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mercoledì 7 marzo 2012

IL TEMA DELLA BELLA E DELLA BESTIA TRA MITO ED ARTE

In genere l’origine del tema della Bella e la Bestia viene fatto risalire alla mitologia del mondo antico, dal racconto di Amore e Psiche (fig. 1) contenuto nelle Metamorfosi di Apuleio (II. secolo d.C.) all’ unione di Pasifae con il Minotauro (fig. 2), ma il tema è talmente universale che è presente nel folklore di tutte le culture, senza tener conto di strani esseri, metà donna e metà uccello, come le arpie (fig. 3 – 4) o la fascinosa chimera (fig. 5), un animale costituito con parti anatomiche di specie diverse. Lo stesso Catullo in un carme dedicato alla morte del passerotto “delizia” della fidanzata coglierà l’occasione per una serie di esplicite allusioni sessuali.

Noi partiremo più da lontano e considereremo il primo contatto malizioso tra una donna ed una bestia l’attrazione fatale tra Eva (fig. 6), la nostra progenitrice ed il serpente, avvenuta nel Paradiso terrestre, un incontro dal quale sono cominciati tutti i nostri guai, per via di una caratteristica tipica della donna: l’essere costantemente esposta alla tentazione e l’incapacità di resistere alla morbosa seduzione esercitata dal male e da una forma di sesso ambigua e devastante.


La simbologia erotica del perfido serpente, mentre si attorciglia intorno all’albero della conoscenza (fig. 7), risalta a prima vista ed è in grado di convincere Eva ad addentare il frutto fatale, spingendo il genere umano verso un’inappellabile condanna. Ne conseguirà un mistico e duraturo combattimento tra la donna ed il serpente, carico di funeste simbologie, fino allo scontro finale evocato dall’Apocalisse e ribadito nelle immagini mariane dell’Immacolata Concezione (fig. 8).
Il serpente continuerà ad tessere trame sottili con l’universo femminile e Cleopatra (fig. 9) sceglierà il morso di un aspide per concludere i suoi giorni, facendosi trafiggere sul capezzolo per meglio suggerne il mortale veleno.

Poseidone aveva regalato a Minosse, re di Creta, un toro di grande vigore, come segno di apprezzamento delle sue qualità di sovrano, chiedendogli di sacrificarlo in suo onore, ma il sovrano colpito dalla bellezza dell’animale aveva deciso di tenerlo per sé, scatenando l’ira del dio che, per punirlo, fece innamorare perdutamente dell’animale Pasifae, moglie di Minosse.
La donna ansimava ardentemente di accoppiarsi con lui e voleva a tutti i costi soddisfare il suo insano desiderio; trovò un alleato in Dedalo, l’architetto, che era stato bandito da Atene per omicidio, il quale costruì una mucca di legno montata su ruote, con l’interno cavo e ricoperta da una pelle bovina, poscia la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare, e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò, come fosse una mucca vera, e si accoppiò con lei.
Dall’unione mostruosa nacque il Minotauro (fig. 2), un corpo umanoide e bipede, munito di zoccoli, pelliccia bovina, coda e testa di toro, selvaggio e feroce, perché la sua mente era completamente dominata dall’istinto animale.
Minosse fece rinchiudere il Minotauro nel labirinto costruito da Dedalo e la città di Atene, sottomessa allora a Creta, doveva inviare ogni anno sette giovani maschi e sette fanciulle vergini da offrire in pasto al mostro, che si pasceva di carne umana.
Allora Teseo, eroe figlio del re ateniese Egeo, si recò a Creta per sconfiggerlo, riuscendo anche a fuggire dal labirinto con l’aiuto di Arianna, che gli svelò come uscirne (usando il celebre "filo d’Arianna"). Teseo entrò nel labirinto e attese che il Minotauro si addormentasse e mentre dormiva profondamente lo pugnalò e lo uccise.
La seconda parte della leggenda è quella più famosa per cui spesso si cita come esempio di rapporto fatale quello di Arianna con il mostro, dimenticando il ruolo fondamentale di Pasifae.
Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l’invidia di Venere, la quale invia suo figlio Eros perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto e avaro della terra, affinché Psiche sia coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma Eros si innamora della fanciulla e con l’aiuto di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche (fig. 1), ogni notte i due bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto. Psiche è dunque prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche, istigata dalle sorelle,con una spada e una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all’essere più orribile, pur di conoscerlo. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade dalla lampada e ustiona il suo amante: « ...colpito, il dio si risveglia; vista tradita la parola a lei affidata, d’improvviso silenzioso si allontana in volo dai baci e dalle braccia della disperata sposa (V, 23)»
Un altro grande seduttore della donna è il caprone, il quale trionfa in tutte le allegorie della lussuria, dove spesso viene raffigurata una splendida fanciulla nuda a cavalcioni della bestia, libidinosa per antonomasia (fig. 10). In tutti i verbali degli interrogatori dei processi intentati dalla Chiesa alle streghe, consultabili negli archivi vaticani, vi è sempre un’accurata descrizione della diabolica copula tra la donna e l’animale, che rappresenta l’acme del sabba (fig. 11). Non è l’unico animale ad attirare le brame erotiche delle invasate, perché compaiono nei documenti anche gatti assatanati e galli neri, rane scatenate e maiali bavosi, che concorrono a placare l’inesauribile lascivia delle indemoniate, come i satiri soddisfacevano i desideri inconfessati delle giovani ninfe (fig. 12).



Zeus per sedurre le fanciulle delle quali si invaghiva assumeva costantemente sembianze animalesche, certo del fascino ineguagliabile della ferinità sull’appetito sessuale femminile: diventa cigno, dal collo lungo e flessuoso per concupire Leda (fig. 13), (dal coito divino nasceranno i gemelli Castore e Polluce), mentre nelle vesti di un energico toro inghirlandato rapisce Europa (fig. 14) per sottoporla alle sue focose brame.



La statuaria antica (fig. 15) e la pittura a partire dal Cinquecento descriveranno con una punta di malizia queste frequenti commistioni tra la donna ed il mondo animale (fig. 16).

Per secoli l’unicorno, animale leggendario dotato di grandi poteri, è stato considerato inavvicinabile, ma con un solo punto debole: essere attirato dall’aroma della castità, per cui a volte si rifugiava mansueto sul grembo di una vergine e si lasciava coccolare come il più tranquillo dei gatti. La pittura ha perciò spesso raffigurato una fanciulla con il fantastico cavallo bianco per sottolineare lo stato di illibatezza della giovane, come possiamo ammirare nel celebre ritratto (fig. 1) di Raffaello conservato nella Galleria Borghese, mentre in passato sulla stessa allegoria erano state tessuti due stupendi cicli di arazzi tardogotici conosciuti come la serie rossa (fig. 2) e la serie blu. In seguito l’unicorno è entrato nell’iconografia cristiana a simboleggiare l’inviolabilità della Madonna ed in alcuni dipinti quattrocenteschi di scuola tedesca o fiamminga compare nella scena dell’Annunciazione.

Anche in altri famosi dipinti eleganti dame vengono rappresentate con un piccolo animale tra spalla e seno, in genere si tratta di un mustelide, che vuole sottolineare il contrasto tra la sua nervosa instabilità e la calma serafica della donna, come nella Dama con l’ermellino di Leonardo (fig. 3), il quale del tema ci offre pure un altro famoso esempio con una voluttuosa Leda ed il cigno (fig. 4), purtroppo non pervenutaci, che vediamo in una copia di elevata qualità eseguita da un seguace. Pure la fascinosa Antea (fig. 5) eseguita dal Parmigianino e conservata nel museo di Capodimonte presenta un animale dai denti aguzzi, che scivola malizioso sulla veste preziosa della cortigiana.

A partire dal Rinascimento una serie di cagnolini scodinzolanti allieterà quadri con belle fanciulle, da quello peloso che dorme placidamente nello stesso letto della padrona: la sensuale Venere di Urbino, al più fortunato di tutti, che può godere di uno spettacolare panorama, tenuto sulle ginocchia di una ridente ragazzina immortalata da Fragonard (fig. 6), mentre vezzoso e compiacente è quello che si appresta a baciare la seducente fanciulla ignuda fissata sulla tela da Courbet nel 1861 (fig. 7).


Ispirato alla penna di Victor Hugo l’episodio della fin troppo affettuosa amicizia tra Esmeralda, la fascinosa zingara protagonista della vicenda di Quasimodo, il gobbo campanaro di Notre Dame e la sua affettuosa capretta (fig. 8), che la lecca con insolito trasporto.

Giovanbattista Tiepolo riproporrà in pieno rococò una rivisitazione del quadro di Leonardo, con alcune pregnanti variazioni per via dei costumi mutati, per cui all’impeccabile vestito di Cecilia Gallerani si contrappone una scollatura abissale, che poco lascia all’immaginazione (fig. 9), mentre il tranquillo pelo dell’ermellino si è trasformato nelle fiammeggianti penne del pappagallo dal volto corrucciato.

Gustave Courbet ritornerà sul tema della bella con l’animale mettendo distesa una procace fanciulla (fig. 10) dall’epidermide alabastrina con la folta chioma debordante su un candido lenzuolo, mentre su di essa svolazza spavaldo un temibile rapace, che addenta le sue dita facendole provare l’emozione di uno spasmo orgasmico.

Nel XX secolo spetterà poi al genio di Picasso rivisitare il mito del minotauro in una serie di disegni e litografie di grande impatto emotivo, a dimostrazione che i miti vivono in eterno al di fuori del tempo e dello spazio (fig. 11 - 12)


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