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martedì 17 settembre 2024

Castel dell'Ovo Castrum Lucullanum

 

Castel dell'Ovo 

Il Castel dell'Ovo (in latino Castrum Ovi) è il castello più antico della città di Napoli ed è uno degli elementi che spiccano maggiormente nel celebre panorama del golfo. Si trova tra i quartieri di San Ferdinando e Chiaia, di fronte a via Partenope.

Un'antica leggenda vuole che il suo nome derivi dall'aver il poeta latino Virgilio nascosto nelle segrete dell'edificio un uovo magico che aveva il potere di mantenere in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe però provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli. Durante il XIV secolo, al tempo di Giovanna I, il castello subì ingenti danni a causa del crollo parziale dell'arco sul quale è poggiato e, per evitare che tra la popolazione si diffondesse il panico per le presunte future catastrofi che avrebbero colpito la città, la regina dovette giurare di aver sostituito l'uovo.

veduta del castello

Come racconta Bartolomeo Caracciolo detto Carafa (1300-1362) al cap. XVII delle sue ''Chroniche de la inclyta cità de Napole etc.'' - una storia di Napoli che fu in un primo tempo erroneamente attribuita a Giovanni Villani in quanto ne riportava alcuni brani, in realtà Virgilio, divenuto amico dell’allora ''magister civium'' (‘sindaco’) della città, un nipote dell’imperatore Ottaviano Augusto di nome Marcello, era stato da questi ingaggiato come suo consigliere per i lavori di bonifica che urgevano alla città, agglomerato urbano allora molto infetto perché mancante di chiaviche e oppresso da zone paludose, quindi infestato da roditori e insetti apportatori di pestilenze.

Virgilio, buon conoscitore della materia perché istruito in ciò soprattutto dagli insegnamenti del padre, il quale era stato proprietario terriero, agricoltore, apicultore e allevatore, indirizzò e guidò vasti e molteplici lavori di bonifica, anche se, come ricorda l’ubicazione della sua tomba, fu ricordato soprattutto per aver promosso lo scavo originario (o l’allargamento) della lunga galleria sotterranea che portava da Mergellina verso Bagnoli e che evitava ai viaggiatori sia il faticoso scavalcamento della collina di Posillipo sia in alternativa la lunga deviazione per utilizzare l’altro passaggio sotterraneo, quello di Seiano, per raggiungere il quale bisognava però percorrere tutta la costiera di Posillipo.

Poiché tutti quei lavori ebbero grande e straordinario successo, essendosi eliminati così tanti disagi che avevano da secoli reso molto più difficile la vita civile dei napoletani, questi incominciarono appunto a considerare Virgilio una specie di mago, a ciò forse anche indotti dall’appartenere la famiglia di sua madre alla gens Magia. Ma questa diceria dell’uovo nel castello venne fuori in verità non prima del Basso Medioevo, probabilmente inventata per spiegare in una maniera fantastica come il Castrum Lucullianum si fosse guadagnato quel nome popolare di ‘castello dell’ovo’, nome che già si legge nei documenti del secolo tredicesimo relativi al regno di Carlo I d’Angiò e dovuto alla sua forma appunto ovulare, forma che gli era stata data da Ruggiero il Normanno nel secolo precedente quando questo re lo aveva ricostruito sulle rovine preesistenti. Il predetto Carafa riportò quella leggenda con dovizia di particolari e unitamente a diverse altre che riguardavano Virgilio (Era in nel tempo delo dicto Virgilio uno Castello edificato dentro mare sopra uno scoglio come per fino mò; el quale se chiamava ‘lo Castello Marino’ ouero ‘di mare’… Ib. Cap. XXXI).

Vedi a tal proposito Angelo Antonio Scotto (Syllabus Membranorum ad Regiae Siclae Archivum pertinentium. Vol. I, pp. 35-36. Napoli, 1824), il quale, citando il doc. n. 4 del Fascicolo VII, alla nota 2 scrive: … Immo temporis progressu factum est, ut ab OVI figura (nam deridicula est Villani Iohannis fabella Lib. II. cap. 3o.) CASTRUM OVI ipsum Neapolitani nuncuparint, quod et adhuc auditur. Vedi inoltre Mariano de Laurentiis (Antiquitates Campaniae Felicis a Mariano de Laurentiis elucubratae. Pars altera, pp. 146-150. Napoli, 1826), il quale scrive: Gulielmus autem I. Malus nomine arcem Normandicam ibi aedificavit anno MCLXX; hinc ex ea tempestate Ovi Castrum ab insulae rotunditate audiit. Iam ante insula Maior, et Salvatoris insula per patrios auctores fuit compellata, ut inter alios probat Claritus loco ante citato pluribus scriptorum Medii Ævi auctoritatibus. Ma ufficialmente era detto Castrum Salvatóris ad Mare…

La curiosità fu che gli spagnoli del Gran Capitán Gonzalo Fernández de Córdoba che nel 1503 conquistarono il Regno di Napoli, sentendo chiamare il castello ‘Castel dell’Ovo’, capivano, a causa della quasi uguale pronuncia, Castillo del Lobo (‘Castello del Lupo’) e così per un paio di secoli continuarono pertanto a chiamarlo in Spagna e in Fiandra (… Castel del Ovo: a que corruto o nome, çhaman Castel del Lobo. In João de Castro, Discurso da vida do sempre bem vindo et apparecido Rey Dom Sebastiam etc. p. 4 verso. Parigi, 1602.  

Alcuni resti della villa di Lucullo
 al Monte Echia

La Villa di Licinio Lucullo era una villa romana edificata nel I secolo a.C. ed appartenente al ricchissimo Lucio Licinio Lucullo. 

L'estensione della villa andava dall'isolotto di Megaride fino al monte Echia sul lato sud e, molto probabilmente, stando agli ultimi rinvenimenti archeologici, sul lato sud-est anche fino al circondario del Maschio Angioino, nei pressi di piazza Municipio.

La villa era dotata di laghetti di pesci e di moli che si protendevano sul mare, di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l'epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto. La villa divenne così celebre per i suoi banchetti, tanto che ancora oggi esiste un aggettivo in lingua italiana "luculliano", che sta ad indicare un pasto particolarmente abbondante e delizioso.

Scorcio della "sala delle colonne"
del castel dell'Ovo

Questa architettura antica, data la sua enorme dimensione, è visibile in diversi punti della città di Napoli. Il nucleo più ampio e forse anche più rilevante è quello posto nei sotterranei del castel dell'Ovo, mentre altre tracce della struttura sono visibili sulla collina di Pizzofalcone e molte di esse nei pressi di piazza Municipio, grazie agli ultimi ritrovamenti.

Nel sottosuolo del castel dell'Ovo, vi è la cosiddetta "sala delle colonne", ovvero un antico ambiente della fortezza risalente appunto all'epoca in cui sorgeva sull'isolotto la villa romana di Lucullo. Il nome della sala deriva proprio dalle colonne romane rimaste in piedi.


 scavi di piazza Municipio

Nel corso del tempo la villa ha vissuto comunque rimaneggiamenti che ne hanno fatto perdere sostanzialmente l'antico aspetto sia per mano dell'uomo, che più volte ne ha cambiato la destinazione d'uso modificando tutta l'architettura, sia per le vicissitudini militari susseguitesi nel corso dei secoli e, infine, sia per i vari terremoti che hanno modificato drasticamente la morfologia di quell'area.

Alla morte di Lucullo la villa passa all'imperatore romano, perdendo così di rilevanza, mentre con Valentiniano III, verrà trasformata in una fortezza. Da allora chiamato castellum Lucullanum, questo stato imperiale fu il luogo dell'esilio di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore romano d'Occidente.

Durante il medioevo i monaci bizantini prendono il possesso della villa-fortezza, facendola diventare un monastero. Le sale che edificarono furono fatte sui resti della villa romana, infatti proprio nella sala delle colonne del castel dell'Ovo, costituita da quattro navate con delle volte ad arco rialzato, sono presenti numerose colonne romane che sostengono la struttura. Altre sale sono state destinate poi negli anni successivi a refettori, a luoghi di scrittura, dove venivano trascritti i libri, o ancora a cimiteri per i monaci.

Ulteriori perdite di tracce della villa avvennero alla fine del X secolo, quando il monastero fu distrutto dagli stessi napoletani per paura che potesse essere utilizzato dai Saraceni come avamposto militare. Dopo questo evento, il castello fu ricostruito dai normanni così come lo vediamo oggi, pur conservando nei sotterranei, non aperti al pubblico, ancora alcuni resti dell'abitazione di Lucullo.

Oltre al castel dell'Ovo, altri resti della villa sono ammirabili nella collina di Pizzofalcone, dove nell'VIII-IX secolo a.C. era stato fondato il primo nucleo della città e nei recenti scavi rinvenuti nei pressi di piazza Municipio.

Vista dal mare


Antichità

Il castello sorge sull'isolotto di tufo di Megaride (greco: Megaris), propaggine naturale del monte Echia, che era unito alla terraferma da un sottile istmo di roccia. Questo è il luogo dove venne fondata Partenope nell'VIII secolo a.C., per mano cumana.

Nel I secolo a.C. Lucio Licinio Lucullo acquisì nella zona un fondo assai vasto (che secondo alcune ipotesi andava da Pizzofalcone fino a Pozzuoli) e sull'isola costruì una splendida villa, Villa di Licinio Lucullo, che era dotata di una ricchissima biblioteca, di allevamenti di murene e di alberi di pesco importati dalla Persia, che per l'epoca erano una novità assieme ai ciliegi che il generale aveva fatto arrivare da Cerasunto. La memoria di questa proprietà perdurò nel nome di Castrum Lucullanum che il sito mantenne fino all'età tardoromana.

In tempi più oscuri per l'Impero - metà del V secolo - la villa venne fortificata da Valentiniano III e le toccò la sorte di ospitare il deposto ultimo Imperatore di Roma, Romolo Augusto, nel 476.

Successivamente alla morte di Romolo Augusto, sull'isolotto di Megaride e su monte Echia, già alla fine del V secolo, si insediarono monaci basiliani chiamati dalla Pannonia da una matrona Barbara con le reliquie dell'abate Severino. Allocati inizialmente in celle sparse (dette "romitori basiliani"), i monaci adottarono nel VII secolo la regola benedettina e crearono un importante scriptorium (avendo probabilmente a disposizione anche quanto restava della biblioteca luculliana).

Il Medioevo: il Ducato di Napoli, i re normanni, svevi e angioini


Interno del castello 


Nell'872, sull'isolotto al tempo denominato di San Salvatore i Saraceni imprigionano il vescovo Atanasio di Napoli, ma lo sforzo congiunto delle flotte del Ducato di Napoli e della Repubblica di Amalfi permette di liberare il vescovo e scacciare i musulmani Il complesso conventuale venne però raso al suolo all'inizio del X secolo dai duchi di Napoli, per evitare che vi si fortificassero di nuovo i Saraceni usandolo come base per l'invasione della città, mentre i monaci si ritirarono a Pizzofalcone. In un documento del 1128 nel sito viene nuovamente citata una fortificazione, denominata Arx Sancti Salvatoris dalla chiesa di San Pietro che vi avevano costruito i monaci. Testimone dell'insediamento dei monaci basiliani è proprio quanto resta di questo luogo di culto, fondato dagli stessi monaci e le cui prime notizie risalgono al 1324. L'unico elemento architettonico di rilievo rimasto è l'ingresso preceduto dai grandi archi del loggiato.

Ruggiero il Normanno, conquistando Napoli nel 1140 costruì il castello che venne portato a termine dall'architetto Buono. L'uso abitativo del castello tuttavia veniva sfruttato solo in poche occasioni dato che, con il completamento del Castel Capuano, furono spostate lì tutte le direttrici di sviluppo e di commercio verso terra. Con i Normanni, iniziò un programma di fortificazione sistematica del sito, che ebbe nella torre Normandia il suo primo baluardo, ed era quella su cui sventolavano le bandiere.

Con il passaggio del regno agli Svevi attraverso Costanza d'Altavilla, castel dell'Ovo viene ulteriormente fortificato nel 1222 da Federico II, che fa costruire altre torri - torre di Colleville, torre Maestra e torre di Mezzo. In quegli anni, il castello divenne una residenza e anche prigione di stato.

Il re Carlo I d'Angiò si insediò a Castel Nuovo (Maschio Angioino). Mantenne tuttavia a castel dell'Ovo - che proprio in questo periodo comincia ad essere denominato chateau de l'Oeuf o castrum Ovi incantati - i beni da custodire nel luogo meglio fortificato: ne fece quindi la residenza della famiglia, apportandovi allo scopo numerosi restauri e modifiche, e vi mantenne il tesoro reale. In questo periodo, in quanto prigione di stato, nel castello vi fu rinchiuso Corradino di Svevia prima di essere decapitato nella piazza del Mercato, e i figli di Manfredi e della regina Elena Ducas.

Dopo un evento sismico che nel 1370 aveva fatto crollare l'arco naturale che costituiva l'istmo, la regina Giovanna lo fece ricostruire in muratura, restaurando anche gli edifici normanni. Dopo avere abitato il castello come sovrana, la regina qui venne imprigionata dall'infedele nipote Carlo di Durazzo, prima di finire in esilio a Muro Lucano.

Gli Aragonesi, i viceré, i Borbone

Romitorio Basiliano

Alfonso V d'Aragona, iniziatore della dominazione aragonese a Napoli (1442 – 1503), apportò al castello ulteriori ristrutturazioni, arricchendo il palazzo reale, ripristinando il molo, potenziando le strutture difensive e abbassando le torri.

Successogli al trono il figlio Ferrante I, ricevuti saccheggiamenti dalle milizie francesi, egli per riappropriarsi del castello dovette bombardarlo con l'artiglieria.

Torre dei Normanni

Il castello fu ulteriormente danneggiato dai francesi di Luigi XII e dagli spagnoli di Gonzalo Fernández de Córdoba, che spodestarono per conto di Ferdinando II di Aragona, re di Spagna, l'ultimo re aragonese di Napoli. Nel 1503 l'assedio di Ferdinando il Cattolico demolì definitivamente quanto restava delle torri. Il castello fu allora nuovamente e massicciamente ristrutturato, assumendo la forma che oggi vediamo. Mutati i sistemi di armamento - dalle armi da lancio e da getto alle bombarde - furono ricostruite le torri ottagonali, ispessite le mura, e le strutture difensive furono orientate verso terra, e non più verso il mare. Sconfitti i francesi per due volte, a Cerignola e sul Garigliano, avvenne la completa conquista dell'intero Regno di Napoli in favore della Spagna.

Durante il regno dei Viceré spagnoli e successivamente dei Borbone il castello fu fortificato ancor più con batterie e due ponti levatoi. La struttura perse completamente la funzione di residenza reale e dal XVIII secolo anche il titolo di "fabbrica reale", e venne adibito ad accantonamento ed avamposto militare - dal quale gli spagnoli bombardarono la città durante i moti di Masaniello - e a prigione, dove fu recluso fra gli altri il filosofo Tommaso Campanella prima di essere condannato a morte, e più tardi alcuni giacobini, carbonari e liberali fra cui Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Francesco De Sanctis.

Dall'Unità d'Italia a oggi

Durante il periodo del cosiddetto "Risanamento", che cambiò il volto di Napoli dopo l'Unità d'Italia, un progetto elaborato dall'Associazione degli scienziati letterati e artisti nel 1871 prevedeva l'abbattimento del castello per far posto ad un nuovo rione. Nel dopoguerra alcune famiglie della marina militare andarono ad abitare lì, finendo poi di essere sfrattate nel 1980 per il risanamento del castello e per farlo diventare un luogo di cultura per Napoli.

Oggi è annesso allo storico rione di Santa Lucia ed è visitabile. Nelle grandi sale si svolgono mostre, convegni e manifestazioni. Alla sua base sorge il porticciolo turistico del "Borgo Marinari", animato da ristoranti e bar, sede storica di alcuni tra i più prestigiosi circoli nautici napoletani.

La leggenda dell’uovo di Castel dell’Ovo

Ulisse e il canto delle sirene

La leggenda racconta che tanto tempo fa, nel mare di Napoli, vivevano delle sirene (metà donne e metà uccello) e tra queste vi era la sirena Partenope.

La sirena Partenope era una delle tre sorelle che, insieme a Ligia e Leucosia, tentarono con il loro canto melodioso di incantare e far naufragare Ulisse che, scaltramente, per resistere, si fece legare all’albero maestro della nave. Le tre sirene, prese dallo sconforto per il fallimento, si lasciarono, per così dire, andare alla deriva. La leggenda narra che Partenope rimase impigliata tra gli scogli di Megaride, e lì, prima di morire ed essere sepolta, depose un uovo.

Un giorno, il grande poeta latino Publio Virgilio Marone, da tutti considerato anche grande mago e taumaturgo, raccolse l’uovo della sirena in prossimità dell’isolotto di Megaride. Virgilio, credendo che l’uovo raccolto fosse veramente magico e incantato, lo sistemò in una cameretta nei sotterranei di Castel Marino, mettendolo in una caraffa di vetro piena d’acqua protetta da una gabbia di ferro, ed appesa a una pesante trave di quercia. Per questa ragione il Castello fu poi chiamato dell’Ovo.

Secondo la leggenda, se l’uovo fosse stato ritrovato o se si fosse rotto, tutto il castello sarebbe sprofondato in mare ed una serie di sventure avrebbe colpito la città di Napoli.

Fino ad oggi nessuno ha ancora rinvenuto l’uovo e quindi, a tutt’ora, la leggenda tiene legati il destino dell’uovo unitamente a quello del Castello e dell’intera città di Napoli.

La leggenda è di origine medioevale e risulta fosse già in circolazione dal 300 d.C.

La collocazione nelle segrete dell’allora “Castel Marino” di un uovo magico equivaleva a mettere al sicuro e nascondere l’anima della città; dall’integrità di quest’uovo custodito in una caraffa di vetro, a sua volta racchiusa in una gabbia metallica, sarebbe dipeso il destino del popolo partenopeo.

La stanza in cui si trova quest’uovo, secondo altre fonti, si identifica con lo stesso ipogeo nel quale dovrebbe essere sepolta la sirena Partenope.

Nel mondo dell’esoterismo con il termine “uovo” (o meglio nel simbolo dell’uovo filosofico) ci si riferisce all’elemento alchemico dell’Athanor, piccolo contenitore di metallo o di un particolare vetro, utilizzato per la lenta trasmutazione degli elementi primari in metallo prezioso, ovvero in oro. Gli esperimenti esoterici e magici avvenivano nel segreto di alcuni monasteri e anche sull’isolotto di Megaride si ha notizia della presenza di monaci alchimisti.

La verità sulla reale identità dell’uovo è però andata perduta: le pergamene su cui erano annotati gli studi alchemici di Virgilio furono rubate dalla sua tomba da un medico inglese, durante l’assedio di Ruggiero il Normanno. E da allora non se ne ha più notizia.

La leggenda e il legame tra Virgilio e Napoli

Publius Vergilius Maro

A Napoli, anche grazie a questa leggenda, la figura di Virgilio è nota e tramandata soprattutto come immagine di mago e taumaturgo, oltre che di poeta (forse per aver aderito al neopitagorismo, corrente filosofica e magica molto diffusa in tutta la Magna Grecia, o per la passione per la religione e la divinazione). È quasi riconosciuto come un nume tutelare, protettore della città con la sua aura magica, e per questo addirittura considerato come patrono di Napoli prima di San Gennaro.

Secondo la tradizione partenopea, in tutto il territorio che va dai Campi Flegrei a Napoli ci sono i segni del suo intervento prodigioso, come la costruzione dei bagni termali di Baia e Pozzuoli, la prodigiosa perforazione della Crypta Neapolitana, realizzata con l’aiuto di una schiera di demoni, e il prosciugamento di paludi insalubri che portavano la peste. Si narra anche che incantò le acque sorgive della spiaggia platamonia, dandogli la potenza per guarire ogni malattia.

Gli sono stati attribuiti anche una serie di atti magici, come la creazione di una mosca e una sanguisuga d’oro capaci di tenere lontani i loro fastidiosi consimili naturali che infestavano Napoli, oppure la creazione di un cavallo in metallo, con la virtù di sanare quelli veri, che assurse a simbolo nelle insegne cittadine.Ai pescatori della città fece ottenere ricchissima pesca grazie ad un piccolo pesce scolpito in una pietra.

La mitizzazione della sua vita gli valse l’appellativo di parthenias, “vergine”, e i suoi libri si trasformarono in fonti divinatorie, le cosiddette sortes virgilianae. Le sue opere, piuttosto che essere considerate come pagane, vennero tramandate e interpretate cristianamente, e così il Virgilio oracolare assunse una veste profetica, in particolare con l’annuncio, nella quarta egloga delle Bucolicae, della nascita di un divino puer in grado di far sorgere in tutto il mondo l’età dell’oro di pace e di serenità. Questo quaranta anni prima della nascita di Cristo.

È a partire poi dal V sec. d.C. che, nella vita virgiliana scritta da Donato, si fondono indissolubilmente le notizie biografiche con le leggende, oggetto poi di rinnovata e crescente attenzione a partire dal XII secolo. Il vescovo di Hildesheim, Corrado di Querfurt in una lettera del 1196 ad Arnoldo di Lubecca, attribuiva la conquista di Napoli al fatto che il palladio, costruito da Virgilio a sua protezione e consistente un piccolo modello della città contenuto in una bottiglia di cristallo, si fosse incrinato.

Nella “Cronica di Partenope”, testo anonimo del XIV secolo, l’ignoto autore dedica ben diciassette capitoli alla descrizione dei prodigi compiuti da Virgilio per proteggere i napoletani.


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