Salvatore Striano |
Manzoni avrebbe esclamato: “Carneade chi era costui ?”. Il lettore più semplicemente: “ma Striano chi lo ha mai sentito ?”.
Come definire il personaggio: “un avanzo di galera”, sarebbe offensivo oltre che riduttivo.
Ma partiamo dal principio.
Salvatore Striano è nato a Napoli nel 1974. Durante un periodo di reclusione nel carcere di Rebibbia, ha frequentato corsi di recitazione, appassionandosi al teatro, soprattutto shakespeariano. Dopo essere uscito grazie all’indulto nel 2006, ha esordito nel cinema grazie al regista Matteo Garrone, che l’ha scritturato per il film Gomorra, tratto dal bestseller di Roberto Saviano. Dopo alcuni anni è ritornato in veste di attore a Rebibbia, dove ha interpretato il ruolo di Bruto nel film dei fratelli Taviani Cesare deve morire
Nel 2013 interpreta il ruolo di Vincenzo De Marchi nella fiction di Canale 5 diretto da Alexis Sweet Il clan dei camorristi.
Il 17 Ottobre dello stesso anno interviene al programma di approfondimento politico Servizio pubblico per portare la sua testimonianza sull’emergenza carceri, sulla rieducazione all’interno di esse e sul tema dell’indulto.
Salvatore Striano si è formato professionalmente a Roma, all’interno del carcere di Rebibbia. Dopo aver conosciuto la dura esperienza del carcere minorile, è stato infatti recluso per alcuni anni nel carcere romano, dove grazie ai laboratori condotti dal regista Fabio Cavalli, ha scoperto Shakespeare e il teatro. Di nuovo libero, con l’indulto del 2006, ha perciò intrapreso un’intensa attività di attore, dapprima in teatro, con lo stesso Cavalli, con Emanuela Giordano e con Umberto Orsini, che gli affida un ruolo di rilievo, ne La Tempesta di Shakespeare. L’esordio cinematografico è in Gomorra di Matteo Garrone, Gran Premio della giuria al 61 Festival di Cannes e Miglior Film Europeo dell’anno. A seguito del quale viene anche chiamato da Abel Ferrara (Napoli, Napoli, Napoli), Marco Risi (Fortapàsc), Stefano Incerti (Gorbaciof), e, più recentemente, Alessandro Piva (I milionari). Ma la sua vera consacrazione di attore è nel 2012, con l’interpretazione del personaggio di Bruto in Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani (Orso d’oro al Festival di Berlino 2012), per il quale è ritornato per diverse settimane a Rebibbia, negli stessi luoghi che lo avevano visto privato della libertà. Di recente è stato anche chiamato a interpretare alcune miniserie per la tv, tra cui Il clan dei camorristi per la regia di Alexis Sweet. Una sua intevista-confessione è contenuta nel documentario di Giovanna Taviani dedicato alla sua storia, il riscatto.
Per quel che riguarda il Giulio Cesare di Shakespeare rinvio al relativo capitolo del mio libro Favole di Rebibbia.
Salvatore Striano |
Rebibbia Uber Alles
Trionfa al festival di Berlino il film dei fratelli Taviani.
Il penitenziario del carcere di Rebibbia è da alcuni mesi al centro dell’attenzione dei mass media internazionali.
Prima la visita del Pontefice, il quale, in occasione delle festività natalizie, non si è dimenticato di andare a visitare le sue pecorelle smarrite; ieri il trionfo, dopo oltre venti anni, al prestigioso festival di Berlino del film documentario dei fratelli Taviani, interamente girato nel carcere romano, con i detenuti che mettono in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare.
Una pellicola che non vuole compiacere il gusto del pubblico, ma intende scuotere le nostre certezze morali e civili, puntando l’indice sul disastro del nostro sistema penitenziario, dove la dignità umana viene calpestata ogni giorno, trasformando esseri umani, pur colpevoli di efferati delitti, in automi disarticolati, in pallidi ectoplasmi, a volte in marionette impazzite.
Il pubblico applaude con entusiasmo, ma molti hanno le lacrime agli occhi, al pensiero che i bravissimi attori: Cosimo, Salvatore, Fabio, Giovanni, Antonio, Vincenzo e Gennaro non sono presenti, rinchiusi nella solitudine delle loro celle.
Le scene sono state girate all’interno del reparto di massima sicurezza, nelle celle, nei cortili angusti e claustrofobici che costituiscono l’universo desolante di persone, le quali a contatto con le parole immortali del grande genio, hanno conosciuto una nuova dimensione provocando dirompenti emozioni.
Il film parla di intrighi, tradimenti, morte, uomini d’onore, una terminologia familiare per chi vive nel braccio di massima sicurezza e per chi è condannato per omicidio, mafia, criminalità organizzata. Comincia a colori con il finale del “Giulio Cesare”, per proseguire poi con un livido bianco e nero.
L’energia della narrazione vive nello stridente contrasto tra i silenzi delle celle e la forza straripante della rappresentazione teatrale, con la struggente malinconia, alla fine dello spettacolo, del ritorno alla desolante realtà della reclusione.
Si tratta di un riconoscimento che, oltre a gettare di nuovo luce su un tema di scottante attualità, come la drammatica situazione in cui versa il nostro sistema carcerario, costituisce un plauso ai tanti volontari, che tentano con ogni mezzo anche attraverso l’arte ed il teatro, il recupero di tante vite difficili.
Il film è stato già visto in mezzo mondo, dalla Francia all’Inghilterra, dal Brasile all’Australia, fino addirittura alla Norvegia ed all’Iran e siamo certi che sarà accolto con interesse anche dal pubblico italiano.
Attualmente sta lavorando alla preparazione di un film Take Five per la regia di Guido Lombardi.
TAKE FIVE è il racconto di una rapina rocambolesca, messa in atto, con coraggio e incoscienza, da cinque “irregolari” del crimine. Un idraulico con il vizio del gioco indebitato con la mala (Carmine), che, chiamato, a riparare una perdita fognaria all’interno di una banca. si fa venire un’idea disonesta a pochi metri dal suo prezioso caveau. Un ricettatore con diversi anni di carcere alle spalle (Gaetano), che quell’idea raccoglie. Mettendo insieme una squadra, anzi, come si dice a Napoli, dov’è ambientata la storia, una “paranza”. C’è il fotografo di matrimoni (Sasà), che ha avuto un brutto infarto, ma prima era il miglior scassinatore della piazza; il giovane nipote di Gaetano (Ruocco), pugile dotato, ma squalificato a vita per aver rotto una sedia in testa a un arbitro. E non basta. Si aggiunge pure lo Sciomèn, il più “leggendario” tra i gangster cittadini, sia pure di un altro decennio, appena uscito da una lunga reclusione, oggi fragile e depresso. I cinque non hanno granché in comune. Se non il desiderio, meglio la necessità, di riscattare, o semplicemente salvare, la propria esistenza, con una potente iniezione di denaro. Ma i soldi rendono fragile qualsiasi alleanza. I cinque saranno uniti e solidali fino a quando Gaetano, l’uomo che li ha chiamati e di cui tutti si fidano, scompare, e con lui il bottino milionario. Nell'incertezza di quello che è realmente accaduto, e nella speranza di veder ricomparire l’amico, i quattro banditi rimasti attendono inermi nella loro tana. Ma il tempo mette a dura prova i loro nervi. Nascono incomprensioni, si disfano alleanze. Compare anche una minaccia che nessuno sembrava aver previsto: ‘o Jannone, il potente boss cittadino sa della rapina e vuole la sua parte di un bottino che ancora non esiste...
In chiusura vorrei accennare al mio incontro con Striano avvenuto nella biblioteca del carcere di Rebibbia nel corso di una serie di incontri con l’autore organizzato dal laboratorio di scrittura creativa diretto dalla professoressa Luciana Scarcia.
Egli dichiarò di essere stato contattato da editori importanti per scrivere… la sua vita, ma di aver rifiutato perché sarebbe stata scritta da un gosth writer. Che la sua attività di attore gli permetteva a stento di sopravvivere e che riteneva più disonesti gli imprenditori che tenevano i dipendenti al nero che i delinquenti che si presentavano per chiedere il pizzo.
Ed infine che nel rapporto credito debito riteneva di aver retribuito la società per i reati commessi.
una scena del film dei fratelli Taviani: Cesare deve morire |
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