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domenica 1 aprile 2012

Il barocco meridionale in mostra a Firenze

18/8/2010
Dipinti e sculture dalla Basilicata esposti a Palazzo Medici Riccardi



Alle fiumane di appassionati che in questi giorni a Firenze affollano le sedi della deludente mostra su Caravaggio ed i caravaggeschi consigliamo vivamente di recarsi a Palazzo Medici Riccardi per ammirare, oltre ai celeberrimi affreschi di Luca Giordano, un’interessante esposizione di arte meridionale proveniente dalla Basilicata, una regione poco considerata, come conferma significativamente il titolo stesso della rassegna: Splendori del barocco defilato, da Luca Giordano al Settecento. Potrà visionare alcuni capolavori della collezione D’Errico, interessanti pale d’altare di scuola giordanesca provenienti da chiese della regione ed una serie di statue lignee e di argento di elevata qualità. Tra i dipinti spiccano i due pendant di Gaspare Traversi: Suonatore di mandola(fig. 1) e Ragazzo con fiasco di vino(fig. 2), che testimoniano l’interesse dell’autore nel ritrarre la realtà sociale del suo tempo, attraverso i volti e gli atteggiamenti di personaggi umili Alle fiumane di appassionati che in questi giorni a Firenze affollano le sedi della deludente mostra su Caravaggio ed i caravaggeschi  consigliamo vivamente di recarsi a Palazzo Medici Riccardi per ammirare, oltre ai celeberrimi affreschi di Luca Giordano, un’interessante esposizione di arte meridionale proveniente dalla Basilicata, una regione poco considerata, come conferma significativamente il titolo stesso della rassegna: Splendori del barocco defilato, da Luca Giordano al Settecento.

Potrà visionare alcuni capolavori  della collezione D’Errico, interessanti pale d’altare di scuola giordanesca provenienti da chiese della regione ed una serie di statue lignee e di argento di elevata qualità.
Tra i dipinti spiccano i due pendant di Gaspare Traversi: Suonatore di mandola(fig. 1) e Ragazzo con fiasco di vino(fig. 2), che testimoniano l’interesse dell’autore nel ritrarre la realtà sociale del suo tempo, attraverso i volti e gli atteggiamenti di personaggi umili presi dalla strada, con uno stile teso al recupero dei modelli tradizionali della pittura napoletana del secolo precedente, tra cui gli esempi di matrice caravaggesca, volti a cogliere l’oggettività della rappresentazione.
Le due tele sono state presentate alle più grandi mostre del secolo scorso, da quella memorabile tenutasi nel 1938 su tre secoli di pittura napoletana, a Civiltà del Settecento, anche se inizialmente furono attribuite al Bonito, perché il Traversi non era ancora ben conosciuto dalla critica.
Vi è poi la fascinosa Maga Circe(fig. 3) di Giacomo Del Po ad ammaliarci con la sua fama di domatrice di uomini. L’artista fonde elementi culturali di diverse matrici, non solo il tardo barocco genovese ed il luminismo pretiano, una costante nella sua cifra stilistica, ma anche le negromanzie di Salvator Rosa e la pittura evanescente e surreale di Schonfeldt, tutto però, come ebbe a sottolineare Spinosa, “filtrato attraverso una sensibilità moderna ed irrequieta che inclina al capriccio rococò e a soluzioni di vivace fantasia creativa”.
La sensuale Circe, abbigliata di soli veli e piume, che ne mettono in risalto le forme sinuose, reca nella mano destra la bacchetta magica, puntata verso i libri di incantesimi, mentre con la sinistra somministra soddisfatta la pozione alle sue vittime per tenerle soggiogate.

La pittura di genere è ben rappresentata ed in mostra vi è una delle vette di Abraham Brueghel, la Natura morta con un cane ed un rilievo antico(fig. 4), firmata, nella quale domina una cascata di frutta disposta sontuosamente con gusto barocco, mentre sullo sfondo, dietro un bassorilievo, si scorge un paesaggio.
Sulla datazione del dipinto vi sono differenti pareri da parte della critica, da Aurora Spinosa  che lo circoscrisse al decennio 1665 – 75 a Lattuada, che più recentemente lo colloca ben oltre il quarto decennio, in pieno periodo napoletano.
Confesso che, osservando da vicino il quadro, che appare ancor più bello nelle foto, la lucentezza dell’uva mi ha un po’ deluso ed anche nel melograno spaccato non ho colto quella fracassosità, sottolineata dal De Dominici, che il pittore acquisì durante il soggiorno all’ombra del Vesuvio.
Un’altra, meno nota ma di non minor qualità, natura morta esposta è quella di Giorgio Garri, firmata e raffigurante Cocomero, mele cotogne ed uva(fig. 5). Si tratta di un’aggiunta importante all’esiguo catalogo dell’artista, il cui stile si inspira all’ultima produzione di Giovan Battista Ruoppolo. 

L’opera è pervasa da un sottile realismo nella rappresentazione dei frutti, con sottili lumeggiature nei viticci attorcigliati, toccati da una lieve brezza; intensa è la tavolozza sulla quale domina una luce fredda e vibrante.
Il Ritratto di Emanuela Vecchio(fig. 6) è stato a lungo attribuito al Solimena, anche dal Bologna, che vi scorgeva una fase antibarocca del pittore e solo la fortuita scoperta di un’iscrizione nel rifodero ha permesso recentemente di identificare con precisione il soggetto raffigurato, l’autore del quadro e la data di esecuzione: 1740.

Molte altre tele meriterebbero di essere descritte,  dai due splendidi panorami marini di Leonardo Coccorante, alle scene mitologiche di Domenico Antonio Vaccaro, fino alle pale d’altare di Paolo De Matteis, Giuseppe Simonelli e Carlo Maratta ed alla serie di dipinti su vetro di scuola giordanesca, attribuiti per la prima volta in mostra a Girolamo Cenatiempo.
A ricevere il visitatore vi è la sezione dedicate alle statue, lignee, ma anche di prezioso argento cesellato.
Un’Annunciazione(fig. 7) di Pietro Patalano, datata 1707 e proveniente dalla chiesa madre di San Nicola di Bari a Roccanova provoca una profonda emozione nel visitatore per l’audacia della composizione e per la brillantezza della resa cromatica, a dimostrazione di un autore poco noto, ma di grande abilità, nel solco di una tradizione più artistica che artigianale.

Il busto argenteo di S. Innocenzo(fig. 8) di Nicola De Angelis proveniente dalla chiesa madre di Grassano, siglato, per il forte patetismo del volto e per il decorativismo delle vesti manifesta un chiaro legame con il linguaggio rococò diffuso a Napoli da Domenico Antonio Vaccaro.
Concludiamo questa rapida carrellata con l’Ecce Homo(fig. 9) di Giacomo Colombo, firmato e datato 1706, nel quale l’espressività drammatica e gli effetti naturalistici e patetici di sentore spagnolo si coniugano con una rilettura della sua produzione in chiave berniniana e pongono la scultura tra gli esiti di maggiore qualità dell’artista. 

A supporto della mostra vogliamo poi lodare un corposo catalogo, il quale, oltre a documentare puntigliosamente le opere esposte con esaustive schede, rende conto di una vasta indagine sul territorio, con la descrizione di numerosi dipinti di autori spesso poco conosciuti, per i quali sono state preparate delle esaurienti biografie, che ci permettono di conoscere delle realtà artistiche trascurate dalla critica.
Alla stesura del catalogo hanno collaborato decine di studiosi, alcuni molto giovani, ma tutti ben preparati, per cui il volume non potrà mancare dalla biblioteca di studiosi ed appassionati.
dalla strada, con uno stile teso al recupero dei modelli tradizionali della pittura napoletana del secolo precedente, tra cui gli esempi di matrice caravaggesca, volti a cogliere l’oggettività della rappresentazione. Le due tele sono state presentate alle più grandi mostre del secolo scorso, da quella memorabile tenutasi nel 1938 su tre secoli di pittura napoletana, a Civiltà del Settecento, anche se inizialmente furono attribuite al Bonito, perché il Traversi non era ancora ben conosciuto dalla critica. Vi è poi la fascinosa Maga Circe(fig. 3) di Giacomo Del Po ad ammaliarci con la sua fama di domatrice di uomini. L’artista fonde elementi culturali di diverse matrici, non solo il tardo barocco genovese ed il luminismo pretiano, una costante nella sua cifra stilistica, ma anche le negromanzie di Salvator Rosa e la pittura evanescente e surreale di Schonfeldt, tutto però, come ebbe a sottolineare Spinosa, “filtrato attraverso una sensibilità moderna ed irrequieta che inclina al capriccio rococò e a soluzioni di vivace fantasia creativa”. La sensuale Circe, abbigliata di soli veli e piume, che ne mettono in risalto le forme sinuose, reca nella mano destra la bacchetta magica, puntata verso i libri di incantesimi, mentre con la sinistra somministra soddisfatta la pozione alle sue vittime per tenerle soggiogate. La pittura di genere è ben rappresentata ed in mostra vi è una delle vette di Abraham Brueghel, la Natura morta con un cane ed un rilievo antico(fig. 4), firmata, nella quale domina una cascata di frutta disposta sontuosamente con gusto barocco, mentre sullo sfondo, dietro un bassorilievo, si scorge un paesaggio. Sulla datazione del dipinto vi sono differenti pareri da parte della critica, da Aurora Spinosa che lo circoscrisse al decennio 1665 – 75 a Lattuada, che più recentemente lo colloca ben oltre il quarto decennio, in pieno periodo napoletano. Confesso che, osservando da vicino il quadro, che appare ancor più bello nelle foto, la lucentezza dell’uva mi ha un po’ deluso ed anche nel melograno spaccato non ho colto quella fracassosità, sottolineata dal De Dominici, che il pittore acquisì durante il soggiorno all’ombra del Vesuvio. Un’altra, meno nota ma di non minor qualità, natura morta esposta è quella di Giorgio Garri, firmata e raffigurante Cocomero, mele cotogne ed uva(fig. 5). Si tratta di un’aggiunta importante all’esiguo catalogo dell’artista, il cui stile si inspira all’ultima produzione di Giovan Battista Ruoppolo. L’opera è pervasa da un sottile realismo nella rappresentazione dei frutti, con sottili lumeggiature nei viticci attorcigliati, toccati da una lieve brezza; intensa è la tavolozza sulla quale domina una luce fredda e vibrante. Il Ritratto di Emanuela Vecchio(fig. 6) è stato a lungo attribuito al Solimena, anche dal Bologna, che vi scorgeva una fase antibarocca del pittore e solo la fortuita scoperta di un’iscrizione nel rifodero ha permesso recentemente di identificare con precisione il soggetto raffigurato, l’autore del quadro e la data di esecuzione: 1740. Molte altre tele meriterebbero di essere descritte, dai due splendidi panorami marini di Leonardo Coccorante, alle scene mitologiche di Domenico Antonio Vaccaro, fino alle pale d’altare di Paolo De Matteis, Giuseppe Simonelli e Carlo Maratta ed alla serie di dipinti su vetro di scuola giordanesca, attribuiti per la prima volta in mostra a Girolamo Cenatiempo. A ricevere il visitatore vi è la sezione dedicate alle statue, lignee, ma anche di prezioso argento cesellato. Un’Annunciazione(fig. 7) di Pietro Patalano, datata 1707 e proveniente dalla chiesa madre di San Nicola di Bari a Roccanova provoca una profonda emozione nel visitatore per l’audacia della composizione e per la brillantezza della resa cromatica, a dimostrazione di un autore poco noto, ma di grande abilità, nel solco di una tradizione più artistica che artigianale. Il busto argenteo di S. Innocenzo(fig. 8) di Nicola De Angelis proveniente dalla chiesa madre di Grassano, siglato, per il forte patetismo del volto e per il decorativismo delle vesti manifesta un chiaro legame con il linguaggio rococò diffuso a Napoli da Domenico Antonio Vaccaro. Concludiamo questa rapida carrellata con l’Ecce Homo(fig. 9) di Giacomo Colombo, firmato e datato 1706, nel quale l’espressività drammatica e gli effetti naturalistici e patetici di sentore spagnolo si coniugano con una rilettura della sua produzione in chiave berniniana e pongono la scultura tra gli esiti di maggiore qualità dell’artista. A supporto della mostra vogliamo poi lodare un corposo catalogo, il quale, oltre a documentare puntigliosamente le opere esposte con esaustive schede, rende conto di una vasta indagine sul territorio, con la descrizione di numerosi dipinti di autori spesso poco conosciuti, per i quali sono state preparate delle esaurienti biografie, che ci permettono di conoscere delle realtà artistiche trascurate dalla critica. Alla stesura del catalogo hanno collaborato decine di studiosi, alcuni molto giovani, ma tutti ben preparati, per cui il volume non potrà mancare dalla biblioteca di studiosi ed appassionati. 

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