma di Cristo, uguali a quelli intorno alla Vergine , con gli analoghi svolazzanti panneggi. Inoltre grappoli di luce delicatissimi nel merletto ai piedi di S. Ignazio ricordano quelli della tovaglia nel Miracolo della Porziucola sempre a Barletta, mentre la santa Bibiana rimanda alla Santa Caterina d’Alessandria del fratello Francesco, conservata a Roma presso la sede dell’Inps, nello scialle increspato di pieghe annodato al petto, nella foggia del calzare, nell’imponenza della figura, nel più solido pittoricismo. Tipico invece di Cesare, sigla costante che ritroviamo nei suoi quadri, è il giganteggiare delle mani in una sacra gestualità, mani intrecciate sul petto di Bibiana che indicano l’accettazione del martirio, ma le ritroviamo con lunghissime dita che premono sul petto in molti altri dipinti, dal San Giovanni Battista di Capodimonte alla S. Elena ed al San Francesco del Miracolo della Porziucola di Barletta, fino all’Immacolata della chiesa napoletana di San Ferdinando.
Noi concordiamo pienamente nell’attribuire a Cesare la paternità del dipinto, ma per completezza riportiamo il parere del De Vito, il quale ragiona diversamente: “ Il S. Ignazio e la S. Bibiana non supportano il nome di Cesare bensì quello di Francesco. Le figure dei due Santi sono monumentali è stato scritto; se però di monumentalità si vuol parlare occorre ricordare che Cesare rare volte ricorre a questo metro e comunque in maniera meno accentuata. L’espansione orizzontale del S. Ignazio  è sintomatica così i suoi caratteri fisiognomici, le rughe del volto sono profonde e incise, le mani grosse con dita noccolute e nervose, i panneggi pur ampi sono raccolti in pieghe sottili, il che è solo di Francesco . Il viso della santa è rotondo come quello della S. Caterina già Sciarra, i capelli sono raccolti con un ciuffo alla Domenichino, il manto della santa Bibiana è partito a metà alla stessa maniera. I putti che reggono il logo della Compagnia di Gesù sono diversi da quelli costantemente eguali di Cesare, biondi e ricciuti. Nei colori si ritrova, nel mantello del Santo, il giallo brunito già utilizzato nella figura centrale del Tiridate e nella Dalmatica un bianco abbagliante, quello stesso che aveva colpito De Dominici nel Transito ai Pellegrini”.

martedì 21 ottobre 2014

Amare considerazioni



L’Europa con il 5% della popolazione mondiale possiede il 50% del debito pubblico, nello stesso tempo gli Stati Uniti hanno metà dei titoli di Stato in possesso della Cina.  
Bastano queste semplici cifre a dimostrare  come in questi ultimi decenni l’Occidente ha vissuto ampiamente al di sopra delle proprie possibilità, a spese di altri popoli e soprattutto scaricando il peso del debito sulle prossime generazioni. Una situazione insostenibile perché non si può resistere a lungo consumando più di quanto si produce ed il crack dell’economia è imminente, sembra già di poter ascoltare, per chi ha l’udito più sensibile, le trombe di Gerico che annunciano severe l’avvento dell’Apocalisse. 
Soluzioni possibili; purtroppo è tardi, ma se si volesse fare un ultimo disperato tentativo sarebbe necessaria una rivoluzione culturale da far impallidire quella copernicana: i sindacati dovrebbero scioperare chiedendo animosamente di aumentare le ore di lavoro, diminuendo stipendi e salari, tagliando ferie e privilegi. 
Non si può sopravvivere in un villaggio globale cercando di vendere prodotti che altri producono meglio di noi e ad un prezzo inferiore. Amen.

venerdì 17 ottobre 2014

Tanzio da Varallo incontra Caravaggio

A Napoli a  Palazzo Zevallos dal 24 ottobre



La mostra vuole essere un omaggio a uno dei massimi artisti del Seicento italiano, al secolo Antonio D'Enrico (Alagna Valsesia, 1582 ca. - Borgosesia ? 1633), meglio noto come Tanzio da Varallo, riportando all'attenzione del pubblico e della critica il suo lavoro a Napoli e nei territori del viceregno. Attraverso la presentazione di circa trenta opere - una quindicina di Tanzio e le altre di artisti presenti nel viceregno ("La stretta cerchia" di Caravaggio, secondo la celebre definizione di Roberto Longhi) che, come Tanzio, si sono immediatamente confrontati con la pittura di Caravaggio: Battistello Caracciolo, il Cavalier D'Arpino, Louis Finson, Carlo Sellitto, Filippo Vitale, oltre allo stesso Michelangelo Merisi, rappresentato in mostra dallo splendido Martirio di sant'Orsola - la mostra mette in luce aspetti innovativi della figura dell'artista, frutto di anni di ricerche che hanno portato a nuove attribuzioni.
Dopo questa necessaria premessa cerchiamo di rispondere alla domanda di molti: ”Tanzio da Varallo, chi era costui?”.
Riproponiamo perciò quanto da noi scritto nel I° dei dieci volumi, usciti tra il 1997 ed il 2001, del Secolo d’oro della pittura napoletana: Tanzio da Varallo, provinciale nordico di cultura manieristica e di spirito controriformato, ingegno vivo ed ardente di passione, raggiunge già intorno al 1612 un così alto grado di severità iconica espressa in forma naturalistica da prefigurare ed anticipare lo Zurbaran più ispirato. Scoperta relativamente recente è la sua attività in Abruzzo, ma anche nella capitale vicereale dove gli sono state assegnate prima dal Longhi e poi dal Bologna le due grandi pale di Pescocostanzo e di Fara San Martino ed a Napoli i frammenti di Santa Restituta. Palpabile è la tangenza fra le sue opere prima del 1616 e vari dipinti napoletani specialmente di Filippo Vitale, sul quale un influsso notevole è consistito nell’accentuata asprezza del linguaggio e nella lucidità di espressione.
Cerchiamo ora di approfondire la conoscenza dell’artista. Antonio di Giovanni Errico, conosciuto come Tanzio da Varallo, è di etnia tedesca (ancora nell'Ottocento alcuni inventari di Varallo lo definiscono «pittore tedesco»). 
Uno dei più illustri esponenti della pittura del Seicento nel Nord d'Italia, artista di respiro europeo, noto come il Caravaggio della Alpi,nasce  a Riale d'Alagna (VC), nella famiglia D'Henricis, intorno al 1580. 
E' figlio d'arte Tanzio, infatti, molti membri della sua famiglia furono pittori, scultori, decoratori attivi in Valsesia fin dal 1500. 
Il padre Giovanni il Vecchio faceva il fabbro e disponeva di un consistente patrimonio; i suoi fratelli Melchiorre (proprio con Melchiorre Tanzio inizia a dipingere) e Giovanni furono riconosciuti protagonisti del barocco valse siano. 
La formazione artistica di Tanzio avviene, quindi, nella bottega di famiglia.
Nel 1600 viene definito "artifex", qualifica che attesta maturità di formazione, ed è proprio in quest'anno che, insieme al fratello Melchiorre (anch'egli pittore), parte da Varallo verso Roma, in occasione del Giubileo per ricevere l'indulgenza, e vi resta per circa quindici anni salvo un breve ritorno a Varallo intorno al 1611.
Nella città eterna la sua vita artistica subisce una svolta determinante. Conosce le opere di  Michelangelo Merisi da Caravaggio, senz'altro il  più autorevole pittore italiano del XVII secolo, e ne rimane affascinato. Ne apprende rapidamente la lezione del vero e della forza spirituale, aggiornando la sua formazione. 
A Roma Tanzio guadagna fama di pittore di valore, recandosi per alcuni soggiorni a Napoli ed in Abruzzo.
La presenza dell'artista in questi luoghi è attestata da alcune opere presenti ancora sul territorio. Tra il 1610 e il 1614 circa, realizza il  primo dei tre dipinti abruzzesi, si tratta di una pala d'altare, la "Circoncisione", attribuita con sicurezza al maestro valsesiano da Ferdinando Bologna nel 1953, collocata nella navata laterale destra nella chiesa di San Remigio, sede parrocchiale dalla fine del 1500 di Fara San Martino. L'opera gli venne commissionata poco dopo il 1610 molto probabilmente per celebrare la canonizzazione di  San Carlo Borromeo, raffigurato nel dipinto, avvenuta il primo novembre del 1610, anno in cui muore anche il Caravaggio. Il dipinto di Fara San Martino è sicuramente anteriore, per una maggiore adesione alla luce caravaggesca, alla pala di Pescocostanzo datata con certezza al 1614 (data della ricevuta di pagamento). A Pescocostanzo in quegli anni erano presenti già molti artisti e artigiani lombardi, altri come l'architetto Cosimo Fanzago sarebbero arrivati in seguito. Al Tanzio venne commissionata dal nobile Tommaso D'Amata e sua moglie Pompa De Matteis (ritratta nel dipinto). La pala, sull'altare ora di S. Caterina nella Chiesa Collegiata di Pescocostanzo, è la "Madonna dell'incendio sedato", opera che lo storico dell'arte Roberto Longhi aveva attribuito al Tanzio già dal 1943.
Intorno al 1970, in un piccolo locale già sede della Confraternita del Santissimo Sacramento, tra le vecchie suppellettili della chiesa parrocchiale di Colledimezzo, si rinviene un dipinto "Madonna con il Bambino e san Francesco", in una condizione di totale abbandono, ma prontamente restaurato negli anni successivi, riconosciuto come opera del Tanzio da uno studioso abruzzese e reso noto agli studi nel 1995. L'opera fu realizzata probabilmente dopo 1615 e presenta assonanze con le altre pale certamente autografe. E' il terzo dipinto che va ad aggiungersi ai due precedenti capolavori per formare il "trittico" abruzzese di Tanzio da Varallo. Al momento della commissione del dipinto forse il Tanzio era ancora a Pescocostanzo, località dove anche le genti dei paesi prossimi si recavano in pellegrinaggio alla Santa immagine della Madonna del Colle. La committenza potrebbe essere stata fatta da un componente della Congregazione del Santissimo Sacramento, persona comunque dotata di disponibilità economiche, che probabilmente volle farsi ritrarre.
La tela di Colledimezzo è assai prossima alla "Pentecoste" di Napoli, già nella sala capitolare di S. Restituta, ora in deposito presso il Museo di Capodimonte, di cui sono stati recuperati cinque frammenti usati per allargare tre tele settecentesche.
Tornato nei luoghi d'origine nel 1615, Tanzio inizia a collaborare con fervore al Sacro Monte di Varallo, eseguendo una serie di affreschi. Il fratello Giovanni invece si occupa delle sculture e decorano le cappelle con la Presentazione di Cristo a Pilato, Pilato che si lava le mani, Cristo presentato ad Erode (1624). La sua attività proseguirà poi tra Novara e Milano, per concludersi in Valsesia a Varallo dove muore nel 1635. Presso la Pinacoteca di Varallo un'intera sala è dedicata a Tanzio dove sono esposte diverse ed importanti opere realizzate fra il 1620 e il 1640.
                                 
Circoncisione - Faro di San Martino parrocchiale

Davide e Golia - Varallo museo civico
Madonna dell'incendio - Pescocostanzo parrocchiale

San Carlo Borromeo comunica gli appestati - Domodossola parrocchiale
         


lunedì 6 ottobre 2014

In attesa di una moschea

Soufiane Herrag
Sono un giovane marocchino, 30 anni, laureato, vivo e lavoro a Bruxelles da anni.
Mi è capitato di leggere in rete un libro: Napoletanità, arte, miti e riti a Napoli ed alcuni passi del capitolo “Napoli chioccia generosa” mi hanno emozionato a tal punto da contattare l’autore, il quale gentilmente mi ha invitato a   trascorrere una settimana a casa sua, per conoscere ed apprezzare la città.
“Napoli è stata sempre giudicata una città porosa, non tanto perché poggia su di uno strato di tufo, che possiede queste caratteristiche, quanto per l’innata capacità di amalgamare i vari popoli che nei millenni l’hanno conquistata, a partire dai Greci ai Romani, fino agli Spagnoli, agli Austriaci ed ai Francesi.
Negli ultimi decenni il fenomeno migratorio ha assunto un andamento pluridirezionale: da un lato i giovani migliori, laureati e diplomati, prendono tristemente la via del Nord e dell’estero, privando la città dell’energia vitale indispensabile per arrestare una decadenza ormai irreversibile e nello stesso tempo una marea di extracomunitari, in fuga da guerre e carestia, sceglie Napoli come meta di riscatto civile, sicura almeno di trovare il minimo per sopravvivere. E la città si dimostra impreparata rispetto al passato ad accogliere con un caloroso abbraccio questo “melting pot”, il quale diventa ogni giorno più pressante, rischiando di rompere gli argini come un fiume in piena.
Percorrendo Piazza Garibaldi o Piazza Mercato siamo sommersi dai suoni ma principalmente dagli odori di una città multietnica: kebab, couscous, pizze fritte e piede di porco, pesci marinati e trippa.”
Mi ha colpito però il mancato rispetto della libertà di culto per l’assenza di una moschea, più volte promessa dai politici e mai realizzata. Fino ad oggi bisogna radunarsi all’aperto in piazza Mercato ed osservare un migliaio di ragazzi stranieri riuniti  in uno dei punti più antichi della città, teatro dei principali episodi della sua storia, pregare, mentre tutt’attorno si svolge il solito caos quotidiano ha fatto affermare a più di un visitatore che Napoli è la città araba più accogliente dell’Occidente. Ma cosa si aspetta a realizzare un luogo chiuso per il culto, un centro culturale, un cimitero, che dovrebbe servire ad incrementare il processo di integrazione verso decine di migliaia di nostri fratelli di fede diversa.

Soufiane Herrag

Corriere del Mezzogiorno di martedì 7 ottobre 2014








mercoledì 1 ottobre 2014

Un pittore da rivalutare: Vito Brunetti

Vedute, ritratti e nudi femminili le sue specialità


Vito Brunetti con la moglie Donatina

Vito Brunetti (Napoli 1914 – 2001) si è avvicinato alla pittura da autodidatta, dopo aver coltivato varie forme d’interesse artistico, come l’amore per i balocchi di legno negli anni ‘50. Dalle sue fervide mani prendeva vita il classico burattino di Pinocchio, grazie a tre colori soltanto, il bianco, il verde e il rosso. Un regalo per il sorriso e la gioia dei bambini.
Il suo lavoro era un altro: addetto alle ambasciate italiane in giro per il mondo e questo girovagare gli aveva permesso di confrontarsi con culture e mentalità diverse, arricchendo la sua esperienza di vita da Parigi a Londra e infine a Roma. Fu proprio nella capitale francese dove trascorse ben sette anni che la sua passione per la pittura si sviluppò, fino a divenire quasi un secondo lavoro, in grado di soddisfare il desiderio e la richiesta di tanti turisti che volevano tornare a casa con un’immagine della ville lumière da ricordare.
Nascono cosi una serie di vedute degli angoli più famosi della città, dal lungo Senna alla Torre Eiffel, da Notre Dame al Quartiere latino (fig. 1 – 2 – 3 – 4), in particolare talune volte per qualche collezionista più raffinato, adoperava dei preziosi supporti d’argento (fig. 5). Diventa così uno specialista nei paesaggi e nelle atmosfere sfumate alla maniera degli Impressionisti, dedicando molta cura all’aspetto cromatico, che con grande sensibilità e notevole vivacità ha saputo rendere.
Ritornato a Napoli ritrarrà il cuore palpitante della città con i suoi vicoli brulicanti di folla festosa a tutte le ore del giorno (fig. 6 – 7 – 8) e fisserà la sua attenzione alle tradizioni popolari come questa movimentata Tarantella (fig. 9) che farà da copertina al terzo tomo di Napoletanità: arte, miti e riti a Napoli.
La natura morta non era il suo forte come dimostra questa pur precisa copia del celebre dipinto di Caravaggio (fig. 10) conservato all’Ambrosiana di Milano o questo Trionfo di frutta (fig. 11), che pur adorna la camera da pranzo di una nota famiglia napoletana. Egli amava la vita ed era un cultore della bellezza muliebre, che rappresentava gioiosamente, avendo cura di definire ogni dettaglio anatomico, non tanto del volto (fig. 12) quanto del corpo, sempre tornito ed appetibile, in pose voluttuose ed accattivanti (fig. 13 – 14 - 15).

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Talune volte si esprimeva su grandi superfici, come quando adornò il letto (fig. 16 – 17 – 18) a baldacchino di una importante villa napoletana, rappresentando l’abbondanza simboleggiata da un putto che reca tra le mani una cornucopia. (Casa mia, pag.10 – 11- Novembre 1997).
Terminiamo la nostra breve carrellata accennando alla ritrattistica nella quale è in grado di abbozzare con poche e rapide pennellate il carattere della persona raffigurata, di cui compie sempre in precedenza una introspezione psicologica (fig. 19). La nota di fondo della sua arte è l’attitudine a cogliere, quasi a sorprendere, i tratti distintivi di un volto; meglio ancora se dal volto esaminato egli riesce a percepire una traccia anche piccola che faccia da guida alla ricerca del carattere, nella sua analisi minuziosa e spietata.
Il suo capolavoro è senza dubbio Sorriso malizioso (fig. 20) ove rappresenta suo nipote Gian Filippo all’età di 10 anni, ripreso amorevolmente dal nonno Vito, che ha saputo cogliere in quel sorriso beffardo la freschezza e l’allegria dell’espressione, la forte personalità e la grande sicurezza.
Il carattere e la vivacità del bambino vengono sottolineati dalle labbra appena dischiuse, dal sorriso abbozzato, dall’occhio luminoso ed indagatore, dalla fronte ampia, appena increspata da un ciuffo di capelli birichino.
La camicia bianca è il candore del fanciullo che si affaccia fiducioso alla vita, ansioso di conoscenza, di felicità e di gioia.
La vasta produzione di Vito Brunetti, ancora poco nota, è presente presso numerose famiglie in diverse parti del mondo, oltre che a Napoli, Roma, Parigi e Londra dove ha soggiornato per lunghi anni.




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