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venerdì 14 marzo 2014

Voglio sposarmi da Don Raffaè

Grand hotel la Sonrisa

A Napoli i matrimoni diminuiscono e tutte le ragazze sognano una cerimonia fantastica con tanti invitati, per far schiattare d’invidia le amiche.
Da tempo una delle location più ambite per il ricevimento post nuziale è il Grand Hotel La Sonrisa, reso celebre dalle riprese televisive in prima serata di una sorta di nuovo Festival della canzone Napoletana, decaduto dopo i fasti degli anni Cinquanta, quando faceva una spietata concorrenza a quello di Sanremo.
Felicia pretende dal boss la sala reale del Grand Hotel La Sonrisa, perché ha sempre sognato «un matrimonio da principessa», Per Rita e Paolo «una festa non è festa se non ci sono i frutti di mare crudi». Luca, invece, per la sua cerimonia di nozze al "castello" di Sant' Antonio Abate vuole «vedere lo spreco del cibo, perché a Napoli così si usa». Quando lo scorso lo gennaio è andata in onda la prima puntata del "Boss delle cerimonie" su RealTime, in tempo reale è montata pure la polemica sui social network. A cominciare da chi si è indignato per quella rappresentazione stereotipata dei "matrimoni della tradizione napoletana", come recitava lo spot della trasmissione poi cambiato in corsa. La produzione ha replicato sottolineando che nel loro format non c'è nulla di inventato. Un Grande Fratello ai fiori d'arancio. D'altronde, pure "Reality" di Matteo Garrone, il film vincitore del Grand Prix a Cannes nel 2012, cominciava con un fastoso matrimonio girato non a caso a "La Sonrisa": una scena grottesca e sfarzosa di abiti scintillanti e divi in elicottero. A RealTime, intanto, si fregano le mani per il boom di ascolti: con il 4,4 per cento di share nell'ultima puntata e quasi il4 di media, "il boss delle cerimonie" è la trasmissione più vista del canale dopo "Back Off Italia". Numeri che non bastano a chi, anche attraverso interrogazioni parlamentari, ha ricordato il passato giudiziario imbarazzante del protagonista della trasmissione, il boss dei ricevimenti all'ombra del Vesuvio, Antonio Polese. Tra indagini per commercio di alimenti adulterati e abusi edilizi, fino ai rapporti con la Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo. Insomma, non proprio un esempio da esportare. 
Un esplosivo articolo di Claudio Pappainni pubblicato su L’Espressso ha scoperto gli altarini ed ha reso note molte cose sul “Boss dei Matrimoni”, al secolo Antonio Polese.
Polese, coinvolto nel maxiblitz contro la Nuova camorra organizzata del 1983, fu processato perché ritenuto, insieme ad altri tre soci, implicato nella compravendita del Palazzo del Principe di Ottaviano, il famigerato Castello di Cutolo confiscato nel 1991 dallo Stato, dove don Raffaè teneva i suoi summit. A gestire l'operazione era stata la Immobiliare Il Castello, di cui oggi risulta amministratore unico Adolfo Greco, imprenditore che, dopo il maxiprocesso, fu pure coinvolto nell'affare Cirillo (l'ex assessore regionale della Dc rapito nel 1981 dalla Brigate Rosse): aveva accompagnato nel carcere di Ascoli il funzionario del Sisde Giorgio Criscuolo, per le trattative intavolate con il boss per il rilascio del politico campano. Un altro socio era Agostino Abagnale, nipote di Alfonso Rosanova, ritenuto il cassiere e il riciclatore di Cutolo: era il ras di Sant' Antonio Abate, proprio il comune dove sorge "La Sonrisa". 
Dal reality al thriller. «Ai piedi del Vulcano sorge un luogo da favola dove il tempo sembra essersi fermato", recita la voce fuori campo che apre la finestra su ogni nuova puntata del" boss delle cerimonie", tra il luccichio delle paillettes e i tacchi dodici, la gigantografia di Mario Merola e le immagini della suite dove ha dormito Sofia Loren. 
Le parole di Pappaianni rivelano una sorta di intrigo e ci portano indietro nel tempo agli anni dei Misteri d’Italia. E il tempo deve essersi fermato pure per Raffaele Cutolo, quando apre lo scrigno dei suoi ricordi durante un colloquio in prigione con la nipote Roberta, la figlia del primogenito del boss assassinato nel 1990. Il colloquio, come consuetudine per chi è sottoposto al regime di carcere duro del 41bis, è videoregistrato: un altro reality, stavolta tra le mura del penitenziario. Siamo nel 2010. Ironia della sorte, quel giorno è un di gennaio: come la data delle prima assoluta in tv del "boss delle cerimonie". Roberta racconta al nonno di suo fratello, rimasto senza lavoro. Il boss, irrequieto, la indirizza «dall'avvocato Cesaro di Sant'Antimo che è diventato importantissimo ... e mi deve tanto ... faceva il mio autista, figurati!». 
Gli atti finiscono nel corposo fascicolo su cui si fonda la richiesta di arresto per Luigi Cesaro, Giggino ‘a Purpetta, il deputato amico di Berlusconi che in quei giorni è presidente della Provincia di Napoli. Un'istanza da due anni ancora nelle mani di un gip del Tribunale di Napoli. 
Quel giorno, nel carcere di Voghera, il dialogo non si limita, tuttavia, al solo nome di Cesaro: «Io vorrei uscire un paio di mesi per mettere a posto a te e a Raffaele. E anche a Mauro, per l'amor di Dio!»,è lo sfogo del padrino, che mai come in quel momento appare come un animale ferito rinchiuso in una gabbia. "Potrei fare mille e mille cose. Vedi, c'è una località dove comprammo un vecchio rudere spagnolo, 700 milioni no? ... Adesso vale sessanta miliardi (lire). Eravamo quattro soci, no Tre stanno lì Dove fanno il festival della canzone ... », aggiunge. «A Sanremo?», chiede la nipote a don Raffaè. Cutolo fa cenno di no con il capo, poi pronuncia una parola impercettibile. 
Quale è l'investimento del grande capo camorrista sfuggito alle confische? Un'ipotesi investigativa porta dritto al Grand Hotel La Sonrisa, la location del "boss delle cerimonie", finito sotto sequestro tra il 1984 e il 1989 perché ritenuto il frutto di attività illecite legate all'organizzazione cutoliane. 
Anche il riferimento al festival canoro pare portare al castello prediletto dalle coppie campane che convolano a nozze. È lì infatti che per trent'anni, fino al 2012, si è celebrato un appuntamento fisso con la canzone napoletana, trasmesso pure da RaiUno. i soci della Sonrisa spa - quattro milioni di fatturato nel 2012 per 41mila euro di utile sono effettivamente tre, come ricorda Curalo. E, a quanto risulta a "l'Espresso", a trasformare quel rudere nel castello spagnoleggiante di oggi sarebbe stata la società "Il Castello", la stessa che gestì la compravendita del maniero di Cutolo a Ottaviano finita sotto inchiesta anni fa. Realtà e fantasia, canzoni e matrimoni, lecito ed illecito vanno tranquillamente a braccetto, come da sempre all’ombra del Vesuvio.

Antonio Polese


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