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venerdì 30 marzo 2012

La natura morta napoletana del Settecento

11/1/2010

La lezione pittorica del Belvedere, dalle esplosioni cromatiche alle cascate di fiori, sarà raccolta da un’intera generazione di fioranti napoletani, in genere trascurati dagli studi ed ai quali invece è dedicato un certo spazio nell’ambito della grande mostra Ritorno al barocco. 
Con la rinuncia del maestro ai piaceri della pittura si chiude il secolo e dietro di lui  una folla di fioranti facili e svelti di mano ed una torma di imitatori fanno ressa su un mercato molto florido, dove alcune richieste, scaduto il gusto dei committenti, si esaudiscono a metraggio.
In Andrea Belvedere, come per i Ruoppolo, constatiamo una dimensione teatrale, che configura uno spazio indefinito intriso da una leggerezza già tipicamente rocaille, anche se ci ritroviamo alle soglie del Settecento, prima che il pittore, secondo il racconto del De Dominici, francamente poco credibile, si dedicasse al teatro abbandonando per sempre i pennelli. La sua specialità furono i fiori, che seppe rappresentare con eleganza e pomposità, come ben si evince dagli esempi in mostra, alcuni già noti ed altri inediti, come la coppia di Vasi con fiori dell’antiquario Cesare Lampronti.

Francesco Della Questa si rifà ai modi pittorici di Giovan Battista Ruoppolo e la sua opera oscilla tra la seconda metà del Seicento ed i primi due decenni del secolo successivo. Il suo catalogo non è molto ampio e comprende alcune opere firmate, che permettono di definire alcuni punti fermi nel suo percorso artistico. In mostra vi è un pendant di vasi con fiori,  nel quale si denota un trattamento pittorico agile, animato da lampi di luce e vicino ad alcuni esiti di Giuseppe Recco.
Stranamente assente Gaspare Lopez, è invece presente a villa Pignatelli Gaetano Cusati, un artista attivo nel Seicento e protrudente nei primi due decenni del secolo successivo, del quale esistono alcuni dipinti siglati, come quello di Pesci del museo Correale di Sorrento, che permette di attribuire al Nostro il Pesci, crostacei e frutti di mare esposto nella rassegna. Il pittore è noto principalmente per grandi composizioni decorative di frutta, ortaggi e sfondi di paesaggio, ma talune volte si dedica con successo anche al tema ittico e nel dipinto in esame si esprime a buon livello animando la scena con pesci di varia dimensione ancora vivi e con una ben studiata alternanza di tinte lucenti rossastre ed azzurre.


Di Nicola Casissa, tra gli allievi prediletti di Andrea Belvedere, sono esposte due belle nature morte, delle quali una firmata, caratterizzate da un ampio respiro compositivo e da una marcata compattezza pittorica, con una definizione precisa di ogni tipo di frutta e di fiori. 
Di Giacomo Nani correggiamo preliminarmente la data del decesso, indicata al 1770, mentre il pittore, come da noi pubblicato, muore il 2 febbraio 1755(Archivio parrocchiale di S. Maria delle Grazie a Capodimonte, libro dei Morti III, f.208V°).
I due dipinti esposti, inediti e  firmati, sono caratteristici del suo dettato pittorico e della sua sensibilità didascalica e sono collocabili cronologicamente entro la metà del secolo.
Interessante è anche una Selvaggina morta con tacchini vivi da assegnare a suo figlio Mariano, che lavorò prevalentemente in Spagna come decoratore di porcellane e le cui opere certe sono alquanto rare, principalmente per la difficoltà a riconoscerlo.
Una natura morta con asparagi, uova e pere,  siglata, di Tommaso Realfonso, detto Masillo, già nota agli studi e collocabile al quarto decennio del secolo, il periodo maturo dell’artista è tra gli esempi più chiari di un pittore molto considerato dalla critica perché fautore di una ripresa del naturalismo caravaggesco in pieno Settecento.
Ed infine Baldassarre De Caro è presente con due  famosi vasi di fiori del museo del Banco di Napoli, uno firmato e l’altro datato 1715, facenti parte di un gruppo di quattro (gli altri due presso la pinacoteca di Bari). In questi quadri, espressione di una fase giovanile, l’artista si colloca sulla scia del Belvedere per la delicatezza della tavolozza e per la fantasia espressiva che fa respirare un’aria già rocaille. In seguito il De Caro si dedicò ai temi di caccia, molto richiesti all’epoca dall’aristocrazia e per i quali è più noto ai collezionisti.


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