Il veterano “Carmine Ceraso” con i suoi antichi documenti |
Ferdinando IV Borbone, quando
ordinò nel 1778 all’architetto Carlo Vanvitelli di ideare e costruire la Villa
reale, fu categorico: “Dev’essere una passeggiata da Re”. Ed il Vanvitelli
prese l’ordine alla lettera, profondendo il massimo impegno nell’opera che,
grazie all’indefesso lavoro delle maestranze, fece nascere nella zona di Chiaia
il Real passeggio, oggi Villa comunale.
L’apertura al pubblico nel 1781
coincise con la fiera annuale, che prima si teneva al largo di Palazzo,
l’attuale piazza del Plebiscito, e mostrò al numeroso pubblico accorso un luogo
da sogno, improntato al raffinato gusto francese, rispettoso dei principi di
simmetria e assialità prospettica tipica dei giardini transalpini. A cagione di
questa somiglianza i napoletani più eruditi coniarono il vezzoso nomignolo di
“Tuiglieria” a ricordare i prestigiosi giardini parigini. Essa accolse tra i
suoi viali fontane ed opere d’arte, come le celeberrime statue della Flora,
dell’Ercole e del Toro Farnese, posto quest’ultimo nel mezzo del vialone
centrale, dove fece a lungo bella mostra di sé, fino a quando venne sostituito
dalla fontana di granito proveniente dagli scavi di Paestum sorretta da quattro
leoni, opera dell’architetto Pietro Bianchi, e denominata amorevolmente dai
napoletani “delle paparelle”.
La villa illuminata di notte
costituì il più ricercato luogo di svago, di divertimento e di tranquillo
riposo per l’aristocrazia napoletana e solo per essa, perché infatti l’ingresso
era vietato ai servitori, ai poveri, agli scalzi, ai malvestiti ed ai
malintenzionati Se queste regole severe fossero in vigore ancora oggi la Villa
comunale sarebbe una landa deserta.
Soltanto una volta l’anno, l’8
settembre, l’accesso era libero a tutta la popolazione che poteva assistere al
pomposo corteo reale che si recava alla chiesa di Piedigrotta.
Un’accattivante maja desnuda |
Una scelta di vasi di giorno… |
Rare ceramiche di Vietri. |
C’è solo l’imbarazzo della scelta tra la roba di “masto Antonio” |
Nel 1807 Giuseppe Bonaparte decise
di prolungare il tracciato della villa, le dimensioni aumentarono notevolmente
e si creò un’area boschetto, mentre anche nella zona vanvitelliana venivano
sistemate numerose statue copiate da originali romani, greci e rinascimentali
dagli scultori Tommaso Solari e Giovanni Violani.
Nel 1834 venne completato l’ultimo
tratto della villa, che per un tempo assunse la denominazione di Villanova, ad
opera del Gasse, il quale raggiunse l’odierna piazza della Repubblica, seguendo
l’ispirazione dei giar- dini all’inglese. Negli stessi anni venne allestito un
galoppatoio, che contribuì a conferire un carattere internazionale ed
aristocratico ai giar- dini reali, che divennero comunali in epoca
post-unitaria, quando furono eseguiti amplissimi interventi lungo il litorale
con la costruzione di via Caracciolo, che mutò la fisionomia originaria della
villa, trasformata così da passeggio reale ad insula parco chiusa tra due
grosse arterie viarie.
Alla fine dell’800 risale la
costruzione della stazione zoologica, un classico edificio che richiama il
carattere delle fabbriche rinascimentali fiorentine. L’acquario fu
un’istituzione propugnata da Anton Dohrn, celebre scienziato, convinto
assertore delle teorie evoluzionistiche del Darwin. Essa non è soltanto
un’opera pregevolissima sotto il profilo scientifico, ma riveste notevole
interesse per la storia dell’arte, non solo napoletana ma europea, perché
costituisce il punto di coagulo di un gruppo di artisti stranieri: Fiedler,
Hildebrand ed il più noto von Marées, che realizzò i grandi affreschi a
tempera, ancora oggi perfettamente conservati, rappresentanti “Scene marine ed
agresti di vita meridionale”. Un esempio diretto di pittura sviluppato secondo
cadenze del tutto inedite per la nostra cultura. L’acqua- rio, dotato della più
ricca biblioteca scientifica del sud Italia, è uno dei più importanti
laboratori scientifici a li- vello internazionale.
Alla fine del secolo scorso la
villa fu arricchita da numerose strutture architettoniche quali la Casina
pompeiana, utilizzata dalla Società di Belle Arti e la grande Cassa armonica,
stu- penda struttura in ferro e ghisa, preziosa testimonianza del Liberty
partenopeo, tempio della musica, costruita da Enrico Alvino in fondo al grande
viale centrale, di fronte alla severa statua di Giovan Battista Vico.
Il grande giardino ospita rare
specie vegetali e splendidi e rigogliosi esemplari di lecci, pini, palme,
araucarie ed eucalipti.
Nel corso del Novecento la villa è
decaduta giorno dopo giorno. Priva di recinzioni e di sorveglianza è
divenuta, salvo durante il Ventennio, regno incontrastato di perdigiorno e
filoni- sti, con torme di scugnizzi sempre pronte, con eguale solerzia, al
gioco del pallone come ad infastidire i tranquilli visitatori.
Il punto più basso lo si raggiunse
durante l’occupazione anglo-americana, quando la villa, divenuta ostello di
sbandati e terra di nessuno, fu a lungo recintata con filo spinato per impedire
alle tante sciagurate signorine di appartarvisi per i loro turpi convegni.
Il recente recupero della villa è
storia di oggi ed è uno dei meriti dell’amministrazione comunale che, con
formule sbrigative che pur hanno fatto discutere, ha assegnato ad un celebre
architetto del nord, Francesco Mendini, il compito di restituire ai giardini un
respiro ed una dimensione europea.
La villa è stata così illuminata
in maniera originale, le statue sono state nettate (ma quanto resisteranno?)
dalle scritte blasfeme e demenziali, apposte dai nuovi barbari, le aiuole ridisegnate, le piante vecchie e malate sostituite; inoltre sono stati predisposti
parchi giochi ed eleganti chioschi di generi di conforto.
Oggi è possibile, grazie a questi
benemeriti interventi, passeggiare con serenità in un ambiente confortevole,
beandosi della vista del mare e perché no colloquiare con le memorie del nostro
passato, effigiate nelle tante statue, ritornate all’antico splendore, con
l’aiuto di un aureo ed economico libretto sull’argomento, scritto da un valente
studioso, il prof. Nicola Della Monica.
Nella villa da oltre dieci anni si
svolge con cadenza alternata nei week-end un vivace mercatino antiquariale che,
nato in sordina, ha conquistato in breve tempo la fiducia dei collezionisti
napoletani e soprattutto ha fatto avvicinare alla passione per l’antico ampie
fasce di neofiti. La merce esposta è la più varia: mobili e ceramiche, quadri e
vasi, croste e cianfrusaglie, tappeti, statue, cartoline, manifesti, libri
antichi e moderni, telefoni d’epoca e giradischi rotti, e chi più ne ha più ne
metta. Ogni tanto ci scappa l’affare per l’intenditore, più spesso capita
“l‘imbrusatura” per chi si avvicina la prima volta a questo tipo di mercatini.
Gli espositori non sono solo
napoletani, ma vengono da tutta la Campania ed anche da altre regioni.
Qualche domenica, con il sole ed
il divieto di circolazione, la folla è straripante e gli affari per i
commercianti vanno a gonfie vele.
Alcune bancarelle sono tenute da
persone colte e competenti, come è il caso del signor Carmine Ceraso, antico
libraro e lui stesso appassionato collezionista, che commercia in libri,
stampe, documenti antichi, vecchie cartoline, foto osé d’epoca.
Oppure il signor Aniello
D’Ambrosio, artigiano muratore, specializzato in restauri e mosaici, in grado
di soddisfare qualsiasi ordinazione. E che dire di “masto Antonio”, basta il
nome tanto è famoso e ricercato per le sue rare cose superflue, che fanno la
gioia di ogni appassionato.
Ampia e variegata è l’offerta di
mercanzie del “Rigattiere” con bottega in piazzetta Nilo e qui in trasferta con
una nutrita esposizione di oggetti in vendita, dalle statue più o meno
discinte, ai pupi siciliani riprodotti in legno e di varie dimensioni, fino
alle composizioni di ceramica di Castelli, di Vietri e napoletane.
I libri antichi dalle preziose
copertine sono offerti in numerose bancarelle e l’occhio del conoscitore spesso
riesce a fiutare il pezzo di pregio sfuggito allo stesso commerciante. Molto è
anche il ciarpame e tutta una serie di cose inutili che sembra incredibile
possano trovare un acquirente, ma molti sono i frequentatori di bocca buona ed
alla fine ogni oggetto, se ha pazienza, trova la sua collocazione.
Le vendite sono sollecitate dall’atmosfera
incantevole di una splendida villa baciata dal mare, l’elemento regolatore
della visibilità e della vivibilità dell’intera città e dalla spettacolare via
Caracciolo, la strada, senza false modestie, più bella del mondo.
E su questa bellezza che tutti ci
invidiano, concludiamo, per la gioia dei neoborbonici, con una favoletta.
Un bambino passeggia in compagnia dei genitori sul celebre lungomare e chiede al padre perché al famoso ammiraglio è stata intitolata una strada così importante. “Perché era un martire del ’99 caro figliolo” - risponde il genitore - “e cosa ha fatto per divenirlo?” - chiede ingenuo il pargoletto - “ha tradito il suo Re!”.
Achille della Ragione
(foto
di Mario della Ragione)
Cianfrusaglie cercasi |
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