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lunedì 5 marzo 2012

FILIPPO VITALE UN PROTAGONISTA DEL SECOLO D’ORO

UN IMPORTANTE PITTORE DEL SEICENTO A NAPOLI
Alla GALLERIA SILVANO LODI & Due - MILANO - dal 3 aprile al 14 maggio 2008



pubblicato sabato 26 aprile 2008 su scena illustrata


Una mostra della quale sentiremo parlare a lungo è quella organizzata a Milano dalla Galleria Silvano Lodi & Due sulla figura di Filippo Vitale, un protagonista della pittura del ‘600 a Napoli.
L’esposizione mette, l’una a fianco dell’altra, per gli opportuni raffronti, 11 tele dello artista, tra le quali, numerosi inediti e 5 dipinti del figliastro Pacecco De Rosa, suo compagno di bottega per molti anni e verso il quale è spesso arduo discernere le sottili differenze di stile e di tastiera cromatica.
La mostra è corredata da un ricco catalogo con foto a colori di tutte le opere esposte con le relative schede ed inoltre 70 immagini in bianco e nero, un vera monografia, che illustrano il percorso artistico del Vitale, per la prima volta indagato in maniera esaustiva.
Vi sono inoltre un regesto documentario molto accurato di Domenico Antonio D’Alessandro e quattro saggi di notevole spessore, che proiettano finalmente un potente squarcio di luce su un’artista fino a pochi anni fa assolutamente sconosciuto.
Gli scritti sono di Vincenzo Pacelli, antico specialista del pittore, il quale traccia un bilancio tra vecchie e nuove conoscenze, di Giuseppe Porzio, un promettente studioso, che meriterebbe una maggiore attenzione da parte della critica, di Gianni Papi, il quale tratta un aspetto affascinante della vicenda, ipotizzando la presenza a Napoli di Cecco del Caravaggio ed infine, il più autorevole, quello dei due dioscuri: Chicco Giacometti e Dario Porcini, nella veste da loro preferita di conoscitori, più che di abili mercanti.
Viene avanzata da quasi tutti i commentatori l’idea rivoluzionaria di considerare le opere del Maestro di Pau, una produzione giovanile di Filippo Vitale. Una ipotesi suggestiva che probabilmente, attraverso questa mostra e la diffusione tra gli studiosi dell’esaustivo catalogo, verrà accolta da gran parte della critica, anche se, forse, bisognerebbe attendere qualche riscontro documentario per una certezza maggiore.
Non dimentichiamo infatti le notevoli perplessità suscitate da un’operazione simile, caldeggiata sempre da Gianni Papi: lo spostamento nel catalogo di Ribera giovane, negli anni della sua presenza a Roma, delle opere assegnate al Maestro del Giudizio di Salomone.
Di Filippo Vitale non parla il De Dominici, l’attento biografo settecentesco, al quale siamo debitori di gran parte delle conoscenze sul Seicento napoletano e questa circostanza ha pesato nel determinare il lunghissimo oblio, durato secoli, nel quale è stato relegato il pittore. Di lui aveva accennato il Baldinucci in una sua nota ed in seguito qualche raro ritrovamento documentario aveva dato labile consistenza alla sua attività. Solo nel 1951 il Prota Giurleo, a seguito delle sue benemerite ricerche archivistiche, ci fornisce, anche se con qualche imprecisione, le sue coordinate anagrafiche. Sarà poi Ferdinando Bologna, prima nel 1955 e poi nel 1991, a restituirci degnamente l’attività del Vitale, raggruppando attorno ad un nucleo di opere certe, firmate o documentate, una serie di dipinti collegati per decise affinità stilistiche.
La difficoltà maggiore nel delineare il suo percorso artistico è dovuta all’esistenza di due sole tele siglate ed altrettante firmate, di poche opere documentate, tra le quali quelle poste nel soffitto cassettonato della chiesa dell’Annunziata di Capua, eseguite entro il 1618, sono fondamentali, ma purtroppo versano da tempo in un disastroso stato di conservazione.
Tra le opere universalmente accettate dalla critica, oltre al San Pietro liberato dall’angelo (tav. 1) del museo di Nantes, un posto di rilievo è occupato dalla Madonna di Costantinopoli ed i Santi Nicola, Gennaro e Severo (tav. 2), già nella Congrega delle Sacramentine ed oggi a Capodimonte, dove un cartellino indica una data di esecuzione (tra il 1614 ed il 1618) che va, a mio parere, spostata in avanti almeno di un decennio. Infatti il quadro è molto vicino al celebre Angelo custode (tav. 3) della Pietà dei Turchini, eseguito in un trionfo di colori simile alla gioiosa gamma cromatica che si squinterna dalla tela oggi conservata nel museo.
Tra le opere in mostra la più antica è certamente il San Girolamo scrivente (fig. 1), il quale è dominato da un’indagine rigorosa della caducità della carne, che rammenta gli esiti migliori del Ribera, seguito da una Giuditta ed Oloferne (fig. 2), intrisa di fiera crudeltà con il particolare del collo mozzato, che gronda sangue a zampilli, vera scena da film dell’orrore. Di svenevole dolcezza una Maddalena in meditazione sulla croce (fig. 3), nella quale la santa, china ad adorare il Cristo, offre allo spettatore la gioia della contemplazione di un seno acerbo quanto appetibile, a stento coperto da alcune ciocche di fluenti capelli. La modella è la stessa del Compianto di Santa Maria Regina Coeli, identica nella posa ad eccezione delle vesti del tutto assenti nel dipinto esposto in mostra.
Non si poteva trascurare l’opera del figliastro De Rosa, presente con alcune tele, a dimostrazione delle tangenze a volte sorprendenti tra i due pittori, quasi sovrapponibili nel periodo pacecchiano del Vitale, che copre tutti gli anni Quaranta.
Vi sono una coppia con l’iconografia del Riposo nella Fuga in Egitto, assegnati l’uno al pennello di Filippo, l’altro a quello di Francesco ed identici, salvo nelle tonalità dei colori, due Martiri di S. Orsola, il primo proveniente dal mercato madrileno e l’altro (fig. 4) nella collezione di Mauro Calbi a Napoli, grazie all’occhio infallibile del collezionista, il quale lo ha identificato sotto una fallace attribuzione in un’asta presso Pandolfini. Infine una Sacra famiglia (fig. 5), attribuita giustamente al Vitale, per l’affinità della figura della Vergine con quella rappresentata nella parte alta della Gloria di S. Antonio in San Lorenzo Maggiore, unanimemente ritenuta opera di collaborazione tra i due artisti e della quale la parte superiore spetta al Vitale. Nella nostra monografia su Pacecco De Rosa, malinconicamente dimenticata nella pur puntuale bibliografia, (per chi volesse consultarla www.guidecampania.com/derosa/) avevamo segnalato una copia antica di modesta fattura, a conferma del successo della composizione, nella quale avevamo intravisto il pennello del pittore più giovane.
Il ricco catalogo termina con una puntigliosa ricostruzione del corpus del Vitale, punto di riferimento cruciale per gli studiosi, con decine di inediti e nuove attribuzioni, dalla quale l’artista rifulge come uno dei protagonisti della stagione naturalista napoletana dopo la folgorante lezione caravaggesca.
Mancano all’appello un po’ di dipinti, alcuni certi, altri dubbi, promettiamo di pubblicarne una decina nel nostro repertorio della pittura napoletana prossimamente in libreria, nel frattempo ricordiamo, bellissimo, il Riposo nella fuga d’Egitto della collezione d’Errico a Matera (tav. 4).
E vogliamo concludere con le considerazioni di Chicco Giacometti sul respiro internazionale dell’ambiente pittorico napoletano:”Cecco Boneri, bergamasco; Finson, belga; Faber, frisone e Vinck, tedesco; Battistello, napoletano e Sellitto, oriundo lucano e allievo del piemontese Ardito e poi del fiammingo Croys, sono gli artisti più vicini al Merisi in una Napoli crocevia di scambi di portata europea, il giovane Filippo Vitale sembra muoversi in mezzo a loro”.
Una constatazione che gli studi dei più attenti napoletanisti non potranno più eludere in futuro

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