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domenica 27 novembre 2022

Un capolavoro di Mattia Preti


Mattia Preti - Pietà

In questo articolo parleremo di Mattia Preti, un autore a me particolarmente caro, perché nel 1990 feci un'importante scoperta: una chicca preziosa custodita nella sacrestia della chiesa di San Francesco d’Assisi a Forio d’Ischia. Si tratta di una spettacolare “Pietà”, dai colori lividi e cianotici, da assegnare senza ombra di dubbio a quel gigante del secolo d’oro che fu Mattia Preti. Dopo averla pubblicata ebbi la conferma dell'autografia da parte di John Spike, il massimo esperto mondiale del pittore calabrese.
In passato la critica si era distrattamente occupata del dipinto foriano adombrando l’ipotesi che potesse trattarsi di una copia; ma sia le figure femminili che il volto del Cristo mostrano una morbidezza di tocco ed una preziosità materica che, vanamente potremmo pretendere dalla mano di un copista, anche se molto abile. Se vogliamo invece vedere una copia di questa tela autografa, dobbiamo recarci al Prado, dove potremo ammirare lo stesso soggetto, ma di minore qualità, replicato da uno dei più noti allievi ed imitatori del Preti: lo spagnolo Pedro Nugnez de Villacencio.
Quanto siamo ricchi e spreconi noi napoletani! Conserviamo chiusa e non visitabile una tela di uno dei grandi maestri del Seicento europeo, mentre all’estero, in uno dei più celebri musei del mondo, espongono la copia.


Mattia Preti - giudizio di Salomone


E passiamo ora ad esaminare un Giudizio di Salomone (131 x 184) appartenente ad una famosa collezione pugliese, nel quale in ogni dettaglio si vede il tocco magico del pennello del Preti. i volti dei personaggi sembrano voler parlare all'osservatore e trasmettergli quella atmosfera di turbamento che pervade la composizione.
Nel dipinto in esame il Preti si avvale  degli effetti di luce particolare e radente, ma li applica in funzione dinamica alla composizione affollata di personaggi in continuo movimento  con  un ricchissimo repertorio di variazioni luministiche.
Accenniamo ora un poco alla biografia del Preti, (Taverna 1613 - Malta 1699), detto il Cavalier calabrese perché Cavaliere di Malta dal 1642 che fu il primo grande interprete della pittura barocca che viene a interrompere definitivamente alla metà del secolo, il corso del naturalismo napoletano.
Dopo un primo soggiorno a Napoli si stabilì a Roma (1630-1656), compì viaggi in Italia settentrionale (a Modena nel 1652-1653 dipinse cupola e coro di San Biagio). A Roma dove lasciò molte opere (affreschi in San Carlo ai Catinari, 1642, e in Sant’Andrea della Valle, 1651), Mattia Preti fu direttamente partecipe di quel felice momento di fervore innovativo, di incontro-scontro di tendenze e di idee e che accompagna il primo fiore del barocco romano. Esperienza ben presente nella sua arte, che è stata definita “geniale trasposizione in campo barocco dei principi formali del caravaggismo”.
La fase napoletana è la più pregnante del suo percorso artistico, ricca di capolavori, mentre la gamma cromatica della sua tavolozza, come in passato era capitato ad Artemisia, vira vigorosamente verso colori rossiccio bruni, cianotici, con volti sofferenti ai limiti dell’anossia.


Mattia Preti - giudizio di Salomone (particolare)


In passato si credeva che il suo soggiorno all’ombra del Vesuvio fosse durato solo 4 anni, viceversa copre dal 22 marzo 1653, data indicata su una polizza di pagamento, al settembre del 1661, quando si trasferisce definitivamente a Malta, dopo esserci stato 3 mesi nel 1659, per favorire l’accettazione della sua pratica come Cavaliere di Grazia.
Appena nell'Isola dei Cavalieri fu subito attivo nella decorazione della co-cattedrale di San Giovanni Battista a La Valletta, per la quale aveva già inviato da Napoli alcune tele: intorno al 1656 il “San Giorgio con il drago” un “San Francesco Saverio” nel 1658, per la cappella d’Aragona e nel 1659 un “Martirio di Santa Caterina”  per la chiesa della nazione italiana.
Numerose sono le opere da ricordare eseguite durante gli anni napoletani, tra queste spiccano il grandioso soffitto cassettonato con “Storie di San Pietro Celestino e Santa Caterina” nella chiesa di San Pietro a Maiella e soprattutto il ciclo di affreschi sulle porte di Napoli con il drammatico groviglio di corpi, provocato dalla peste del 1656, un documento impressionante, di cui purtroppo è rimasta una labile traccia, sotto una coltre di sudiciume, nella decorazione di Porta San Gennaro, fortunatamente ci sono giunti due splendidi bozzetti  preparatori, dai colori squillanti, conservati nella sala Preti della pinacoteca napoletana.

Achille della Ragione

 

Mattia Preti - giudizio di Salomone (particolare)

Mattia Preti - giudizio di Salomone (particolare)




mercoledì 23 novembre 2022

Cornelio Brusco un abile quanto poco noto pittore


Cornelio Brusco - Paradiso - 113x152

Cornelio Brusco, di origini fiamminghe ed attivo a Napoli nei primi tre decenni del Seicento, come dimostra il dipinto che fra poco descriveremo è, per quanto abile, poco noto alla critica a tal punto da non comparire nel catalogo della memorabile mostra sul Seicento napoletano, che si tenne nel 1984.
Io, nel 1998, lo cito brevemente nel I tomo della mia opera Il secolo d'oro della pittura napoletana, mentre in un articolo del 2011 descrivo dettagliatamente il dipinto raffigurante Il Paradiso all'epoca in collezione De Giovanni, che il 30 novembre costituirà la punta di diamante dell'asta che si terrà presso la Blindarte e che vedrà numerosi  collezionisti contendersi l'opera.
Il monumentale (cm 113×152) “Paradiso” di Cornelio Brusco,  con il turbinio di santi e personaggi paradisiaci, resi in maniera estremamente dettagliata, si è conquistato la copertina del catalogo . La tela si presenta come un inedito rispetto alle numerose varianti dello stesso soggetto. In basso al centro è raffigurato il Paradiso terrestre con la Fontana della Vita. Gli esperti di Blindarte ne scrivono in catalogo: «L’esecuzione risale alla fine del secondo e gli inizi del terzo decennio del XVII secolo, anticipando i modi dei “bamboccianti romani” nella riproduzione meticolosa delle splendide figurine che affollano la scena. Brusco, di origini fiamminghe, è l’unico pittore che secondo le fonti abbia collaborato con François de Nomé, detto Monsù Desiderio». 

Achille della Ragione

domenica 20 novembre 2022

Ricordiamo Attilio Maseri

fig.1 Attilio Maseri  1935-2021


Prima di ricordare il grande cardiologo voglio esporre ai miei lettori il decorso negli anni della mia salute.
Dopo aver superato agevolmente le malattie esantematiche, ho cominciato ad avere problemi respiratori intorno ai 15 anni, asma bronchiale su base allergica ed un raffreddore costante. Attraverso 2 interventi: resezione sottomucosa del setto nasale e  turbinectomia bilaterale, eseguiti a 18 anni, il primo alla Mediterranea, il secondo alla clinica Posillipo ho risolto parzialmente il problema, scomparso completamente dopo la somministrazione di un vaccino contro la parietaria, preparato a Firenze. In seguito, ad eccezione di due coliche renali, a distanza di 10 anni  l’una dall’altra, ho goduto di una salute invidiabile fino al 1994, quando, mentre ero impegnato in un torneo di scacchi, che si svolgeva nella stazione marittima, mi si annebbiò la vista all’improvviso. Chiesi aiuto al mio amico Corrado Ficco, medico e scacchista, il quale mi disse: “Andiamo subito in ospedale, non vi è tempo da perdere”. Ci recammo al Loreto mare dove mi fecero un elettrocardiogramma, che risultò negativo.”Potete tornare a casa”, mi dissero, per fortuna ascoltai il parere di Corrado. Mentre l’amico si recava all’uscita del teatro Augusteo ad avvertire mia moglie Elvira di ciò che era successo, mi misero in una stanza da solo e mi collegarono ad un apparecchio che misurava numerosi parametri, dalla frequenza cardiaca alla pressione arteriosa. Dopo circa un'ora lo strumento sembrava impazzito: suonava incessantemente e si accendevano tante luci, mentre l'elettrocardiogramma evidenziava un infarto interessante il ventricolo sinistro. In pochi minuti mi fu somministrato un cocktail di farmaci che provoca la trombolisi. Questa provvidenziale terapia mi salvò la vita. Dopo poco si presentò al mio capezzale un sacerdote, per la pratica dell'estrema unzione; in tal caso mi sarei dovuto confessare. Lo allontanai senza malizia, dicendogli: "Padre i miei peccati sono infiniti, ci vorrebbero ore per confessarli tutti, ora non c'è il tempo sufficiente". In nottata fui trasferito nel centro di rianimazione. tante stanzette a quattro posti dove ogni giorno cambiavo la metà dei compagni di sventura, perché passavano a miglior vita. Attraverso un vetro i miei familiari potevano guardarmi dal di fuori dieci minuti al mattino e dieci minuti di pomeriggio. Con mia moglie Elvira attraverso gli occhi ci scambiavamo infinite sensazioni ed emozioni. Per fortuna era permesso ai medici di entrare nella stanza e ricordo ancora le visite degli amici e colleghi: Gino Langella ed Angelo Russo. Dopo cinque giorni, poiché mi ostinavo a vivere, mi feci trasferire nell'unità coronarica della clinica privata Malzoni di Montevergine, dove potevo in una mia camera ricevere visite di parenti e amici e trascorrere la notte in compagnia. Per non affaticare eccessivamente mia moglie Elvira e per non sottrarla alla vicinanza dei miei figlioli, passai alternativamente le ore notturne con Carlo Castrogiovanni e Genny Santopaolo. Cominciò poi una serie di accertamenti, culminati in una coronarografia eseguita da una equipe francese, che veniva in Italia ogni mese. L’esito fu preoccupante ed ancor di più il parere dei cardiochirurghi consultati, prima Cotrufo a Napoli, poi Nevet a Parigi ed infine Cooley a Houston. Tutti concordi nel dirmi:” Caro collega hai il 50% di probabilità di morire entro 12 mesi!”. Cercai di prendermela con filosofia. Mi risparmio la vecchiaia; ho avuto una vita intensa; lascio ai miei figli ed a mia moglie tante proprietà. Poi per fortuna pensa di consultare un cardiologo, un sommo luminare, Attilio Maseri (fig.1), medico del pontefice ed in precedenza della regina dì Inghilterra, il quale mi rassicurò:” La percentuale che tu muoia entro un anno è del 4%, non del 50%, la  stessa che rischieresti se decidi di sottoporti ad un by-pass, ti darò una terapia farmacologica e potrai avere una vita normale”. Parole sante, che osservai alla lettera. Rallentai l’attività professionale, ridussi la pratica del sesso, essendo anche diminuito il desiderio e vissi tranquillo per oltre 10 anni. Nel 2006 la pressione cominciò a fare le bizze: un giorno altissima, un altro bassa. Rifeci una coronarografia che evidenziò la stenosi completa delle tre arterie. Temporeggiai e poi mi recai a Milano per consultare il celebre emodinamista Colombo, il quale esclamò:” Caro collega per fortuna che sei ignorante e non sapevi che con le tre coronarie chiuse si muore, ma ora dobbiamo intervenire subito sulla più importante; hai un’assicurazione?” “Sì” risposi. “Molto bene così potremmo utilizzare la mia clinica privata e fare presto”. “A dire la verità l’assicurazione la tengo sull’automobile, ma essendo un collega voglio essere curato subito e gratuitamente”. Tempo una settimana, saltando tutte le graduatorie, mi trovai ricoverato e sottoposto all’applicazione di 2 stent medicati con risultati sorprendenti, come può constatare anche un profano osservando le radiografie prima (fig.2) e dopo (fig.3) l’intervento.  

fig. 2 - Coronarografia prima dell'angioplastica

fig. 3 - Coronarografia dopo l'angioplastica


Dopo 6 mesi nuovo ricovero per applicare altri 2 stent, grazie ai quali sono stato bene per molti anni. Nel 2014, ritornai delle vacanze forzate a spese dello Stato in precarie condizioni di salute, a partire da una voluminosa ernia inguinale, protrudente nello scroto, che imprudentemente mi feci operare a Napoli da un chirurgo cattedratico. Il risultato fu un piastrone sieroso che ci mise 3 mesi per riassorbirsi, durante i quali lo utilizzai per divertirmi con le vecchie amiche, che venivano a farmi visita dopo tanto tempo. “Vuoi sentire una cosa dura? Metti la mano qui”. “Achille, ma come fai a conservarlo così in forma?”. “Ingenua, è il piastrone sieroso”. Sotto il profilo cardiaco il ventricolo sinistro pompava al 39%, mentre il ritmo faceva le bizze. Dopo mesi e mesi di temporeggiamento ritorno a settembre 2016 a Milano da Colombo al San Raffaele. Nuova coronarografia con esito disastroso, soprattutto il tentativo infruttuoso di “spilare” un vaso ostruito, che mi produce un micro infarto (fig.4).

 

fig. 4 - Cartella clinica settembre 2016

 

L’ultimo consulto è a Roma con l’ennesimo luminare, il professor Rebuzzi, che mi sconsiglia qualsiasi nuovo tentativo di angioplastica, perché correrei seri rischi quoad vitam.
E passiamo ora a ricordare un grande cardiologo scomparso da circa un anno all'età di 85 anni.
Egli ha insegnato alla Royal medical school di Londra, per trasferirsi poi a Roma nel 1991 come direttore dell'Istituto di Cardiologia del Policlinico Gemelli ed infine recarsi a Milano dove è stato docente di cardiologia all'università Vita e Salute dell'ospedale San Raffaele.
Egli oltre a scrivere testi di medicina e 750 articoli su riviste prestigiose è stato il primo ad avere l'intuizione che la proteina C reattiva, indice di infiammazione  aveva una correlazione diretta con l'infarto, scoperta che fu pubblicata nel 1994 sulla prestigiosa rivista New  England Journal of Medicine. Per la ricerca cardiologica fu un grande evento, una svolta fondamentale nella diagnosi e nella cura, che avrebbe meritato il premio Nobel.
Egli ripeteva continuamente nei congressi scientifici che questa proteina aveva un significato predittivo più significativo del colesterolo.
Nel 2017 una importante ricerca pubblicata dal New England Journal of Medicine ha confermato definitivamente che se si riduce il livello infiammatorio si migliora la prognosi.
Maseri ha curato clienti prestigiosi: prima la regina d'Inghilterra Elisabetta II, poi papa Giovanni Paolo II ed infine il celebre filosofo Achille della Ragione, assistito per circa 20 anni.


Achille della Ragione

venerdì 18 novembre 2022

Come regolare i flussi migratori dall'Africa



Da tempo il problema più grave che deve risolvere la classe politica, non solo italiana, ma europea, è quello di cercare di regolare i flussi migratori provenienti dall'Africa.
Ogni anno centinaia di migliaia di disperati, uomini, donne, bambini, solcano le acque del Mediterraneo  alla ricerca di un briciolo del nostro benessere; presto saranno milioni ed a breve si conteranno a decine di milioni.
Un fiume umano che non si fermerà davanti a nessun ostacolo e che travolgerà la nostra civiltà.
Uno scenario da incubo che possiamo soltanto ritardare,
Come? Per qualche anno potremmo ancora arginare l’ondata migratoria pagando profumatamente i Paesi del nord Africa, Libia in primis, dotandoli di mezzi marittimi navali adeguati ed incaricandoli di ostacolare nel deserto le migrazioni verso il mare e di distruggere tutte le imbarcazioni clandestine.
Quando, dove? Sarà poi necessario allestire campi profughi, simili a lager, dove chi riesce lo stesso ad arrivare viene trattenuto fino a quando non accetta di tornare da dove è partito o quanto meno di essere ospitato in campi di accoglienza più confortevoli, che dovranno sorgere nei paesi rivieraschi, sempre a spese di noi europei.
Bisognerà dedicare a questa complessa operazione non meno dello 1% del pil europeo.
Viceversa se si volesse cercare di ostacolare il corso della storia, frenando alla base i fenomeni migratori, bisognerebbe, impegnando il 3–4% del pil, scrivere in maniera diversa l’ultimo doloroso capitolo del colonialismo. L’Europa, dopo aver sfruttato le ricchezze dell’Africa, dovrebbe farsi promotrice di colossali opere di riqualificazione del territorio, portando l’acqua nel deserto e favorendo lo sviluppo dell’agricoltura e della piccola e media industria.
Noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna non una calamità che molti scelgano l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi la terra promessa.
Non vi sono altre vie da percorrere ed a nulla valgono i velleitari appelli buonisti del papa, né i beceri proclami razzisti della classe politica.

Achille della Ragione

 

Il Mattino, pag.54 -18 dicembre 2022





venerdì 11 novembre 2022

Finalmente convalescente






Voglio informare amici e conoscenti che da circa 45 giorni sono malato, ho avuto momenti terribili, ma finalmente pare che ora sia in miglioramento, giorno dopo giorno. Tutto è partito ai primi di ottobre con una infezione misteriosa, seguita poi da crisi anginose di notevole gravità, in due delle quali mi sono visto costretto a chiamare l'ambulanza, che dopo avermi sottoposto ad elettrocardiogramma dal risultato imbarazzante, mi invitavano a ricoverarmi subito al Monaldi per essere sottoposto ad angioplastica d'urgenza.
Entrambe le volte ho rifiutato, preferendo eventualmente morire tra le braccia dei miei familiari, che erano tutti presenti: mia moglie ed i miei tre figli, Tiziana, Gian Filippo e Marina.
Per fortuna da 15 giorni non ho più dolori al petto e gli unici disturbi sono una stitichezza fastidiosa ed una difficoltà a parlare, perchè in bocca ho solo 10 denti ed una costosa dentiera che mi era stata preparata non riesco a sopportarla, perché mi procura un enorme fastidio.
Le forze lentamente mi stanno ritornando ed il vero conforto sono le visite che parenti ed amici mi fanno senza che salti un giorno che rimango solo.
Mia moglie mi assiste amorevolmente e basta a volte un suo sguardo per farmi tornare la voglia di vivere.
Spero fra qualche giorno di cominciare anche ad uscire e mettere fine a questa terribile esperienza.

Achille della Ragione

lunedì 7 novembre 2022

Un capolavoro di Niccolò De Simone


Niccolò De Simone - Davide e Abigail



Il dipinto che presentiamo ai lettori è un capolavoro di Niccolò De Simone e racconta la storia di Davide e Abigail che vogliamo brevemente raccontare:
Dopo essere fuggito lontano da Saul, Davide si nasconde in una caverna. I suoi fratelli e il resto della famiglia lo raggiungono. In tutto circa 400 uomini si uniscono a lui, e Davide ne diviene il capo. Davide va poi dal re di Moab e dice: ‘Ti prego, lascia che mio padre e mia madre stiano con te finché non saprò che ne sarà di me’. Quindi Davide e i suoi uomini si nascondono sui colli.
È dopo questi avvenimenti che Davide incontra Abigail. Suo marito Nabal è un ricco proprietario di terre. Ha 3.000 pecore e 1.000 capre. Nabal è un uomo rozzo. Sua moglie Abigail, invece, è molto bella e sa agire in modo retto. In un’occasione perfino salva la sua famiglia. Vediamo come.
Davide e i suoi uomini sono stati gentili con Nabal. Lo hanno aiutato a proteggere le sue pecore. Un giorno Davide manda alcuni suoi uomini a chiedere un favore a Nabal. Gli uomini di Davide giungono da Nabal mentre lui e i suoi aiutanti stanno tosando le pecore. È un giorno di festa e Nabal ha molte cose buone da mangiare. Perciò gli uomini di Davide dicono:
‘Noi siamo stati benigni con te aiutandoti a badare alle pecore, e non te ne abbiamo mai rubato una. Ora, per favore, dacci del cibo’.
'Non darò il mio cibo a uomini come voi’, dice Nabal. Nabal parla in maniera offensiva e dice cose cattive su Davide. Quando gli uomini tornano e lo riferiscono a Davide, Davide si adira molto.
‘Prendete ciascuno la sua spada!’, dice agli uomini. E partono per andare a uccidere Nabal e i suoi uomini. Uno degli uomini di Nabal, che ha sentito le parole offensive dette da Nabal, narra ad Abigail quanto è accaduto. Subito Abigail prepara del cibo. Lo carica su alcuni asini e si avvia. Quando incontra Davide, scende dall’asino, si inchina e dice:
‘Ti prego, signore, non fare caso a mio marito Nabal. È uno sciocco e agisce stoltamente. Ecco un dono. Prendilo, per favore, e perdonaci dell’accaduto’.Sei una donna saggia’, risponde Davide.
‘Mi hai trattenuto dall’uccidere Nabal e dal ripagarlo della sua avarizia. Va a casa in pace’.
In seguito, morto Nabal, Abigail diviene una delle mogli di Davide.

Niccolò de Simone, “geniale eclettico” dalle molteplici componenti culturali, fu pittore e frescante, operoso per oltre venti anni sulla scena napoletana e, pur con le difficoltà di classificare il suo pennello multiforme, in grado di recepire le più diverse influenze, può rientrare ragionevolmente nella cerchia falconiana, in parte per il racconto fantasioso del De Dominici, che ce lo descrive partecipante alla Compagnia della morte, ma precipuamente per un evidente rapporto stilistico con la produzione di Aniello Falcone, di Andrea De Lione e di Domenico Gargiulo, da cui prendono ispirazione molte delle sue opere.Nulla sappiamo sulla sua data di nascita e di morte, anche se l’improvvisa mancanza di documenti di pagamento a partire dal 1656, prima numerosi, fa ipotizzare che possa essere morto, alla pari di tanti altri artisti e di un terzo della popolazione napoletana, durante l’epidemia di peste. Nella Nota sugli artisti napoletani che, nel 1675, Pietro Andrea Andreini spedì da Napoli al cardinale Leopoldo de Medici l’architetto Niccolò di Simone viene citato fra gli artisti ancora viventi, ma si tratta di persona affatto diversa. Il primo mistero da affrontare è basato sulla molteplicità di firme e di citazioni nei documenti con i quali l’artista viene indicato e l’assidua presenza del nome del padre, Simone o Simon Pietro, dopo il suo nome di battesimo, al punto da aver fatto perdere le tracce del suo vero cognome e di averlo fatto diventare nel tempo de Simone. Il riferimento costante al genitore fa supporre che egli vivesse in città con lui e fosse noto, forse un pittore del quale abbiamo perso ogni traccia. Probabilmente era lui il “fiammegno” trasferitosi a Napoli sul finire del Cinquecento, come tanti suoi celebri colleghi e Nicolò potrebbe anche essere nato all’ombra del Vesuvio, mentre la città di Liegi, indicata accanto alla sua firma nel Baccanale di collezione genovese, essere la città di origine della sua famiglia. Se veniva dall’estero, come è probabile, non si conosce la data del suo arrivo, né quanti anni avesse, se andò a bottega da qualche maestro locale o fosse già indipendente. Nelle polizze di pagamento il suo nome viene spesso accompagnato da un soprannome: Loket, Lokel, Lopet, Lozet o Lo Zet, appellativi di origine fiamminga e tra questi il più frequente è proprio l’ultimo, il quale in olandese significa il matto, che compare in almeno tre documenti, come pure sulle tele egli, alternava alla firma la sigla NDS con le lettere intrecciate. Il biografo settecentesco lo definiva “ragionevole pittore dei suoi tempi” che lavorava “con studio ed amore” e nel fornirci un piccolo elenco di sue opere, ci racconta che il pittore aveva molto viaggiato all’estero, soprattutto in Spagna e Portogallo, ipotesi che non ha trovato conferme documentali. Il De Dominici elargisce al pittore una breve citazione, a differenza di altri suoi colleghi che la critica odierna ritiene di pari importanza, ai quali dedica una Vita. Originario di Liegi, come si evince nella sua firma, in passato sfuggita alla critica, sotto il Baccanale di collezione privata genovese, de Simone è documentato a Napoli dal 1636 al 1655 e non al 1677 come erroneamente indicato in tanti testi autorevoli, incluso il catalogo sulla Civiltà del '600 e sorprendentemente anche il recente regesto dei dipinti del secolo XVII del museo di Capodimonte.
I suoi esordi sembrano affondare nella cultura tardo manierista dominata dal Corenzio, in seguito egli nei suoi dipinti, oltre al marchio della cerchia falconiana risente dell'influsso del Poussin e del Grechetto, dai quali trae spunto anche per particolari tipi di paesaggio, tematiche preferenziali, fisionomie caratteristiche. Citato saltuariamente nelle antiche fonti e trascurato da studiosi come l'Ortolani che lo definì un "mediocrissimo, manierista ritardatario".Oggi la critica, grazie ai contributi prima della Novelli Radice e poi, più volte, della Creazzo, conosce più che bene i caratteri distintivi del suo stile pittorico: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne, tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri, assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, evidentissimi nel dipinto dell’Educazione della Vergine, folle in preda ad un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, squisita sensibilità da espressionista nordico, ripetitività nella costruzione dell’impianto generale della scena, personalissima resa cromatica nell’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci. Il soggetto testamentario, assieme a quello mitologico, costituisce una parte cospicua nella produzione da cavalletto del de Simone e le opere, oramai numerose, che gli si possono attribuire con certezza restituiscono l'immagine di un artista assai versatile, in stretto rapporto con quel florido mercato che nella prima metà del Seicento favorì la crescita in area napoletana di diversi generi. Le sue composizioni affollate di personaggi in scala ridotta non sfigurano paragonate agli esiti dei migliori specialisti in circolazione. I suoi dipinti tracimano dai contrasti rudi del verace naturalismo meridionale alle ovattate atmosfere neovenete della pittura romana, esaltando il confronto con gli esempi più illustri del Falcone, del Castiglione e del Poussin.
Al pittore ho dedicato una monografia intitolata Niccolò De Simone un geniale ecclettico.
Il dipinto che abbiamo presentato costituisce una importante aggiunta che arricchisce il catalogo dell'artista.