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mercoledì 18 settembre 2024

Castel Capuano


Castel Capuano
Parte della facciata principale su via dei Tribunali

Castel Capuano è, dopo il Castel dell'Ovo, il più antico castello di Napoli. Di origine normanna, è situato allo sbocco dell'attuale via dei Tribunali ed è stato sede della sezione civile e penale del tribunale di Napoli (oggi al Centro direzionale). È sede operativa della Scuola Superiore della Magistratura dal 15 maggio 2023. Deve il suo nome al fatto di essere ubicato a ridosso di Porta Capuana, che si apre sulla strada che conduceva all'antica Capua, di cui parleremo in seguito.

La storia

La sua costruzione fu avviata nel 1160 dall'architetto Buono per volere del re di Sicilia Guglielmo I detto il Malo, figlio di Ruggero il Normanno. L’edificio aveva funzioni difensive caratterizzato da robuste fortificazioni, dall'austerità degli ambienti e la sua vocazione naturale di presidio militare. Scavi effettuati nel XIX secolo hanno dimostrato che il castello fu eretto sull'area in cui nella Napoli romana sorgeva una fortellezza presso il Gymnasium e trasformato in un cimitero nei secoli successivi, come è riportato nella Cronaca di Partenope, un trattato anonimo di storia di Napoli compilato al principio del secolo XIV (Libro I, e. 14) e come provano le numerose tombe rinvenute.

Buono, architetto del Castel Capuano


Nel 1231, per iniziativa di Federico II, si ebbe il primo intervento di trasformazione del castello, che pur conservando le sue indispensabili fortificazioni, fu reso più ospitale e meglio rispondente ad ospitare momentaneamente il sovrano di passaggio da Napoli. Ne nominò castellano il suo uomo di fiducia Dipoldo di Dragoni, e usò il castello per custodire importanti prigionieri politici.

Il periodo angioino

Con l'avvento degli Angioini iniziò l'edificazione (1279-82) di una nuova fortezza, Castel Nuovo (o Maschio Angioino), che divenne dimora dei sovrani di Napoli. Castel Capuano continuò ad ospitare fra le sue mura alcuni membri della famiglia reale nonché funzionari e altri illustri ospiti come Francesco Petrarca, che vi soggiornò nel 1370 in qualità di legato di Clemente VI. Durante il regno di Giovanna I (1343-1382) il castello fu sottoposto a nuovi restauri, resi necessari dalle conseguenze del devastante saccheggio subìto ad opera delle truppe di Luigi I d'Ungheria, che furono poi costrette ad abbandonare la città per l'arrivo della peste nera.

Pur rimanendo in secondo piano rispetto alla maestosa sede della corte reale, l'imponente Maschio Angioino, il castello capuano fece da cornice a molti importanti eventi, come lo sfarzoso matrimonio di Carlo di Durazzo, che tanta impressione suscitò negli osservatori del tempo. Fu proprio il figlio di Carlo, Ladislao il Magnanimo (1399-1414), a riprendere brevemente Castel Capuano come propria residenza, mentre sua sorella Giovanna II (1414-1435) fu costretta a rifugiarsi fra le sue mura durante lo scontro con Alfonso V d'Aragona, che aveva stabilito la propria corte in Castel Nuovo. La fortezza subì in questo periodo l'assedio dell'Aragonese, che dovette però arrendersi di fronte all'inespugnabilità della residenza in cui Giovanna aveva trovato riparo. Da qui, la sovrana partì poi alla volta di Aversa, dove nominò suo erede Luigi III d'Angiò in opposizione al ripudiato Alfonso.

Sempre in Castel Capuano, il 23 agosto 1433 morì assassinato il favorito della regina Sergianni Caracciolo, mandato a morte dalla stessa sovrana.

Periodo aragonese e trasformazione da reggia a tribunale

Castel Capuano nel XVII secolo

Sotto il regno degli Aragonesi, il Castel Capuano venne inglobato dentro la nuova cinta muraria, perdendo il ruolo di baluardo difensivo. Negli anni successivi alla conquista della città, Alfonso d'Aragona, nell'attesa del completamento della ricostruzione del Castel Nuovo, lo usò come principale dimora dinastica, facendolo abbellire con cicli di affreschi commissionati al quotato pittore valenciano Jacomart Baco. Il castello visse certamente la sua ora più splendida nella veste di edificio di rappresentanza tra gli anni '70 e '90 del XV secolo, quando Alfonso II di Napoli, duca di Calabria ed erede al trono, profuse enormi somme nel dare vita a un sistema di dimore di "svago" interconnesso nell'area orientale della città, comprendente anche le ville di Poggioreale e della Duchesca e il cui "fulcro" era proprio il grande maniero di fondazione normanna. L'architetto a cui fu affidato il compito di costruire le due ville (oggi non più esistenti) con i loro grandi giardini e la nuova Porta Capuana e di modificare ulteriormente il Castello fu probabilmente Giuliano da Maiano. La documentazione rinvenutaci sui molteplici interventi decorativi è purtroppo molto frammentaria, tuttavia è certo che vi lavorarono gli stessi artisti (Antonello del Perrino, Giacomo Parmense, Calvano da Padova, Luigi La Bella) attivi nell'adiacente Villa della Duchesca.

Nei decenni a cavallo tra i secoli XV e XVI, fu anche scenario di memorabili eventi mondani, come i festeggiamenti delle nozze tra Federico III d'Asburgo e Eleonora d'Aviz (risalenti all'anno 1452), quelli delle nozze tra Sigismondo I di Polonia e Bona Sforza (risalenti al 1517), e alcune rappresentazioni teatrali di opere del Sannazaro accompagnate da fastosi apparati scenografici.

Con l'annessione del Regno di Napoli alla corona di Spagna e la sua costituzione in Vicereame (1503), tutte le dimore abitate in precedenza dai sovrani e dai principi aragonesi (castelli, palazzi e ville) andarono incontro a un inesorabile destino di decadenza. Per il Castel Capuano il canto del cigno nel suo ruolo da reggia lo si ebbe nel 1535, anno nel quale Carlo V d'Asburgo vi dimorò per alcuni mesi di ritorno dalla memorabile impresa della Riconquista di Tunisi, ricevendovi varie delegazioni da altri stati italiani e celebrandovi un ulteriore matrimonio sontuoso di quell'epoca, quello tra il principe di Sulmona, Filippo di Lannoy (a cui lo donò nel momento della partenza) e Isabella Colonna.

Un cambiamento di funzione che inaugurò una nuova epoca nella storia dell'edificio lo si ebbe nell'anno 1537, quando il viceré don Pedro de Toledo, dopo averlo confiscato al proprietario, decise di trasformarlo nel tribunale del Regno, riunendovi tutte le corti di giustizia sparse in diverse sedi in tutta la città: il Sacro Regio Consiglio, la Regia Camera della Sommaria, la Gran Corte Civile e Criminale della Vicaria e il Tribunale della Zecca. Per adattarlo al suo nuovo ruolo di grande palazzo di Giustizia, fu radicalmente modificato dagli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa: furono eliminate tutte le strutture tipicamente militari e fu ripensato nei suoi spazi interni, mentre i sotterranei furono destinati a prigione dotata di attrezzatissime camere di tortura.

Trasformazioni e restauri

Particolare di una decorazione del soffitto con ritratto lo stemma dei Borbone di Napoli

Nella sua lunga storia, Castel Capuano ha subito numerosi interventi di trasformazione e restauro che ne hanno profondamente cambiato la fisionomia. Già sotto Federico II furono rifatte le mura esterne, con l'apertura delle finte finestre della facciata principale. Durante il periodo aragonese, come è stato detto sopra, venne inglobato dentro la nuova cinta muraria cittadina ed ebbe, prima sotto Alfonso il Magnanimo e poi sotto il duca di Calabria, consistenti interventi di abbellimento prettamente legati alle decorazioni dei saloni, delle logge e del giardino. Il grande rifacimento commissionato da Don Pedro de Toledo utilizzò l'antico impianto della fabbrica, mantenendone la monumentalità, ma privandolo del giardino e di tutti gli abbellimenti decorativi e strutturali fatti appore dagli Aragonesi. Nei decenni successivi vi furono commissionati molteplici interventi decorativi, legati alla sua nuova funzione di tribunale; come non citare al riguardo gli affreschi eseguiti dallo spagnolo Pedro de Rubiales (in precedenza collaboratore del Vasari a Roma) negli ambienti della Regia Camera della Sommaria nel biennio 1547-1548 (pervenutici oggi sono nello spazio dell'Oratorio) e quelli realizzati nel 1608 dal greco-napoletanizzato Belisario Corenzio in quattro "rote" del Sacro Regio Consiglio, visibili ancora in ben tre sale. Nel breve periodo vicereale-austriaco (nonostante la scarsità di notizie) è certo che vennero commissionate ulteriori aggiunte decorative, ispirate nell'esecuzione al nascente gusto rococò, come testimoniato da un superstite boudoir del 1725 affrescato sulle volte e sulle pareti da Antonio Maffei e Tommaso Alfano, sotto la direzione di Ferdinando Sanfelice. Anche nel periodo borbonico gli interventi si limitarono all'aggiunta di nuovi affreschi di carattere prettamente profano: nel 1752 il Salone del Sacro Regio Consiglio venne dipinto negli ornati parietali (tuttora sopravvissuti) da Carlo Amalfi e Giovan Battista Natali, mentre della volta (perduta e sostituita nei primi decenni del '900 da un cassettonato ligneo) se ne occupò il solimenesco Leonardo Olivieri; nel 1770 Antonio Cacciapuoti affrescò insieme ad una squadra di pittori "ornamentisti" il Salone della Sommaria (oggi noto come Salone dei Busti).

Al triennio 1856-1858 va ricondotta l'opera di modifica del castello più profonda dai tempi di Don Pedro: sotto la guida dell'ingegnere Giovanni Riegler, intervenuto originariamente per riparare un dissesto, fu rinnovata la facciata principale e i balconi furono ritrasformati in finestre, scomparvero le arcate del pianterreno e fu costruito un marciapiede lungo tre lati. Il Salone dei Busti che aveva perso gli affreschi della volta a causa di infiltrazioni d'acqua non contrastate per decenni, venne ridecorato (rispettando le parti superstiti) dai pittori pugliesi Biagio Molinaro e Ignazio Perricci. Dopo l'Unità d'Italia sulla facciata esterna fu affisso lo scudo di Casa Savoia, in sostituzione di quello borbonico. Nel corso di ulteriori e meno significativi lavori d'inizio Novecento furono eseguiti presso le fondazioni del castello alcuni scavi, che portarono alla luce dei frammenti di iscrizioni lapidee che hanno confermato la presenza nei pressi dell'antico Gymnasium. Da scavi effettuati nel 1913 sono emerse invece delle tombe con vasi in terracotta e lapidi con iscrizioni latine, che proverebbero il successivo adattamento dell'area alla funzione di cimitero.

Attualmente il castello è interessato da complessi restauri conservativi (finanziati da fondi europei), al termine dei quali verrà riaperto al pubblico.

L'architettura Esterno

Prospetto laterale

Sul portale d'ingresso di Castel Capuano campeggia una lapide che celebra la vittoria di Carlo V a Tunisi e la data in cui il castello divenne sede della Corte di Giustizia. Il portale è poi sormontato da una grande aquila bicipite, stemma della casa reale di Spagna, opera di Francesco Sangallo, e da colonne d'Ercole binate col motto Plus ultra. A un livello superiore domina lo stemma dei Savoia, affisso dopo l'Unità d'Italia in sostituzione di quello dei Borbone. L'orologio della facciata risale invece al 1858.

Superato il portale si accede ad un cortile circondato da un portico sostenuto da pilastri di ordine dorico. Questo spazio rappresenta il nucleo del castello: è qui che si riunivano avvocati, giudici, imputati, testimoni e le folle di cittadini coinvolti nelle vicende giudiziarie o semplicemente curiosi. Da qui si aprono le scalinate che conducono agli ambienti interni del castello.

Sul retro del Castello sorge infine la fontana detta del Formiello. Costruita nel 1490 come abbeveratoio per i cavalli, fu rifatta nel 1583 da Michele de Guido che vi appose gli stemmi del viceré Pedro d'Aragona. La fontana fu chiamata così in quanto alimentata dalle acque dell'omonimo acquedotto.

Interno

Panoramica di una sala che con in vista l'ingresso alla salone dei Busti

Fra le sale interne di Castel Capuano, una delle più interessanti è certamente il Salone della Corte d'Appello, con affreschi di Antonio Cacciapuoti e altri artisti, eseguiti alla fine del XVIII secolo. Il ciclo raffigura allegorie delle province del regno: la provincia dei Marsi, dei Vestini, dei Picentini, degli Irpini, la Lucania, il Brutium Citerius e il Brutium Ulterius.

La sala dei Busti, situata al primo piano, ospita oggi i busti in marmo degli avvocati più famosi del foro di Napoli. In precedenza era la sala dove si tenevano le udienze pubbliche della Camera della Sommaria. Considerato il cuore del castello, oggi vi si celebrano gli avvenimenti solenni e si convocano riunioni straordinarie. Anche in questa sala gli affreschi ripropongono dodici figure femminili rappresentanti le province del regno: le figure poggiano su altrettanti piedistalli, intervallati fra loro da finte colonne. Il soffitto fu affrescato da Ignazio Perricci e Biagio Molinaro ed è diviso in tre campi, ciascuno dei quali celebra la forza ed il trionfo della Giustizia.

Compianto su Cristo morto,
dipinto sull'altare della Chiesa della Sommaria

Dalla sala dei Busti (o salone dei Busti) si accede alla cappella della Sommaria, una sala a pianta quadrata con pareti cieche realizzata verso la metà del Cinquecento.

La sala che oggi ospita la biblioteca fu sede del Gran Consiglio durante il regno degli Angioini, poi sala di udienza della Gran Corte Criminale nel periodo borbonico. Qui furono processati anche i patrioti che parteciparono alla rivoluzione del 1848 contro Ferdinando II. La Biblioteca, trasferita qui da ambienti adiacenti, fu inaugurata il 19 luglio 1896 ed ospita circa 80.000 volumi tra cui rarissime opere dei secoli XVI, XVII e XVIII che costituiscono nel loro insieme il cosiddetto Fondo Antico.

La storia di Castel Capuano si Intreccia con quella di Porta Capuana, per cui vogliamo continuare proponendo un mio articolo che fu pubblicato anni fa a puntate su Il Roma

Porta Capuana e dintorni.

Porta Capuana

La più famosa delle porte napoletane è certamente Porta Capuana, che prende il nome dalla via che conduceva a Capua. Ancora in perfetto stato di conservazione, a differenza dell’affresco di Mattia Preti, commissionato come gli altri nel 1656 a mo’ di gigantesco ex voto per la fine della peste, il quale, complici noncuranza e gas di scarico, è oramai illeggibile. 

Nel ventre di Porta Capuana si cela il mistero dell’antico fiume Sebeto e quanta storia vi è da recuperare tra il Tribunale della Vicaria e Piazza De Nicola. Lì dove scorre l’acqua, dove i Greci scavarono la Bolla, dove il Carmignano inserì i canali del nuovo acquedotto seicentesco, lì, cioè accanto a Porta Capuana, forse scorre ancora, sepolto dalla città moderna, antico fiume Sebeto. Oggi in un’antica struttura di archeologia industriale sorge la sede di “Lanificio 25”, una benemerita associazione, fondata dal chirurgo Franco Rendano e dalla sua nuova compagna, la pittrice Mary Cinque, la quale si propone un recupero dal degrado di luoghi sacri per la storia della città. In un cortile adiacente gli spazi dove da anni si fanno spettacoli ed incontri culturali si accede ad un antro e poi, scendendo scale e gradini, si arriva ad un ipogeo dove il terreno sotto i piedi è sempre umido.

Ci sono giorni, non collegati alle maree o alle fasi lunari, in cui l’acqua sale di livello, e anche molto. Un odore umido e una sensazione lagunare, un po’ come se fossimo nelle fondamenta di Venezia, si intrufola sotto le suole delle scarpe. Nel terreno morbido e intriso si affonda. È questo il Sebeto? L’antico fiume cantato dai poeti romani e dai letterati umanisti? O è uno dei mille canali non censiti dell’acquedotto greco a portare l’acqua sotto il lanificio? La cultura, come l’acqua, scorre a Napoli invisibile: sotto tutta quest’area ancora da recuperare, che include Porta Capuana, la bellissima e assai malridotta chiesa di Santa Caterina a Formiello, il tribunale della Vicaria, e piazza Enrico De Nicola – questa sola, sì, recuperata e ammodernata . c’è un invaso antico, scavi da approfondire, aree da rimettere in sesto e adibire a un rinnovato uso comune.

fontana del formiello
fontana del formiello

La grande bellezza trascurata di via San Giovanni a Carbonara, con la chiesa omonima, fra le più importanti e straripanti tesori della città, la chiesa di Santa Caterina già nominata, l’edicola di San Gennaro disegnata dall’architetto Ferdinando Sanfelice e la fontana detta del Formiello dovrebbe costituire un obiettivo di grande interesse turistico e culturale. Intanto, veniamo alla lapide che testimonia la presenza dell’acqua pubblica, ovvero la bellissima, semplice, elegante, fontana del Formiello: «Philippo regnante siste viator acquas fontis venerare Philippo Sebethus regiquas rigat amne parens hic chorus Aonidum Parnassi haec fluminis unda has tibi Melpomene fonte ministrt acquas Parthenope regis tanti crateris ad oras gesta canit regem fluminis aura refert. MDLXXXIII» Ovvero«Regna Filippo. Fermati o viandante a venerare Re Filippo, presso le acque di questa fonte, che il padre Sebeto alimenta con la sua corrente. Quegli è il coro delle Aonidi, questa è l’acqua del fiume Parnasso. Melpomene stessa ti elargisce da un fonte le sue linfe, Partenope celebra presso le sponde della vasca le imprese di sì grande sovrano ed il mormorio delle onde loda il nostro re. Anno di grazia 1583». Questa elegantissima fontana che porta, come la piazza e la chiesa, la dicitura del Formiello, ovvero «ad formis», ai canali, è ben più antica della lapide che oggi ricordiamo: ve n’è traccia nei documenti trecenteschi – e forse c’era già assai prima – ma prende ufficialmente il suo nome nel 1458, quando re Ferrante d’Aragona decide l’ampliamento delle mura della città.

Un banale abbeveratoio per cavalli dapprincipio: inoltre, il punto di uscita dell’acqua, incanalata dall’acquedotto, non era l’attuale, questa lapide testimonia dunque lo spostamento della fontana stessa dieci anni prima, nel 1573, quando viene commissionata la sua belle veste marmorea (travertino e marmo di Carrara) a tali Maestro Joseppe e Michel De Guido, incaricati dal Tribunale delle Acque. Le parole di pietra incise sulla lapide furono volute dal vicerè d’Ossuna, ovvero Pedro Tellez de Giròn, a seguito di un restauro per il terremoto del 1582. Quando, un secolo dopo circa, si volle inserire in questa bella fontana una statua del re Filippo IV di Spagna, ai Napoletani l’idea non piacque, come già non piaceva il viceregno – continue rivolte. dal 1501 fino a Masaniello lo testimoniano – e si dovette rinunciare. Ne resta il basamento, a corredo degli stemmi reali, delle quattro stagioni e delle teste leonine che ornano il monumento. Per questo la bella fontana appare alta e nuda, decorata ma priva di un protagonista, così che solo l’acqua, oggi ingabbiata, sia pienamente padrona del campo. Ma il mormorio delle onde dovrebbe rievocare agli abitanti del quartiere e della città tutta che qui molta storia è passata, non solo le feroci giostre che disgustavano Petrarca in visita a San Giovanni a Carbonara, ma anche gli allievi di Giotto e Giotto stesso, i grandi pittori del Seicento, che in massa decorarono Santa Caterina a Formiello, i martiri d’Otranto, i famosi quattrocento (ma i resti dei martiri sono di duecentoquaranta corpi) aggrediti dai saraceni che il re di Napoli arrivò tardi a soccorrere, ogni anno rievocati nella favolosa Cattedrale di Otranto, e che sono qui sepolti, a compenso di una grave mancanza. E ancora le storie delle due sante, Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, che intrecciano i loro nomi e la devozione nella chiesa che fu affidata prima ai padri Celestini e poi ad altri ordini. La Caterina d’oriente e quella d’occidente, arrivata seconda ma integrata, conservano la devozione secolare che avvolge la grande insula sacra prossima agli abbeveratoi, alle acque, alle porte della città, insomma a tutte le soglie, da sempre luogo mistico e iniziatico. Ci sarebbero, quindi, fin troppe ragioni per dare nuova forma a quest’intera area urbana: i palazzi, gli scorci di tempi diversi e strati che dal “Lanificio 25” si osservano, recentissimi ed obbrobriosi o modernisti, frutto di archeologia industriale o antichi e antichissimi, elementi di archeologia vera e propria . Come è sempre in quasi tutta Napoli, i tempi coesistono e le pietre, come le persone, ne sono viva e non immobile testimonianza: il difficile – anzi pare bisogna dire: impossibile – è averne cura con coscienza e consapevolezza.

Castel capuano
antica fortezza di Napoli,
 risale al 1160

A breve distanza da porta Capuana sorge Castel Capuano, il più antico maniero napoletano voluto da Gugliemo I, figlio di Ruggero il Normanno e completato nel 1154. All’inizio fu una reggia fortificata, poi con l’avvento degli Svevi, Federico II incaricò Giovanni Pisano di trasformarlo in una sfarzosa dimora. Durante il periodo angioino, i reali alloggiavano nel Maschio Angioino, mentre a Castel Capuano venivano ospitati personaggi illustri come Francesco Petrarca o si svolgevano lussuosi ricevimenti, come in occasione del matrimonio di Carli Durazzo.

Ripetutamente ristrutturato, Pedro di Toledo lo destinò ad accogliere tutte le corti di giustizia sparse per la città, funzione che ha conservato fino a pochi anni fa, mentre i sotterranei furono destinati a carcere. Fino alla costruzione al centro direzionale del discutibile grattacielo, opera di un celebre architetto giapponese, che ospita il nuovo palazzo di giustizia, Castel Capuano era visitato quotidianamente da un fiume di visitatori, che assistevano alla celebrazione dei processi, perché a Napoli da sempre la Giustizia è spettacolo, in ogni caso, quasi costantemente non è una cosa seria!

Gli avvocati distinti in “Paglietta” e “Principi del Foro” hanno costantemente prediletto il gusto di un’oratoria forbita e di un’arringa dai toni drammatici. Generazioni di celebri avvocati si sono alternate nell’agone del Tribunale, da Bartolomeo di Capua ad Andrea D’Isernia, per arrivare a Porzio, Pessina, Leone, De Marsico e ultimi epigoni di una lunga nobiltà forense, Enzi Siniscalchi ed Ivan Montone.

Al primo piano vi era la corte d’appello e ad ancora oggi la spettacolare quanto negletta Camera della Sommaria con sei splendidi dipinti di Pedro De Ruviales, studiati e pubblicati da Ferdinando Bologna.

La memoria di tanta illustre attività forense è racchiusa nel salone dei busti, uno degli spazi più prestigiosi e mirabili di Castel Capuano, luogo familiare per magistrati ed avvocati, il quale ricorda i più eminenti giuristi della insuperata scuola napoletana e rappresenta un vero e proprio museo della scultura partenopea della seconda metà dell’ottocento e del primo novecento con opere di artisti famosi come Francesco Jerace e Filippo Cifariello. Un vero e gioiello che, unito ai molteplici aspetti artistici ed architettonici, deve essere quanto prima restituito alla pubblica fruizione, a rinsaldare il legame tra un monumento straordinario e la città.

Gli uffici al terzo piano di Castel Capuano sono abbandonati da anni. Sul pavimento ci sono polvere, cicche di sigarette, i resti dell’arredo delle cancellerie della sezione fallimentare del Tribunale che lì aveva sede prima del trasferimento al nuovo Palazzo di Giustizia. Sui soffitti ci sono crepe evidenti. A terra, nei corridoi, i faldoni ammassati, che si sta provvedendo gradualmente a de localizzare.

Circa millecinquecento metri quadrati da strappare al’incuria e destinare a nuova vita, ospitando gli uffici del comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato. Un progetto importate non soltanto sul fronte dell’impegno economico (i lavori costeranno circa due milioni di euro), ma soprattutto sul fronte della legalità. La presenza del Corpo Forestale nella storica sede di Castel Capuano mira a potenziare la tutela della sicurezza dell’edificio e a lanciare un messaggio alla città, creando un binomio arte e ambiente nel rispetto della legalità. Si inserisce nel più ampio progetto di recupero affinché si apra su Castel Capuano un nuovo capitolo di storia. Nei locali restaurati troverà spazio anche l’esposizione sui “corpi di reato”, è la cultura che esce dall’oblio, la storia che si riappropria dei propri spazi. Così rinasce Castel Capuano. «Abbiamo progetti ambiziosi – spiega il presidente della corte d’appello Antonio Bonajuto – pensiamo di realizzare un museo delle regole per ripercorrere la storia delle leggi, a partire dal codice di Hammurabi, creando un percorso della legalità fino ai giorni nostri. Sarà l’unico museo al mondo di questo tipo.». Con il direttore dell’ufficio speciale del ministero della Giustizia e presidente della Fondazione Castel Capuano, Floretta Rolleri, Bonajuto è tra le anime di questa rinascita. «L’assegnazione dei locali alla Fondazione è stata già fatta – aggiunge Rolleri _ Sono i locali al piano terra adiacenti a quelli dove oggi c’è la mostra sulla storia del castello e i progetti di restauro. C’è anche l’idea di affiancare un museo dei corpi di reato. Abbiamo qui gli archivi con quadri, tra l’altro bellissimi, di falsi d’autore, antiche pistole. Sarebbe un modo per approcciare da un diverso punto di vista alla legalità. Non dimentichiamo che questo castello è stato anche una prigione, ci sono stati i vecchi patrioti. È simbolico anche per questo».

salone dei busti di Castel Capuano

E con un museo il castello sarà aperto ai cittadini, alle scolaresche, ai turisti. Restituito alla città come patrimonio non solo della cultura della giustizia napoletana ma monumento di storia e di arte.

Le scale che dal promo piano, dove c’è il Salone dei Busti, conducono al “Bagno della Regina Giovanna”, murate nell’ottocento, saranno ripristinate. Sarà restaurato lo scalone, il saloncino, e antichi locali dai soffitti affrescati. «Tutto rientra in un progetto che fa parte del grande programma Unesco per il recupero del centro antico – spiega Amalia Scielzo della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli – Con gli interventi previsti, tra l’apertura della porta bassa e l’accesso dal cortile alto al centro antico verso via Tribunali, sarà possibile riscoprire collegamenti che esistevano attraverso una torre che ha un’ antica scala».

E se arrivano i fondi del Pon energia, si investirà anche nell’ottica del risparmio energetico, come già previsto per il nuovo Palazzo di Giustizia: investimento da 40 milioni di euro, speriamo che una volta tanto i buoni propositi non rimangano fantasia e si trasformino in piacevole realtà.


Camera della sommaria


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