22/6/2009
La crisi economica mondiale sta provocando un massiccio aumento della disoccupazione, che colpisce specialmente i giovani, un effetto accelerato di un processo irreversibile che porterà in breve l’umanità a fare a meno quasi completamente del lavoro.
Il progresso scientifico e l’automazione negli ultimi anni hanno fatto sì che, con una quota minore di lavoro, si riesca a produrre una maggiore quantità di beni e servizi, una cosa certamente positiva che nel tempo potrà liberare l’uomo dalla maledizione biblica di essere costretto con gran sudore a procacciarsi il necessario per vivere.
Paradigmatico è l’esempio di quanto produce un contadino americano ed uno africano: il primo grazie ai fertilizzanti, alla cospicua irrigazione ed all’uso di macchinari riesce a produrre quanto cento dei suoi colleghi africani, per cui, ipotizzando che in futuro anche loro potranno usufruire degli stessi accorgimenti, fra non molto il lavoro di uno solo potrà bastare a produrre il cibo per gli altri 99, i quali potranno anche non lavorare, se però colui che produce sia disposto a dividere con gli altri il frutto del suo lavoro. E qui nascono le difficoltà forse insormontabili per l’egoismo dell’uomo, probabilmente bisognerà creare una rotazione nel lavoro: un giorno ogni cento. Una prospettiva allettante che invita però alla meditazione sulla sua fattibilità, dopo che per anni abbiamo ascoltato l’utopico slogan “lavorare meno lavorare tutti”.
In numerosi altri campi la riduzione del lavoro è stata massiccia, mentre il prodotto ha continuato ad aumentare senza sosta, riuscendo a soddisfare gli scriteriati bisogni crescenti di una civiltà dominata dall’imperativo categorico di consumare, consumare ed ancora consumare.
Non è ipotesi fantascientifica immaginare un mondo nel quale il lavoro non sarà necessario ed i beni ed i servizi necessari saranno realizzati dalle macchine e dai robot.
Il problema drammatico sarà costituito dalla distribuzione dei prodotti, venuto meno anche l’uso del denaro o quanto meno del modo per procacciarselo al quale siamo abituati. Ed a complicare ulteriormente il quadro vi è il moloch della globalizzazione, che annulla le decisioni e le volontà non solo dei cittadini, ma degli stessi Stati, impotenti davanti al potere cieco delle multinazionali.
Potremo in futuro, quanto prima, liberarci dal fardello del lavoro, ma dovremo affrontare e risolvere una serie di non facili problemi: distribuire equamente la ricchezza e creare una reale uguaglianza tra nazioni e cittadini.
Un compito arduo ed affascinante che dovrà essere l’obiettivo delle nuove generazioni, le quali dovranno essere in grado di trasformare la crisi attuale in occasione di crescita. Una rivoluzione che cambierà la nostra vita, il nostro modo di pensare e di relazionarci col prossimo. In caso contrario ci attendono fame, rivolte, guerre ed una instabilità politica generalizzata con il tramonto della democrazia e l’instaurarsi ubiquitario di tirannie.
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