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venerdì 23 marzo 2012

Una tela del Solimena su S. Chiara da Montefalco

28/11/2008



S.Chiara da Montefalco nasce da Damiano e Iacopa in una zona vicina al "Castellare" in prossimità della chiesa di San Giovanni Battista (concessa nel 1275dal Comune agli agostiniani e da questi ricostruita e dedicata a sant’Agostino a Montefalco, una piccola cittadina umbra che domina la valle spoletana. Chiara ha una sorella e un fratello maggiori, Giovanna e Francesco. Giovanna fonda, con l'aiuto economico del padre, il reclusorio di san Leonardo, di cui diventa la prima rettrice; le donne lì si ritirano vivendo rinchiuse e pregando, ispirandosi alla regola (ancora non pienamente riconosciuta al tempo) di Francesco d'Assisi.
La piccola Chiara resta segnata dal modello che la famiglia le propone e, all'età di sei anni, entra nel "reclusorio" di Giovanna intitolato a San Leonardo, dove trascorre i successivi sette anni.
Cresciuta la comunità, Giovanna e le donne del reclusorio si trasferiscono sul Colle di Santa Caterina del Bottaccio, non lontano dal luogo più antico, in un edificio ancora incompleto. Ma il nuovo insediamento, che sottintende la costruzione di un vero e proprio monastero, non viene accolto pacificamente in città. Affiancandosi ad altri tre monasteri più antichi, uno francescano, uno agostiniano e un altro benedettino, il reclusorio di Giovanna viene ritenuto dannoso per Montefalco, perché si va ad aggiungere alle altre comunità che già vivevano di elemosina, e quindi si tenta di convincere le donne a desistere dai loro progetti. Nel 1290 Giovanna chiede al Vescovo di Spoleto di facilitare l'istituzionalizzazione della comunità, in seguito a cui verrà introdotta la regola di sant'Agostino, la quale, al contrario di quella francescana, era pienamente riconosciuta. Con il nuovo monastero della Santa Croce e di Santa Caterina d'Alessandria, vengono a fondersi i due momenti della storia di queste donne: quello della vocazione eremitica, rappresentato dall'esperienza del reclusorio, con l'altro della regola monastica; Giovanna ne diventa badessa, rimanendo l'insediamento sotto la diretta giurisdizione del Vescovo.
Chiara cresce seguendo le sorti di questo luogo; soltanto in occasione della grande carestia del 1283, insieme a un'altra compagna, esce dal reclusorio per la questua, ma dopo otto uscite le viene impedito di continuare; da questo momento, fino alla morte, rimane isolata in clausura.
Nell’antica chiesa di S. Maria Egiziaca a Forcella nel cuore della città di Napoli si trovano due tele del Solimena, eseguite nel 1696, la prima raffigurante San Gaetano e San Francesco, posta nella 1° cappella a destra, la seconda raffigurante la Vergine, S. Chiara di Montefalco e S. Angelo carmelitano nella terza a sinistra. 
La seconda ci fornisce l’unica immagine conosciuta di S. Chiara di Montefalco reperibile in una chiesa napoletana.
Entrambe versano in pessimo stato di conservazione, nonostante l’importanza che rivestono nel percorso artistico dell’artista, il quale negli ultimi dieci anni del secolo  accentua la sua attenzione nei riguardi della pittura tenebrosa di Mattia Preti,restituendo alle immagini maggiore saldezza e plasticità; nello stesso tempo subisce l’influsso del classicismo del Maratta. I suoi modi pittorici vengono marcati da un più sereno equilibrio, senza perdere di vista quelle aperture di aereo luminismo ereditate dal Giordano. La formulazione di un suo linguaggio originale con relative declinazioni sotto l’influsso della tavolozza scura del Preti diede luogo a quella definizione, di carattere elogiativo, di «Cavalier calabrese nobilitato».
Nelle tele prima menzionate, il Solimena dà prova di eleganza formale ed ampiezza monumentale di vasto respiro, che già precorre il linguaggio del nuovo secolo, pur senza trascurare l’aspetto cromatico molto ricercato nella scelta tonale dai giallo bruni ai marroni cupi. Il mutamento di gusto ed il recupero della lezione tenebrista del Preti trovarono in parte giustificazione anche nelle tumultuose vicende storiche di quegli anni, nei quali il regno di Napoli fu impegnato a prestare aiuto alle truppe spagnole nella guerra contro Luigi XIV. Sulle decisioni stilistiche del pittore importanza non trascurabile ebbe pure il parere del cardinale Orsini, il futuro Benedetto XIII.
L’alto prelato, amico da sempre e protettore non solo di Francesco, ma anche del padre Angelo, contrastava le scelte pittoriche del suo pupillo, spesso sollecito al richiamo del suo latente naturalismo o alla potente sirena del giordanismo e della famigerata «libertà di coscienza». Viceversa il cardinale esortava l’artista ad aderire ai più tranquilli equilibri propugnati dal movimento letterario dell’Arcadia, che rifletteva gli orientamenti sempre più decisamente cartesiani di alcuni qualificati settori dell’ambiente culturale napoletano di fine secolo, traducendosi in pittura in suggestioni classicistiche sugli esempi di Carlo Maratta.

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