Pagine

venerdì 16 marzo 2012

Il Seicento napoletano in costiera sorrentina

26/7/2006


L’archidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, ricca di antiche chiese pregne di gloria e memorie storiche, possiede il maggior numero al mondo di parrocchie estaurite , un termine che cerchereste invano sul vocabolario e che identifica un raro privilegio: la possibilità di elezione diretta da parte del popolo, una rara eccezione democratica in un mondo monolita e monarchico come quello della Chiesa. Su ventuno parrocchie in tutta la Cristianità, che posseggono tale prerogativa, ben sette si ritrovano in questa splendida costiera, benedetta dalla natura ed abitata sin dall’inizio dei secoli da una popolazione geneticamente democratica. Apprendiamo una simile notizia da una delle guide stampate da Nicola Longobardi, un benemerito editore a cui si deve la quasi totalità di ciò che è stato pubblicato, in questi ultimi tempi, su questi luoghi ameni. 
Il nostro percorso ideale alla ricerca di dipinti seicenteschi di scuola napoletana si dipanerà da Castellammare a Massa Lubrense. Farà menzione solo delle opere più significative, costituenti la punta di diamante di un iceberg di ben più vaste proporzioni, il quale attende da tempo di essere esplorato con attenzione dagli studiosi e goduto con gli occhi e con la mente da indigeni e forestieri. Un itinerario sovrapponibile a quello compiuto poco più di cent’anni or sono dall’erudito Giuseppe Cosenza, il quale ne fece poi un dettagliato resoconto in due puntate sulle pagine della celebre rivista, fondata da Benedetto Croce, ‘Napoli Nobilissima’. Partiremo dal Duomo di Castellammare di Stabia, una struttura imponente ricca di cappelle laterali, vera e propria miniera di dipinti napoletani a partire, secondo le attribuzioni della preziosa guida stilata dal D’Angelo, da ben tre Ribera, una concentrazione da fare invidia ai più quotati musei. Naturalmente si tratta di copie, anche se due di queste di altissima qualità: una Natività sita nella cappella della Madonna dei Flagelli, nella quale un occhio esperto può riconoscere la mano di Cesare Fracanzano, uno degli allievi più prestigiosi del grande pittore valenzano, ed una struggente Deposizione, nella cappella dell’Ara Pacis, che promana palpabilmente dai volti delle donne una pietà ed una commozione solenne, espresse con uno stile delicatissimo, una vera e propria poesia senza parole, sulla quale purtroppo pesa ancora il parere negativo espresso negli anni Cinquanta dal compianto professor Raffaello Causa, nume tutelare e principe indiscusso dei napoletanisti: “non reca i segni dell’autografia pur presentando le superfici smosse della più frizzante luminosità barocca”. 
La terza tela un Cristo morto collocata nella cappella del Santissimo Sacramento, tradisce un’impronta tradizionale più antica cinquecentesca e può trovare un autore più plausibile in Andrea Sabbatini da Salerno. 
Degne di essere menzionate altre due pale, un Assunta sull’altare maggiore, a lungo assegnata a Lanfranco e che in anni recenti, progredite le conoscenze, ha trovato la giusta paternità in Nunzio Rossi, un vigoroso autore che è riemerso alla critica solo da poco ed infine nella cappella De Rogatis, un San Nicola di Mira, prodotto dal virtuoso pennello di un altro artista che gli studiosi lentamente vanno riscoprendo: Giovan Battista Spinelli. 
Sempre a Castellammare altre due chiese impongono assolutamente una sosta, la prima al Collegio del Gesù, dove, oltre ad una Madonna con Bambino e Santi di Paolo De Matteis, dal solido impianto compositivo, la vera chicca è costituita da un autografo di Luca Giordano, una Madonna del Soccorso tra gli ultimi esiti dell’artista, dotata di una sapiente resa dei particolari eseguita mirabilmente con tocco rapido e luminoso. 
Ci portiamo poi nella chiesa di Santa Maria della pace, ove è conservata l’unica tela, dislocata ab antico in un edificio pubblico, dell’ancora misterioso Maestro dell’Annuncio ai pastori, un nome di convenzione sotto il quale si cela un poderoso epigone del più realistico naturalismo. Il soggetto rappresentato, una Natività di Maria, è reso con un calibrato gioco di luci e di ombre associato ad un cromatismo dai toni rischiarati e preziosi. L’interesse precipuo dell’opera è legato alla possibilità, con opportune ricerche d’archivio, del reperimento di un documento che permetta di identificare il nome sconosciuto del pittore; un fertile terreno di caccia sul quale critici d’arte in cerca di fama non devono che precipitarsi. Ci spostiamo poi a Gragnano, dove nella chiesa del Corpus Domini c’imbattiamo in un’altra perla, una Madonna della Provvidenza e Santi, chiaramente firmata “D. L. Jordanus fecit”, splendido esemplare collocabile cronologicamente a conclusione della sterminata produzione dell’artista. Inoltre girando per il luogo sacro sono numerose le tele e le tavole lignee seicentesche di buona fattura di matrice stanzionesca, anche se difficile è stabilirne a prima vista l’autore. 
Molto interessanti inoltre due tavole lignee, una Vergine incoronata ed una Santa Lucia di Pompeo Landolfo, firmate e datate rispettivamente 1604 e 1609. L’autore, un vero Carneade, sconosciuto agli stessi specialisti, dipinge viceversa con una maniera delicata che ricorda il Lama, anche se con effetti meno severi ed una grazia più gentile ed ornata. 
A Vico Equense, ridente cittadina famosa per la pizza a metro e per la laboriosità dei suoi abitanti, nella piccola chiesa di Santa Maria del Castello, sono conservate alcune tele da poco restaurate, tra le quali notevole un San Francesco in meditazione (fig. 1) animato da un mutevole gioco di chiari e scuri e con il volto del santo reso alla pari di un ritratto con ricercata introspezione psicologica. Classificato dalla soprintendenza come ignoto caravaggesco, a nostro parere, il quadro va considerato più propriamente in orbita stanzionesca, tra Onofrio Palumbo, rievocato dalla dolcezza paffuta degli angioletti in alto e Giuseppe Marullo, per la severa figura del santo, ispida e legnosa; un utile esercizio comparativo per giovani studiosi che vogliano affinare le proprie capacità attributive o un momento di riflessione per fedeli genuini che, raggiunta la sagrestia della piccola chiesetta abbarbicata sul monte, ritengano d’intrattenere un colloquio spirituale con la sacra immagine, abbandonandosi alla preghiera ed al raccoglimento. 
Ben più importante come luogo di culto è la basilica pontificia di Santa Maria del Lauro di Meta, dall’antica origine risalente all’VIII secolo e dalle tante vicissitudini nel corso degli anni. Il tempio, dalla complessa planimetria e dallo svettante campanile, trasuda di opere d’arte, dalle preziose formelle cinquecentesche poste nei pressi dell’ingresso principale alla celebre statua lignea della Madonna del Lauro di epoca bizantina, protagonista di rocambolesche peripezie, osannata nelle processioni e sopravvissuta alle persecuzioni iconoclaste ordinate dagli imperatori bizantini, i quali, come si sa, imposero la distruzione indiscriminata di tutte le immagini sacre. 
I limiti che ci siamo imposti in questa rassegna, trascurando tele anche eccelse di altri secoli, fanno concentrare la nostra attenzione sui dipinti seicenteschi di scuola napoletana, tra i quali da segnalare una pregevole tavola di Girolamo Imparato, costellata di quindici quadretti rappresentanti i misteri del Rosario, ma soprattutto una Vergine tra gli angeli con i santi Nicola e Gaetano, datata 1654 e firmata Philippus Zellus, un pittore fino ad oggi assolutamente ignoto, ma che dimostra una maestria di tocco ed una tavolozza imbevuta di preziosa materia cromatica. Sembra di potersi apprezzare un emulo del miglior Pacecco De Rosa, per i volti dolcissimi e per una cura certosina nella definizione dei colori sgargianti del manto del santo. Un autore che inaugura con questa tela il suo catalogo e che bisognerà cercare con più cura sul territorio per reperire altri suoi lavori. 
Il comune di Sant’Agnello è la patria di Giacomo De Castro e molte chiese conservano tele del pittore, mediocre allievo del sommo Battistello Caracciolo, noto più che per gli esiti del suo pennello per il veleno in cui attinse la sua penna, quando redasse nel 1664 la famosa lettera indirizzata al collezionista siciliano don Antonio Ruffo, nella quale cercava di contrabbandare Luca Giordano come falsario. 
Le sue tele, tra l’altro in precarie condizioni di conservazione, non meritano soverchia attenzione, per cui, parafrasando il sommo Poeta, consiglieremmo al nostro lettore: “non ragioniam di loro ma guarda e passa” E giungiamo a Sorrento, capitale della costiera, affollata d’estate e d’inverno da torme di visitatori italiani e stranieri. Non parleremo del Correale, un piccolo grande museo ricco di quadri in gran parte napoletani, perché abbiamo ristretto la nostra ricerca ai soli luoghi sacri e tra questi la chiesa della Ss. Annunziata presenta più di una tela interessante: una Annunziazione ed una Madonna con Bambino e Santi. Due opere entrambe di ignoto, ma che andrebbero studiate con più cura, perché celano senza dubbio la mano di un pittore molto abile, la prima collocabile ad inizio secolo, l’altra nel V decennio. La più frequentata chiesa di Sorrento, legata alla devozione di tutta la penisola, è la basilica di Sant’Antonino, dedicata al patrono della città. Ad accoglierci all’ingresso i resti di un gigantesco cetaceo rimembranti il famoso miracolo della balena, episodio ricordato anche sul cornicione della navata centrale da un affresco di Pietro Anton Squilles, datato 1699. Nella sagrestia un quadro in stile bizantino raffigurante una Madonna col Bambino del 1600 ed una tavola molto delicata che rappresenta la Madonna della purità. 
I due teloni più famosi di grandi dimensioni sono situati nel presbiterio l’uno di fronte all’altro e appartengono a Giacomo Del Po; sono documentati, grazie alle ricerche archivistiche del Rizzo, al 1687. Rappresentano un Assedio di Sorrento e Scene della peste. L’artista ripete un formulario giordanesco pur mostrandosi sensibile alla lezione del barocco pretiano. Particolarmente commovente il dettaglio del bambino che disperato si afferra affamato alle mammelle di una donna morta, un revival più volte ripreso dalla pittura napoletana del secolo, dal Preti al Giordano, dallo Spadaro al Farelli. 
Anche se fuori dal tema prefisso non si possono non citare un antico affresco della Madonna delle Grazie del XIV secolo, la più antica immagine mariana di Sorrento ed una nutrita serie di ex-voto conservati nella cripta e nella sacrestia rappresentanti scene di salvataggio da naufragi. Sono centinaia di testimonianze di pittori anche modesti di ogni epoca che evidenziano in maniera tangibile gli stretti legami delle popolazioni rivierasche con il mare, ai cui umori variabili erano spesso legati i destini di miseria e ricchezza e frequentemente di vita o di morte. 
L’ultima tappa è a Massa Lubrense posta quasi all’estremità della costiera, dove nella chiesa di Santa Maria della Misericordia, oltre ad una tela di un collaboratore dello Stanzione, Santillo Sannini, scimiottante le Sette opere di misericordia, è conservata una Madonna col Bambino tra i Santi Giuseppe e Francesco D’Assisi . A lungo attribuita al divino Guido Reni, di recente anche da Sgarbi, fu dall’Ortolani assegnata allo Stanzione e dal Causa a Micco Spadaro. Oggi la critica è incerta nello stabilirne l’autore, ma l’unica certezza è la presenza della tela che, tra rovine illuminate da un sole al tramonto, affianca le figure in una materia cromatica sensibile e quasi tremula alla luce. 
Il viaggio è terminato. Noi l’abbiamo percorso in alcuni mesi, tra sopralluoghi, foto, ricerche in archivio e in biblioteca. I nostri lettori viceversa potranno compierlo in un solo week-end, coniugando felicemente arte e svago, cultura e distrazione.

Nessun commento:

Posta un commento