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mercoledì 7 marzo 2012

LORENZO DE CARO UN PITTORE "DISUBBIDIENTE" DEL SETTECENTO NAPOLETANO


Lorenzo De Caro fu insigne pittore del glorioso Settecento napoletano, anche se fino ad oggi noto solo dagli specialisti e dagli appassionati più attenti. Una serie di dipinti presentati sempre più di frequente nelle aste internazionali, una recente piccola monografia ed alcune fondamentali scoperte biografiche costituiranno un viatico per una sua più completa conoscenza da parte della critica ed una maggiore notorietà tra antiquari e collezionisti.
Finalmente, grazie alle diligenti ricerche archivistiche del pro nipote, Gustavo, Lorenzo De Caro ci rivela, dopo secoli di oblio, i suoi dati anagrafici (Napoli 1719 - 1777). E speriamo che tale notizia, già pubblicata anni fa sulle pagine della gloriosa rivista Napoli nobilissima, venga quanto prima recepita da tutti gli studiosi, così da evitare in futuro imprecisioni, come quella in cui è incorsa Ward Bissel, una tra le più grandi studiose del mondo della pittura europea, che in un suo recente volume ha dedicato ben quattro pagine al nostro artista (Caravaggio ne ha avuto cinque), ma nei dati biografici si è limitata ad indicare: Notizie dal 1740 al 1761.
Rosario Pinto, dopo gli studi fondamentali sull’artista di Spinosa e le aggiunte di Pavone sulla base di documenti reperiti dal Fiore, ha affrontato con autorità e rara competenza l´inquadramento del De Caro nel panorama figurativo napoletano, che risentiva ancora di giudizi affrettati ed oramai superati dalle nuove acquisizioni. L´analisi dello studioso ci restituisce una pittura lontana dai toni aulici e celebrativi allora di moda ed attenta, viceversa, a presentarci eroine bibliche, madonne dolenti e santi in estasi, spogliati di ogni convenzionale attributo di sacralità e restituiti alla loro natura umana e sentimentale, resa con immediatezza e sincerità.
Il De Caro viene già trattato nel 1859 dal Dalbono ed in seguito è oggetto dell’attenzione del Voss, che identifica e pubblica alcuni suoi dipinti conservati in una collezione privata a Cantù. In passato era stato identificato, per un’errata lettura delle sue iniziali, con un’inesistente L. D. Cayo, pittore di origine elvetica allievo del Tiepolo, sebbene due suoi dipinti fossero stati esposti alla celebre mostra sul Seicento ed il Settecento italiano tenutasi a Firenze nel 1922. Le due tele che furono in mostra furono il Trionfo di Giuditta (fig. 1) e la Conversione di Saul (fig. 2), firmato, all’epoca in collezione Bastianelli a Roma ed oggi nella celebre raccolta Molinari Pradelli.

Il recente reperimento dei suoi dati biografici è stato integrato dal ritrovamento di altri due documenti, del 1733, quando era allievo presso la pittrice Laura Cappelli e del 1769, quando paga al principe di Canneto una pigione per la sua bottega di pittore, che allargano di molto la sua attività attualmente ristretta dal 1740 al 1761, le date dei suo primo ed ultimo documento di pagamento.
La prima opera del 1740 è un Martirio di San Bertario per la cattedrale di San Germano (l’odierna Cassino) su committenza dell’ordine benedettino, un contatto che lo favorirà certamente per l’incarico di ritoccare tra il 1744 ed il ’48 la cupola, precedentemente dipinta dallo Schepers, nella chiesa napoletana dei Ss Severino e Sossio. In seguito per quasi un decennio gli unici pagamenti fino ad ora rintracciati si riferiscono a modesti lavori di decorazione in dimore nobiliari napoletane: realizzazioni di carte dipinte, interventi su bussole, porte e finestre, intempiature.
Soltanto dalla metà del secolo, mentre risulta impegnato nel restauro degli affreschi del Corenzio nella cappella del Tesoro dell’Annunziata, si cominciano a documentare una serie di opere a carattere sacro da una Madonna del Carmine per San Girolamo dei ciechi (1750) ai perduti affreschi nella volta dell’atrio dell’ospedale dei Pellegrini (1750) alle tre tele (fig. 3) per la chiesetta della Pietà di Portici (1756 – 57) annessa al collegio Landriani, ai dipinti (fig. 4 - 5) per la chiesa dei santi Filippo e Giacomo (1757 - 58), un Trionfo di Giuditta (1758) in collezione privata a Napoli, una Madonna delle anime purganti (1759) nella congregazione della Carità di Dio, fino all’Allegoria della Fede (1761) per chiesa della Cesarea.

Tra le opere della prima fase, secondo la ricostruzione di Spinosa, al quale siamo debitori del maggior numero di contributi alla conoscenza dell’artista, segnaliamo un San Rocco ed un’Addolorata nella chiesa del convento di Pietrapertosa, un San Gennaro ed una Vergine orante in collezioni private, tutti firmati e, cronologicamente più avanzati, una Coronazione di spine ed un San Francesco Saverio che adora il Crocifisso, firmato, conservati nel museo di San Martino.
Tra queste opere riteniamo di collocare la giovanile Madonna addolorata (fig. 6), inedita, del museo del Suor Orsola Benincasa, vicina anche all’Addolorata in deposito proveniente dalla chiesa detta della Penninata e pubblicata nella monografia sull’artista.


Verso la fine degli anni Cinquanta si manifesta il momento migliore nella sua produzione, quando, pur partendo dagli esempi del Solimena, ne scompagina la monumentalità attraverso l’uso di macchie cromatiche di spiccata luminosità e, rifacendosi ai raffinati modelli di grazia del De Mura, perviene ad esiti di intensa espressività, preludendo l’eleganza del rocaille.
Un gruppo di quadri di piccolo formato, provenienti dall’Albergo dei poveri, dove erano in deposito da una delle tante congreghe o confraternite del centro storico, sono oggi esposti al museo diocesano. Essi sono un bellissimo Sposalizio della Vergine (fig. 7), una Decollazione del Battista (fig. 8), un San Francesco riceve le stimmate ed un’Apparizione di San Michele Arcangelo sul monte Gargano (fig. 9), un’iconografia rarissima tra gli episodi meno noti della vita del santo. Tutta la serie è marcata da reminescenze di stampo luministico associate ad una nuova sensibilità che tende ad impreziosire i colori ed a collocare le scene in ambientazioni segnate da variegati giochi architettonici. La collocazione cronologica del gruppo è vicina al Ritorno dei fratelli di Giuseppe, in asta presso Finarte Milano nel 1972, alla Morte di Abele di collezione privata ed al Samuele unge David e Gloria di San Francesco di Sales, transitati il primo da Christie’s a New York ed il secondo a Roma da Finarte. Al momento più alto della produzione del De Caro appartengono le sei tele conservate nella chiesa dei santi Filippo e Giacomo, citate da tutte le maggiori guide ottocentesche, eseguite tra il 1757 e la fine del 1758, le quali documentano “ come gli interessi del pittore dopo la metà del secolo si orientassero decisamente verso gli aspetti più intensamente barocchi e pittoricistici della locale tradizione figurativa, ai quali l’aveva evidentemente indirizzato soprattutto l’esempio dell’ultimo Solimena neo barocco e vigorosamente neo illuminista, presso il quale verosimilmente si era formato” (Spinosa). Oltre alla Decollazione di San Gennaro (fig. 4) famoso è il San Pietro d’Alcantara confessa Santa Teresa (fig. 5), derivante dall’identico soggetto che Luca Giordano realizzò dopo il 1667 per la controfacciata della chiesa di Santa Teresa a Chiaia, che fu esposto alla mostra Civiltà del Settecento.

Sempre a quegli anni appartiene il dipinto di collezione Pisani definito da Bologna Principi e geografi (fig. 10) e variamente intitolato in seguito: Ferdinando VI (o Carlo di Borbone) visita l’abbazia di Montecassino, per la difficoltà di identificare con precisione i personaggi rappresentati. Nella tela sono stati sottolineati dei prelievi letterali da altri quadri: nella parte sinistra con l’angelo in volo un’opera perduta eseguita intorno al 1752 in Spagna dall’Amigoni e nota attraverso un’incisione, mentre sulla destra evidenti sono i legami tra il francescano raffigurato e il ritratto di padre Raffaele Rossi da Lugagnano del Traversi, a dimostrazione della capacità del De Caro di recepire la lezione del grande collega e di innestare nel suo stile quegli effetti di grande espressività “ pervenendo a composizioni dall’originale taglio compositivo, caratterizzate da eleganti virtuosismi tecnici ed intense interpretazioni della realtà psicologica” (Marini).

Esaminiamo ora un gruppo di dipinti transitati in parte in una vendita Christie’s di Roma nel 1974 e in altre aggiudicazioni, accomunati dall’argomento biblico e caratterizzati dalla ripresa di modelli solimeneschi, come nella Cacciata di Eliodoro dal tempio (fig. 11), firmato, della pinacoteca nazionale di Bologna, una ripresa del celebre modello sito nella controfacciata del Gesù Nuovo e demuriani come nel Trionfo di Giuditta (fig. 12) del museum of Fine Arts di Boston e nei due inediti Salomone e la regina di Saba (fig. 13), in collezione privata a New York e la Strage degli innocenti (fig. 14) di una raccolta napoletana. Sono dipinti nei quali l’artista, scompaginando gli schemi precedenti ed accelerando i ritmi compositivi dà luogo a soluzioni di “raffinata atmosfera laica e mondana, anticlassica ed antiaccademica” (Spinosa).


Sono tutte composizioni marcate da una spiritosa ed anticonvenzionale vena rococò, con eroine spogliate da ogni sacralità ed intrise di grazia civettuola, che le fa somigliare ad eleganti cortigiane con un pizzico di sfrontata spavalderia e di malcelata civetteria.
Collocabile nel periodo maturo dell’artista e non nella fase giovanile, come più volte sostenuto da Spinosa, vi è poi la Decollazione di un Santo (fig. 15) di collezione della Ragione, la quale presenta tangibili affinità con la Decollazione di San Gennaro (fig. 4) conservata nella chiesa dei santi Filippo e Giacomo (documentata ad agosto 1758) con la quale condivide l’impaginazione e stringenti analogie tra il guerriero con l’elmo sulla sinistra, l’impeto dinamico del carnefice e l’insieme degli angioletti che guardano la scena dall’alto.
Nella composizione è presente una palpabile discrepanza temporale tra il martirio da parte di soldati romani, persecuzioni che cessarono con il 312, quando il cristianesimo divenne religione di stato e l’immagine di un minareto sullo sfondo, un’architettura che comparve dopo almeno tre secoli.

La tela nel tempo ha avuto, come molte altre opere del De Caro, diverse attribuzioni, prima al Solimena, quando nel 1969 si trovava presso la Koetzer Gallery di Zurigo, quindi al Giaquinto quando passò nel 1986 in asta presso Semenzato, per divenire poi una delle opere più significative del pittore.
Vicino cronologicamente agli ultimi anni del Cinquanta vi è poi l’inedito Dio mostra ad Adamo ed Eva gli animali nel Paradiso Terrestre (fig. 16) di collezione privata ed il gruppo di dipinti di argomento religioso, tutti firmati, comparsi alla 20° Biennale dell’antiquariato di Parigi, comprendente un’Assunzione, un’Ascensione ed una Resurrezione (fig. 17) e ritenuti da Spinosa tra le più impegnative realizzazioni del pittore, molto vicine alla Giuditta di collezione D’Onofrio a Napoli.

Contiguo agli ultimi esiti documentati dell’artista, dopo il 1760, quali l’Allegoria della Fede e l’Estasi di San Pasquale Baylon della chiesa della Cesarea,collochiamo il San Francesco Saverio (fig. 18) del museo nazionale di Malta, proveniente dalla sagrestia della chiesa del Gesù de La Valletta, che ci mostra le doti di buon disegnatore del De Caro, abile nel trattamento delle pieghe dei panneggi, che richiamano la morbida pennellata del Giordano.

Concludiamo la nostra carrellata con la spettacolare Immacolata Concezione (fig. 19) di collezione Palmieri a Napoli, un modello per una composizione non ancora identificata, certamente eseguita al culmine della carriera e caratterizzata da un ritmo elegante con pregnanti similitudini agli esiti di quella schiera di pittori mitteleuropei, di cultura austriaca e boema, presenti alla corte napoletana. Sono chiaramente assimilati gli insegnamenti non solo del Solimena e del Giordano, ma anche del Piazzetta, una situazione di contaminazione stilistica che a volte in passato ha creato confusione sulle origini del De Caro, scambiato per un pittore veneziano o austriaco.
Con la speranza che quanto prima nuovi ritrovamenti documentari riescano a prolungare e meglio precisare il percorso cronologico dell’artista, allo stato degli studi la figura del De Caro assume un ruolo centrale nel panorama artistico napoletano a metà del Settecento.

Bibliografia
Dalbono C.T. – Storia della pittura in Napoli ed in Sicilia dalla fine del 1600 a noi- Napoli 1859
Voss H. – Lorenzo De Caro: Ein vergessener Maler des Neapler, in Festeschrift Ulrich Middeldorf – Berlino 1968
Spinosa N. - Civiltà del 700 a Napoli 1734 – 1759 (catalogo della mostra) Napoli 1979 – 80
Bologna F. – Gaspare Traversi nell’Illuminismo europeo – Napoli 1980
Spinosa N. – Pittura sacra a Napoli nel Settecento – Napoli 1980 - 81
Galante G. A. - Guida sacra della città di Napoli (edizione riveduta da Spinosa) – Napoli 1985
Pavone M. A. – in Dizionario biografico degli Italiani, ad vocem, vol. XXXIII – Roma 1987
Spinosa N. – pittura napoletana del Settecento dal Rococò al Classicismo – Napoli 1987
Spinosa N. – La pittura in Italia. Il Settecento Tomo II – Napoli 1990
Pavone M. A. – Pittori napoletani del Settecento – Napoli 1994
AA.VV. – Due secoli di pittura nella collezione Molinari Pradelli – Milano 1995
della Ragione A. – Collezione della Ragione – Napoli 1997
Pavone M. A. – Pittori napoletani del primo Settecento – Napoli 1997
Pinto R – La pittura napoletana – Napoli 1998
De Caro G. - Note archivistiche su Lorenzo De Caro, pittore napoletano del ‘700, in Napoli nobilissima, V serie. vol. III, fasc. I – II, Napoli, gennaio aprile 2002
De Caro G. – Marini M. – Pinto R. – Lorenzo De Caro , pittore del ‘700 napoletano – Napoli 2005

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