30/4/2010
Andrea Vaccaro attende da anni il risarcimento di una monografia, che gli riconosca il posto centrale che ha occupato nel secolo d’oro della pittura napoletana, anche se sovrastato da tanti giganti.
Alterne fortune ha incontrato la sua opera presso la critica: artista di successo in vita, principalmente negli anni tra la morte di Stanzione e l’avvio del giovane Giordano, ricercato da una committenza religiosa, a cui dispensa pale d’altare dal rigoroso e severo impianto pietistico e da una clientela laica che sapeva ben apprezzare le sue mezze figure di sante avvolte da una intrigante e palpabile sensualità, lodato dal De Dominici, nell’Ottocento la sua stella si eclissa per risorgere prepotentemente alla ribalta degli studi ai principi del secolo scorso, raggiungendo una quotazione sempre molto alta, come si evince anche dai confortanti risultati ottenuti dai suoi dipinti migliori nelle aste internazionali.
La qualità della sua produzione è discontinua come in Luca Giordano che notoriamente adoperava «pennelli diversi» a seconda della retribuzione percepita.
Il Vaccaro, per un certo numero di opere, anche se non per tutta la produzione, deve essere considerato un pittore di rilievo (il Causa gli riconosceva almeno un quarto di nobiltà artistica), il più noto in vita per ricchezza di produzione, moltiplicarsi di firme e semplicità nel variare il proprio stile al mutare della moda.
Un artista facilmente riconoscibile, anche se molto versato nelle «copie alla maniera di», fino a spingersi alle falsificazioni, più abile di un Giordano in vena di «esercitazioni».
La sua produzione molto disuguale copre un arco di tempo molto ampio, perché fu uno dei pochi scampati alla peste e poté lavorare a lungo anche al fianco dei pittori della nuova generazione.
La monografia della Commodo Izzo, pubblicata nel 1951 ed oramai introvabile, è stata sempre criticata dagli studiosi, ma rimane purtroppo l’unica indagine approfondita sull’artista e contiene, per quanto in bianco e nero, un corredo fotografico oltremodo utile per apprezzare una serie di dipinti smarriti nella voragine del mercato antiquariale e finiti molto spesso all’estero in inaccessibili collezioni private.
Da tempo circola voce dell’uscita di una monografia alla quale attende da tempo Stefano Causa, mentre negli ultimi anni sono usciti importanti contributi da parte di Pacelli e Lattuada, che vanno ad aggiungersi al corposo saggio del De Vito pubblicato nel 1994.
La produzione del Vaccaro è enorme, paragonabile a quella del Giordano e del Solimena, anche se la qualità a volte non è molto alta ed alcuni soggetti di successo sono replicati all’infinito con poche varianti. Ebbe uno straordinario successo in Spagna, dove bisognerà trovare gran parte delle sue opere inedite. Il suo stile è abbastanza riconoscibile ed inoltre una metà dei quadri sono contraddistinti dal suo classico monogramma intrecciato.
Da tempo ho raccolto nel mio archivio numerosi dipinti inediti o poco conosciuti dell’artista presso collezioni private, prevalentemente straniere o transitati sul mercato, che in questo articolo porrò all’attenzione degli studiosi e degli appassionati, rinviando per un panorama più ampio al mio repertorio fotografico sui pittori napoletani del Seicento consultabile in rete.
Cominciamo con una delle opere più belle: il Trionfo di Davide(fig. 1), transitato nel maggio del 1974 presso la Finarte di Milano, il quale si richiama, in formato ridotto(cm. 62 – 88) ai due esemplari del Palazzo Reale di Napoli e del museo di Arte e storia di Ginevra. Un soggetto imperniato sulle graziose fanciulle ebree che festeggiano il loro eroe giovinetto in un tripudio di vesti svolazzanti e variopinte ed ispirato al celebre Baccanale di Stanzione, eseguito nel 1635 e presto trasmigrato in Spagna.
E per rimanere in Spagna, tra i tanti lavori pervenuti da Napoli del Nostro, mostriamo questo notevole Cristo e l’Angelo(fig. 2), siglato(cm. 134 – 205), conservato dal 1669 nella chiesa del convento delle Carmelitane Scalze di S. Maria di Loreto, vicino Salamanca, mentre riteniamo di espungere dal catalogo dell’artista la Battaglia di donne(fig. 3 – cm. 175 – 200) del museo del Prado, attribuita ad Andrea dal Perez Sanchez e che viceversa è di un autore romano, probabilmente il Romanelli. La tela prende ispirazione dall’analogo soggetto del Ribera eseguito nel 1636 e anche esso conservato al Prado.
Di un certo interesse è il San Nicola di Bari(fig. 4), un olio su rame(cm. 52 – 39), siglato, transitato nell’aprile del 1973 presso la Finarte di Milano e che richiama alcune tele chiesastiche dell’artista eseguite poco dopo il 1635: quella pubblicata da De Vito sulla base di una vecchia foto della sovrintendenza, conservata nella chiesa di S. Maria della Purità agli Orefici a Napoli e quella segnalata dalla Commodo Izzo ad Agerola, entrambe siglate sulla tinozza, ma con leggere varianti.
La tela in esame, per la solidità volumetrica dei bambini miracolati, per i putti svolazzanti ed il volto assorto del coppiere in contemplazione del santo, si ispira alle opere più antiche del Vitale.
Il Cristo Bambino con S. Giovannino(fig. 5), conservato a Durham, nel The Bowes Museum è un piccolo capolavoro dai colori squillanti e ci permette di assegnare al pennello del Nostro i due pendant di natura morta(fig. 6 – 7), già in collezione privata francese, esposti a dicembre a Napoli alla mostra dell’Antiquariato e ritenuti da Zeri eseguiti in collaborazione col Brueghel, mentre noi riteniamo che il generista sia Giovan Battista Ruoppolo(per chi vuole approfondire consulti su internet il mio articolo Uno splendido pendant di natura morta napoletana).
E volendo rimanere tra i putti segnalo questo interessante dipinto della collezione Naschi di Caserta, nel quale i Due fanciullini(fig. 8) costituiscono un prelievo letterale dal brano posto in basso a sinistra nella Madonna del Suffragio, che Vaccaro eseguì dopo la peste del 1656 per la chiesa di S. Maria del Pianto, celebre tela, oggi conservata nel museo diocesano, grazie alla quale il pittore riuscì ad ottenere una collocazione sull’altar maggiore, pur essendo in gara con il Giordano.
Il Vaccaro fu artista abile nel dipingere donne, sante che fossero, pervase da una vena di sottile erotismo, d’epidermide dorata, dai capelli bruni o biondi, di una carnalità desiderabile sulle cui forme egli indugiò spesso compiaciuto col suo pennello, a stuzzicare e lusingare il gusto dei committenti, più sensibili a piacevolezze di soggetto, che a recepire il messaggio devozionale che ne era alla base.
Egli si ripeté spesso su due o tre modelli femminili ben scelti, di lusinghiere nudità, che gli servirono a fornire mezze figure di sante martiri a dovizia tutte piacevoli da guardare, percepite con un’affettuosa partecipazione terrena, velata da una punta di erotismo, con i loro capelli d’oro luccicanti, con le morbide mani carnose e affusolate nelle dita, con le loro vesti blu scollate, tanto da mostrare le grazie di una spalla pallida, ma desiderabile. I volti velati da una sottile malinconia e con un caldo languore nei grandi occhi umidi e bruni, che aggiungono qualcosa di più acuto alla sensazione visiva delle carni plasmate con amore e compiacimento.
A questa infinita serie di quadri a mezza figura appartengono quelli che ora presentiamo, tutti siglati: una languida S. Lucia(fig. 9), presente anni fa sul mercato, una severa S. Agata(fig. 10) in collezione De Vito a Milano(cm. 88 – 71) ed un’altra, languida e sofferente,(fig. 11 – cm. 135 – 104) transitata pochi giorni fa presso Dorotheum a Vienna ed un’austera Maddalena(fig. 12 - cm. 101 - 75) esitata dalla Finarte di Milano nel mese di novembre del 1971.
Nei quadri a due figure prevalgono sempre i soggetti sacri, ma quasi sempre le giovani donne espongono un seno dalle forme perfette, come nel Cristo e la Samaritana (fig. 13 - cm.138 – 125) della collezione Ruggi di Salerno o nel Cimone e Pero(fig. 14 – cm.122 – 95), siglato, esitato da Blindarte nel 2008 o nel Marta rimprovera Maria Maddalena (fig. 15 – cm. 115 – 131), interpretabile anche come la Modestia e la vanità, conservato a Salt Lake City nel Utah Museum of Fine Arts
Erroneamente indicata da alcune guide come opera di Domenico Antonio Vaccaro, è viceversa di Andrea, addirittura siglata, la pala d’altare posta nella quarta cappella sinistra nella chiesa di Donnalbina, raffigurante la Madonna, Maria Maddalena e san Giovanni Evangelista ai piedi della croce(fig. 16).
Poco nota è la S. Cecilia al cembalo(fig. 17) conservata nella quadreria del Suor Orsola Benincasa, uno scrigno prezioso di tele inedite, visitabile solo su appuntamento.
Ed infine tra le composizioni con molte figure ricordiamo il Giudizio di Salomone (fig. 18 – cm. 102 - 127) in asta alla Finarte di Milano nel maggio del 1996 e questa Madonna tra Cristo ed il Padre Eterno(fig. 19), di collezione privata, resa con colori rutilanti e nella quale in basso a sinistra riconosciamo lo stesso guerriero, forse Bellona, ritratto nell’importante dipinto già presso la Galleria Corsini di New York.
Il quadro richiama inoltre altre simili composizioni del Vaccaro come l’Immacolata fra i Ss. Francesco e Gaetano conservata a Pisticci nella chiesa di S. Antonio, l’analogo soggetto del museo dell’Opera del Suor Orsola Benincasa, questa volta tra un nugolo di angioletti o la Vergine tra i SS. Antonio e Rocco della chiesa di San Potito a Napoli.
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