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venerdì 23 marzo 2012

Africa, un continente in agonia

30/11/2008



La popolazione dell’Africa esplode, ricordo a scuola, studiando geografia, si apprendeva che il continente nero aveva 200 milioni di abitanti, l’Europa 600; oggi a mezzo secolo di distanza, noi siamo sempre gli stessi, mentre loro sono di gran lunga più di un miliardo.
Rappresentano non più un continente bensì un pianeta in drammatica collisione con la modernità. Hanno piaghe del passato: fame, siccità, ignoranza e flagelli del presente:aids dilagante, dittatori sanguinari e la classe politica più corrotta del mondo.
Non hanno cognizione del passato, speranza nel futuro, scappano da un insopportabile presente.
Una cauta proiezione demografica prevede che nel 2005, poco più che domani, la popolazione rivierasca che abiterà le coste del Mediterraneo aumenterà di 150 milioni di unità: 10 nella parte settentrionale, grazie unicamente ai flussi migratori e 140 nella parte meridionale. Una visione da incubo che riguarderà, non i nostri lontani discendenti, ma noi stessi ed i nostri figli.
L’esodo disperato parte dal centro dell’Africa, dai paesi più martoriati, dove avanza il deserto e dove le lotte tribali hanno raggiunto una ferocia inaudita.
Si cerca di raggiungere, a marce forzate, che a volte durano mesi, le coste libiche: i porti di Sfax, di Zuwara, di Kerkenna e poi si aspetta di potersi imbarcare su gommoni o zattere di fortuna, pagando il passaggio a peso d’oro a negrieri avidi e privi di qualsiasi  scrupolo.
Il viaggio dura un tempo interminabile, che può in ogni momento finire all’improvviso, se il mare decide di infuriarsi con onde tumultuose ed omicide. Non esistono statistiche di quanti concludono il loro viaggio miseramente in pasto ai pesci, sicuramente numerose migliaia ogni anno.
Si sale a bordo portando con sé pane e frutta, scatolette di sardine e bottiglie di acqua Al Zahra e con tanta paura e speranza si comincia la traversata.
Gli uomini si liberano sulla spiaggia dei documenti e di qualunque cosa possa ricordare il loro passato, conservando solo gli indirizzi ed i numeri telefonici che auspicano possano aiutarli a sopravvivere in Europa.
Le donne invece cercano di difendere la memoria dei luoghi e degli affetti che si lasciano alle spalle, cercando di far varcare le onde a foto, oggettini, un sacchetto di terra, un piccolo corano. A volte nascondono gelosamente sotto le larghe vesti un album intero di fotografie, che scandisce il loro passato, ogni immagine rappresenta un pezzo di vita, un amore, un dolore, un lutto, che non vogliono, non possono dimenticare, a differenza dei loro mariti, figli, padri ansiosi di rinascere a nuova vita.
Alcune ragazze acculturate portano con sé il diario della loro breve esistenza, le più anziane collanine, piccoli monili, fazzoletti colorati, oggetti apparentemente insignificanti, ma carichi di malinconia e di mistero.
Per chi, fortunato, toccherà vivo la sponda, è in attesa un mondo ostile, non certo il paradiso terrestre dei loro sogni. Snervanti permanenze nei campi di accoglienza e poi alla ventura in cerca di un qualsiasi lavoro per sopravvivere, sfidando razzismo ed incomprensioni. Sarà un cammino ripido e tutto in salita, ma per chi lascia alle sue spalle l’inferno, qualsiasi posto della Terra rappresenta, se non il paradiso agognato, almeno un ben più che tollerabile purgatorio.

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