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mercoledì 4 aprile 2012

Il mare non bagna Napoli


3/2/2011

Il mare non bagna Napoli è il titolo di un famoso libro di Anna Maria Ortese, ma purtroppo, e da tempo, costituisce un’amara metafora dello scempio inflitto dai napoletani ad una risorsa, che, diversamente adoperata e rispettata, avrebbe potuto costituire una ricchezza incommensurabile per la città. Il percolato scorre nelle nostre vene, devastando la salute ed inquinando irreparabilmente la coscienza.
Osservare la spiaggia di Vigliena a San Giovanni a Teduccio significa meditare sulla deriva della città, al mare si giunge infatti attraverso palazzi dirupati, strade allagate, muretti imbrattati, che più imbrattati non si può. 
Nei pressi la vecchia centrale termoelettrica, un mostro di cemento a dominare la miriade di luride carcasse di imbarcazioni, che sinistramente interrompono i flutti. 
A fare coraggio un cartello ammonitore: pericolo di morte, destino che toccò tempo fa alla giovane madre tuffatasi coraggiosamente per salvare i suoi figlioli dai gorghi provocati a causa dell’elettricità che in loco si produce.
Non si spaventa della scritta un incrocio tra un barbone e Caronte, il quale traghetta per pochi spiccioli i pescatori desiderosi di portarsi sul lungo braccio delimitante il porto di Napoli, con la speranza di una pesca copiosa lì dove le prede ingurgitano una melma dalla consistenza e dall’odore degli escrementi e che infatti è merda che galleggia.
La sabbia è nera, non perché vulcanica, ma perché piena di rabbia, sporca, viscida e cosparsa da miriadi di siringhe, lattine di Coca Cola e rifiuti di ogni genere. 
Bagnarsi in queste acque più luride del Gange è una sfida alla razionalità più che all’igiene ed anche soltanto camminarci a piedi scalzi è un insulto alla decenza. 
A farlo sono solo barboni, extra comunitari disperati e squallide badanti dalla ciccia debordante, i loro piedi puzzano di catrame ed i loro passi non spaventano i pochi gabbiani alla ricerca di qualche tozzola di pane o di qualche pesce semi putrefatto. 
D’inverno la spiaggia è abitata da pochi zombi arroccati in decrepite casupole dalle mura trasudanti di lezzo di orina. 
Alcuni cartelli tradiscono l’utilizzo estivo della zona: vietata la balneazione (è il minimo), non consumate acqua a vuoto (vicino ai resti di una doccia), cercate di essere puliti (patetico, su un muro sbrecciato).
Frequentare durante la stagione questa spiaggia è il segno più eloquente del degrado che da tempo si è impossessato degli abitanti della zona, che nel 1799 ha visto la difesa dei repubblicani dall’assalto delle truppe sanfediste, come testimoniano i resti del fortino, nel quale i patrioti si fecero saltare in aria pur di non arrendersi. 
I progetti di riqualificazione non mancano, anche se come spesso capita, sono destinati a rimanere nel libro dei sogni e delle promesse elettorali. 
A Vigliena dovrebbe sorgere un porto turistico tra i più grandi del Mediterraneo (all’anima della palla), da collegarsi alla litoranea di Torre del Greco, aperta da oltre cinquanta anni e, priva di manutenzione, simile ad un percorso di guerra. 
Si parla da anni della realizzazione di una barriera frangiflutti, ma nel frattempo gli audaci frequentatori estivi di queste spiagge improbabili hanno fatto i capelli bianchi.
Il mare spostandosi verso la zona flegrea acquisisce un colore marrone ed una patina giallastra condita da materiale schiumoso, mentre la concentrazione di colibatteri raggiunge la ragguardevole cifra di 200.000 ogni 100 millilitri, ben 100 volte superiore ai limiti di tolleranza. 
La situazione apocalittica delle acque è provocata dallo sversamento a mare di liquami putridi, infetti e tossici provenienti da un entroterra dove abbandono rifiuti di ogni genere, incluse scorie radioattive.
Una retata di colletti bianchi: dall’ex prefetto al braccio destro di Bertolaso, dal funzionario corrotto al tecnico compiacente, hanno portato sulle prime pagine dei quotidiani per qualche giorno la drammatica situazione del mare e del litorale a nord di Napoli, dove per decenni una quantità immane di percolato prodotto dalle discariche è stato convogliato a mare senza essere sottoposto ad alcun processo di depurazione.
“Versiamo tonnellate di merda in mare, ma i lidi balneari vanno alla grande” è il contenuto agghiacciante di una intercettazione telefonica. Alla cornetta il responsabile del ciclo delle acque della regione.
Infatti, disperati, i napoletani continuano a frequentare i lidi di Licola e Varcaturo, per prendere un po’ di sole a due passi da un mare infrequentabile, nonostante lo sciabordio delle onde pare invitare suadente ad un’impossibile immersione, per rinfrescarsi docce negli stabilimenti più casarecci e piscine in quelli alla page, come Varcadoro, dove qualche poppa al vento di lusinghiere proporzioni può dare ai più eccitati l’illusione di trovarsi in costa azzurra. 
Tutto intorno un’edilizia di rapina ha devastato in egual misura il paesaggio e le coscienze, mentre da più punti, come da un’immonda gola profonda viene vomitata giorno e notte una melma puzzolente che va a depositarsi sulla sabbia sottomarina, distruggendo flora e fauna marina ed appestando l’aria per chilometri con un tanfo pestilenziale.
Decine di chilometri di lungomare da bandiera nera, che più nera non si può, in agonia irreversibile con una schiuma gialla piena di bollicine, che lambisce minacciosa un arenile nerastro, dove i gabbiani impassibili banchettano tra rigagnoli, nei quali galleggiano rifiuti di ogni tipo.
Una zozzimma che ha trasformato una costa da favola in un girone infernale, mettendo in fuga le stesse divinità marine, che presidiavano da sempre questi luoghi incantati. 

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