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sabato 9 novembre 2013

UN SOCIALISTA GENTILUOMO

Pietro Lezzi


A 91 anni ci ha lasciato Pietro Lezzi, socialista gentiluomo, allievo di De Martino, che fu sindaco dal 1987 al ’90.
Se ne è andato, Lezzi, con il passo cortese e fermo del gentleman, la sua cifra, lo stile della sua vita e della sua mission politica. Il demartiniano che sempre si confrontava con la sua stella polare socialista. Una lunga militanza di passione in quel partito al quale tanto aveva dato.
Tra poco avrebbe compiuto 91 anni. Sabato scorso si è spento con al suo fianco la compagna di vita, la moglie Nadia e il conforto dei figli Adele, Arturo e Francesca e dei quattro nipoti che altrettanto amava. Il suo corpo è stato cremato. La notizia della scomparsa è stata data a tumulazione avvenuta. Un anno fa, ai 90 anni, aveva ricevuto la medaglia d’oro della città e il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, gli fece pervenire un messaggio di auguri ricordando «l’antica amicizia e l’affinità di ideali». Alla festa a Palazzo San Giacomo sedeva a fianco del sindaco de Magistris. Un momento intenso e ricco di battute con Lezzi che invitò il primo cittadino ad aggregarsi ai socialisti. Tornasse sindaco oggi che farebbe?, gli chiesero. E lui: «Case lavoro scuole. Io ho fatto una scelta di vita chiara, dalla parte dei più deboli» disse, prima dell’immancabile sterzata della mano alla chioma bianchissima.
Napoli lo ha conosciuto da vicino prima da parlamentare, nel partito tutti ricordavano le sue sfide con Antonio Caldoro, papà del governatore Stefano, e da vicinissimo come sindaco di Napoli dal 1987 al 1990. Anni durissimi, il Comune veniva fuori dal commissariamento, dalla triste esperienza delle giunte minoritarie. Lezzi seppe timonare la sua giunta di pentapartito. Era chiamato, a ragione, il sindaco galantuomo, lui ribadiva: «Sono solo un socialista».
Dieci anni fa pubblicò «Pagine socialiste», un bel volume di memorie della sua grande esperienza politica nazionale, internazionale e cittadina. Testimonianze degli incontri con Willy Brandt e Mitterrand, Altiero Spinelli e Craxi, Panagulis, Arfé, Francesco De Martino. Più volte Lezzi ha ricordato che fu lui a rendersi disponibile a fare il capolista alle amministrative del giugno 1987, dopo la crisi della giunta D’Amato. Venne eletto e Chiaromonte gli disse: «Ti vedo e ti piango».
E certo c’è da ricordare che si devono alla sua tenacia due riforme cruciali di Napoli: la privatizzazione del Patrimonio e quella della Nettezza urbana, due servizi che languivano. Anni di ferro con i disoccupati che assediavano il Municipio e ai quali Lezzi aprì le porte del suo studio. Come pure toccò a lui affrontare a testa alta la rivolta per l’acqua a Napoli est. E quindi i Mondiali di Italia ’90. Chissà se qualcuno ricorda anche il dibattito che fece svolgere alla Sala dei Baroni - due anni prima - sui tragici fatti di piazza Tienanmen.
Poi la politica ingrata ebbe ragione delle resistenze di Lezzi, ricordava lui stesso: dovette fare il capolista del Psi alle regionali del ’90, risultò primo dei non eletti. Domenico Rea, intervistandolo per «Il Mattino», scrisse: «Se ne va come Lord Jim, nel suo vestito color spago, felice di aver lavorato 13 ore al giorno e di non aver rubato una lira».
Una testimonianza dell’agire politico, che è rimasta. Ed anche dopo, quando con più tempo per l’adorata Nadia, i figli e i nipoti, ci parlava della sua casa alla Gaiola o del bus 140 («la mia limousine»), che usava per raggiungere Il Mattino e incontrare i direttori. «La fine del Psi lo ha distrutto» ricorda affranta la moglie. Lezzi aveva continuato a lavorare. A interessarsi di extracomunitari, di volontariato. Degli ultimi insomma, da socialista. Con la sua intramontabile verve vulcanica.
Parole di cordoglio sono state espresse da sindaco e governatore. «Non posso che esprimere a nome di tutta la città, oltre che della giunta di Napoli, il più profondo cordoglio. La notizia della morte di Pietro Lezzi - a cui l’anno scorso, proprio qui in Comune, abbiamo consegnato una medaglia d’oro per i 90 anni- addolora tutti i cittadini che a lui hanno sempre riconosciuto la correttezza morale, il coraggio delle idee di giustizia sociale, la passione dell’impegno civico, la sensibilità nell’analisi e nella lettura della realtà politica» dice il sindaco de Magistris. Nei prossimi giorni, de Magistris, la signora Nadia e i familiari deporranno un cuscino di fiori a nome della città al Cimitero degli Inglesi dove Lezzi riposa. «Napoli saluta un galantuomo, un grande sindaco, un deputato sempre attento alla sua terra, un socialista per tutta la vita - è l’omaggio del governatore della Campania Stefano Caldoro - Esprimo il cordoglio della giunta regionale al quale mi permetto di aggiungere il mio personale e sincero dolore». Il ricordo più commovente è stato quello di Biagio De Giovanni.
Di Pietro Lezzi mi ha sempre colpito la corrispondenza perfetta tra ciò che egli era nella sostanza del suo animo e ciò che appariva nel suo volto, nel suo modo di fare, di salutare, di intervenire in una discussione - riflessivo e appassionato-, nella sua signorile affabilità, tutta napoletana: come se la trasparenza della sua umanità si trasmettesse nella trasparenza del suo modo di far politica, e le due cose facessero tutt’uno, in perfetta unità. Mi torna alla memoria, in questa ora triste, un altro aspetto in cui si manifestava la sua passione civile, quel suo commentare, dal posto in cui sedeva, qualcosa detta dall’oratore di turno che lo colpiva, positivo o negativo che fosse. Quando parlavo in sua presenza, nelle tante occasioni dei tanti anni trascorsi, spesso guardavo a lui perchè mi trasmettesse - con un gesto o con un semplice atteggiamento del volto - il suo consenso o dissenso.
Non saprei citare un altro uomo politico di cui si possa dire la stessa cosa. Quasi che il politico porti, a sé connaturata, anche un’arte del segreto-legittima. Per carità! e quasi la necessità di nascondere qualcosa di sé, di mettere una distanza fra il sé interiore e il proprio agire esterno. Ho l’impressione che in lui questa distanza fosse stata del tutto cancellata.
Lezzi, in questo senso, è stato un politico anomalo. Da dove nasceva, allora, questa anomalia? Proverei a leggerla così: la politica era per lui cosa umana, troppo umana, per esser nascosta nelle pieghe algide di una qualsivoglia doppiezza. E l’umanità della politica era, per lui, il socialismo, inteso in un significato genuino, semplice, il vecchio socialismo che guardava al riscatto del lavoro, all’idea di una comunità umana più solidale. Al tentativo di una sintesi fra libertà e giustizia. Immagino quanto egli abbia sofferto per la fine del grande partito a cui ha appartenuto - che è stata tragedia per l’Italia politica - e forse anche per la sensazione che quell’idea semplice e profonda di socialismo non facesse più parte di ciò che può essere realizzato. La storia spesso ha di questi abissi in cui le idee scompaiono. E se rinascono, tornano in altra forma, che chiedono tempo per essere riconosciute. E ogni generazione resta legata a ciò che essa ha saputo vivere e pensare, e Lezzi ha saputo vivere e pensare nel modo migliore le idee del suo tempo. Che cosa prepara l’avvenire nessuno di noi sa. Ma ciò che rimane, quasi diffuso nelle forme della vita e del pensare comune, è il ricordo delle passioni civili vissute nella più piena convinzione etico-politica. In questo senso, il ricordo di Pietro Lezzi resterà assai vivo fra noi.
Anche il presidente Napolitano ha voluto ricordarlo. Ho appreso con commozione e tristezza la notizia della scomparsa di Pietro Lezzi, caro di molti decenni cui mi hanno legato comuni ideali e una fitta rete di rapporti politici, specialmente negli anni che videro Francesco De Martino alla guida del PSI. Pietro Lezzi resta una figura esemplare di socialista, di democratico, di appassionato interprete e rappresentante della città di Napoli. E resta inconfondibile il suo tratto di personale disinteresse e di assoluta integrità morale.
Con Lezzi avevo una lunga frequentazione, da quando, come presidente dell’ente Ville Vesuviane, mi permise, più di una volta, di accedere a qualche gioiello nascosto del miglio d’oro. Negli ultimi tempi ci incontravamo spesso all’angolo di via Posillipo, a metà strada tra la sua casa alla Gaiola e la mia villa. Lo incontravo alla fermata del 140 e ci inoltravamo verso i viali del parco della Rimembranza a discutere di politica, ma soprattutto di cosa si poteva fare per contrastare l’inarrestabile declino a Napoli.



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